Che cos’è una frontiera? Una linea, un confine, una separazione, forse un’unione. E quante frontiere. Ci sono frontiere politiche, frontiere geografiche, frontiere geometriche, frontiere fisiche, frontiere psicologiche, frontiere reali o immaginarie, frontiere buone o presunte tali, frontiere cattive. Frontiere insomma, ma quali? Di sicuro l’ultima frontiera di cui parlano Raffaella Cosentino e Alessio Genovese nel loro film documentario EU 013 L’Ultima Frontiera è quella del pregiudizio e della chiusura mentale, è quella dei Centri di identificazione e di espulsione italiani (C.i.e.).
Presentato alla 54esima edizione del Festival dei Popoli e in concorso all'IFFR, il Festival Internazionale di Rotterdam, l’opera rappresenta la prima volta in cui delle telecamere entrano in luoghi sconosciuti, varcano certe frontiere con lo scopo di abbatterle, con lo scopo di far sapere cosa succede al di là. Per un’ora di tempo gli autori raccontano la vita all’interno di questi non-luoghi, dove ogni anno circa 8.000 persone vengono trattenute per un periodo di tempo che arriva fino a 18 mesi, in regime di detenzione amministrativa, cioè senza avere commesso un reato penale e senza essere stati giudicati nel corso di un processo. Il motivo della loro permanenza è la clandestinità, l’irregolarità. Protagonisti dell’opera sia la Polizia di Frontiera che i migranti irregolari. Due punti di vista quindi sulla situazione, anche se devo dire che il punto di vista preminente ovviamente è quello degli autori, che non vogliono solo documentare, ma anche e soprattutto accusare – nemmeno troppo sottilmente – ciò di cui si fanno baluardo. L’ingiustizia, a loro parere, che si consuma ogni giorno all’interno di questi centri. Grazie alla collaborazione con il Ministero dell'Interno, per la prima volta la realtà dei C.i.e. viene portata al grande pubblico e narrata da due reporter di grande spessore ed esperienza.
Dalla sala d'attesa del Terminal 3 dell'aeroporto di Fiumicino dove vengono fatti sostare gli stranieri in attesa del respingimento, ai veri e propri centri dove avvengono i rimpatri forzati. Assisteremo anche allo scoppio di una rivolta in diretta. “Per la prima volta il Ministero ha autorizzato un’intera troupe all’ingresso per alcuni giorni consecutivi nei diversi C.i.e. – spiega il regista Alessio Genovese – Per noi questo ha rappresentato una grande occasione: la possibilità di descrivere lo spazio e il tempo all’interno di questi centri. Abbiamo scelto di raccontare una storia collettiva, fatta di persone che sono in Italia da anni. Il C.i.e. resta l’epilogo per il viaggio di molti approdati in Europa nell’era di Schengen.
L’ultima frontiera da abbattere è innanzitutto un limite mentale che dobbiamo superare”. Raffaella Cosentino, co-autrice e co-regista, non si risparmia: “I Centri di identificazione e di espulsione sono luoghi infernali che ledono i diritti umani, istituzioni totali paragonabili ai manicomi, una vergogna di cui l’Italia non ha bisogno”, commenta. “Dopo tante inchieste, abbiamo pensato a un lavoro di respiro più ampio per permettere a tutti di vivere la sensazione di straniamento che si prova quando si entra là dentro”, conclude. Sicuramente uno spunto di riflessione importante, che però deve essere biunivoco, deve accogliere entrambi i punti di vista, deve mettere sulla bilancia entrambe le facce della medaglia.