Eric Rohmer, pseudonimo di Jean Maurice Scherer, è morto l’11 gennaio scorso all’età di 89. Per tutti coloro che hanno amato il suo cinema è una triste perdita. Schermaglie si propone di tornare sulla sua figura in collaborazione col Detour. Pubblichiamo un intrervento dedicato al film con il quale l’autore ha ricevuto il Leone d’oro alla carriera nel 2001.
Eric Rohmer con il film La Nobildonna e il Duca, viene premiato nel 2001 alla Mostra del Cinema di Venezia con il Leone d’oro alla Carriera. Il film, molto discusso, è tratto dal diario di Lady Grace Elliott, Journal of my life during the French Revolution pubblicato in Francia col titolo Ma vie sous la révolution. Il diario di Lady Grace, nobildonna scozzese vissuta a Parigi durante la Rivoluzione, inizia il 14 luglio 1789, giorno della presa della Bastiglia, e termina negli anni del Terrore. La storia ha luogo a Parigi dove, al fianco del popolo dei rivoltosi, lotta un gruppo di aristocratici illuminati che appoggia la Rivoluzione; tra costoro il Principe Luigi Filippo duca d’Orléans, cugino del re Luigi XVI ma futuro cittadino Égalité. Nel 1786 Lady Grace Elliott si trasferisce dalla Scozia in Francia e intreccia con il duca una leale e appassionata amicizia. Nell’agosto 1792, dopo l’assalto alle Tuileries da parte dei rivoluzionari, Lady Grace lascia Parigi. Il duca d’Orléans nel gennaio del 1793 vota a favore della morte del re. Seppur in acerbo contrasto con le idee della nobildonna, il duca la aiuta a trovare un passaporto d’uscita…
Tutto il film è costruito intorno all’inedita visione controrivoluzionaria dell’aristocratica inglese. Lady Grace dichiara apertamente al duca la sua immensa devozione per il Re Luigi XVI e confessa inoltre il suo disappunto sulla Rivoluzione e sull’Illuminismo: “In che tempi viviamo! E questi filosofi che ci parlano dei lumi, che aprano gli occhi dunque!”. Gli eventi più tragici sono raccontati attraverso i dialoghi dei personaggi, i suoni e i rumori diegetici ed extradiegetici. Una sinfonia ben concertata di sensazioni sonore. Per comprendere questo escamotage, analizziamo ora una sequenza in particolare: l’esecuzione di Luigi XVI. Un cartello iniziale informa: Meudon est sur une hanteur et, avec une lorgnette, ou pouvait voir la Place Louis XV (tradotto: Meudon è su di una collina e, con un cannocchiale, si poteva vedere Piazza Luigi XV). La scena si apre con un campo lunghissimo sulla campagna francese, Lady Grace e la sua cameriera affacciate ad una staccionata che scrutano dall’alto la situazione in città. La scena è avvolta dai suoni della campagna: uccelli, insetti, il fruscio del vento. La cameriera ha un cannocchiale e scruta l’orizzonte mentre la nobildonna chiede informazioni. Non vuole vedere. Vuole sapere però quel che sta accadendo: “Ci sono dei soldati?”, e la cameriera: “Mi pare di sì: vedo del blu e del rosso.” Un forte rumore di folla da lontano. Lady Grace: “Hai sentito? Che succede? Il popolo si ribella! Oh! Sia lodato Dio! Ma cosa vedi?”. Uno scoppio di cannone, un boato. Lady Elliott: “ Che cosa è successo?”. La cameriera questa volta esita a rispondere. Continua Lady Grace: “Io lo so e anche tu lo sai. Non restiamo qui.”
Rohmer sa di certo che: “l’atto udito di parola è esso stesso visto, in un certo senso”, (Gilles Deleuze da L’immagine-tempo). Il regista ha atteso ben dieci anni prima di poter realizzare il suo film. Nell’immagine filmica digitale ha cercato di rendere un effetto pittorico simile alla trama delle tele e la densità materica della pittura a olio. Per l’ambiente scenografico del film sono stati necessari ben 37 tableaux dipinti dal pittore Jean-Baptiste Marot. Le relative planimetrie, necessarie alla ricostruzione 3D dello spazio, hanno contribuito, grazie alle applicazioni del blue screen, a elaborare un ambiente virtuale agibile e credibile, cyberspazio legato comunque alle leggi prospettiche basate sulle coordinate cartesiane X, Y, Z. Tutto doveva essere armonizzato alla perfezione, a partire dalla ricerca dei movimenti dei personaggi: le entrate, le uscite, i movimenti nello spazio prospettico, pittorico e filmico. Marot e Rohmer, hanno lavorato insieme a ogni scena per raggiungere questo scopo. Hanno messo in visione con accuratezza le sembianze dei paesaggi e le iconografie dei personaggi, dopo uno studio attento delle testimonianze visive d’epoca create intorno al delicato periodo storico in questione.
I quadri dei vedutisti e dei paesisti: Canaletto, Piranesi, Guardi, Poussin, Lorrain, Fragonard, Corot, le xilografie, le acquetinte e gli acquerelli, gli schizzi e i diari di viaggio dell’epoca dei Lumi di Gilpin, Goethe, Schinkel. Il punto di vista del pittore si confonde col punto di vista del regista e della telecamera. Rohmer è di certo a conoscenza degli studi di Panofsky sulla prospettiva come forma simbolica. La prospettiva è in questo film un segno portatore di un preciso significato: lo sguardo della cultura francese al tempo della Rivoluzione. La prospettiva come emblema, sintesi tra scienza e arte, tra il mondo reale e il pensiero stesso del reale e quindi tra la mente umana e il visibile. Per la riuscita dell’impresa cinematografica di Rohmer è stata necessaria una concertazione perfetta di innovazione, tradizione e storia. Un incontro efficace e proficuo tra la storia dell’arte moderna e il cinema d’autore.
Un film però difficile da guardare senza indignarsi.