Salutato in patria come “il miglior documentario mai realizzato in Portogallo” e selezionato per rappresentare il paese lusitano nella corsa all’Oscar per il miglior film straniero, José e Pilar (uscito ora in Italia in dvd per la collana Feltrinelli Real Cinema) offre allo spettatore il privilegio di osservare da vicino la quotidianità di uno dei più grandi autori contemporanei, il premio Nobel José Saramago (1922-2010). Il regista, Miguel Gonçalves Mendes, segue per quasi tre anni (dal 2006 al 2008) la vita dello scrittore, raccontandola da un inedito punto di vista: il rapporto tra questi e Pilar Del Rio, sua seconda moglie e inseparabile compagna negli ultimi 24 anni.
Ne viene fuori un ritratto delicato e umanissimo, da cui emerge una figura umile e disponibile, a dispetto della deferenza e del timor reverenziale con cui si tende solitamente ad accostarsi a “mostri sacri” del genere. Nella sua villa di Lanzarote, isole Canarie (dove si è polemicamente auto-esiliato dopo lo scandalo e le accuse di blasfemia provocate in patria dal suo Vangelo secondo Gesù Cristo), Saramago racconta la genesi del romanzo in corso d’opera (Il viaggio dell’elefante), accoglie un gruppo di studenti italiani venuti per un’intervista, dispensa battute sul suo famoso ateismo militante. In una scena siede meditabondo al computer, per poi svelare, grazie anche al controcampo, che sta provando a risolvere un solitario. Ci lascia osservare, si diceva, una quotidianità fatta di conferenze, letture in librerie e teatri (ha appena pubblicato Le piccole memorie), inaugurazioni di mostre. Sembra quasi una pop-star per i continui viaggi in aereo, per le file di fans in coda per un autografo, che non nega mai a nessuno. A 84 anni, Saramago passa ore a stringere mani, firmare libri e sorridere per una foto (“Certo che potrei sottrarmi” – spiega – “ma in nome di cosa?”).
Ma il titolo del film è, appunto, José e Pilar, e i due sono co-protagonisti, collocati più o meno sullo stesso piano. Gonçalves sembra quasi voler confermare quel vecchio adagio che vuole una grande donna dietro ogni uomo di successo: Pilar Del Rio, giornalista e traduttrice spagnola, fa da segretaria a Saramago (smista la corrispondenza, prende nota dei suoi impegni…), ma allo stesso tempo è molto di più. I due si conobbero quando il futuro premio Nobel aveva già 63 anni, e la cronista, all’epoca trentaseienne, fece di tutto per incontrarlo e potergli parlare. Da allora, dicono, non hanno praticamente mai trascorso un giorno lontani l’uno dall’altra. Li vediamo camminare abbracciati verso i gates degli aeroporti, commuoversi alla proiezione del film tratto dall’opera più celebre dello scrittore (Blindness, regia di F.Meirelles). Pilar è diventata confidente, consigliera, musa ispiratrice (c’è una dedica per lei in quasi ogni romanzo – Saramago inizia a scrivere a tempo pieno solo intorno ai sessant’anni). È capace di ascoltarlo, ma anche di tenergli testa e contraddirlo nelle discussioni politiche con gli amici. Sa prendersi cura di lui.
Nella seconda parte del film, Saramago è sempre più stanco, la voce si fa flebile, è spesso costretto su una sedia a rotelle. Pilar deve annullare diversi appuntamenti, fino al ricovero di José in ospedale, che fa temere il peggio. Le lunghe settimane dell’incertezza e della malattia vengono superate con grande forza d’animo da parte di entrambi, e poco alla volta la situazione va normalizzandosi.
Si chiude così un cerchio, o meglio ricomincia un ciclo. Saramago riesce a portare a termine il Viaggio dell’elefante, a presentarlo, quando possibile, in giro, e racconta di avere l’idea per il prossimo romanzo (che sarà l’ultimo, Caino). In una conferenza, spiega che la storia dell’elefante Solimano (realmente esistito, nel XVI secolo, e donato dal re del Portogallo all’arciduca d’Austria Massimiliano) è per lui la perfetta metafora dell’insensatezza dell’esistenza. Dalle zampe dell’animale, che lo condussero per migliaia di chilometri, da Lisbona a Vienna, vennero infatti ricavati alla sua morte dei portaombrelli, destino beffardo dopo una tale epica traversata. Ma nonostante questo, ciò che emerge davvero è la grande voglia di vivere, fino all’ultimo, dello scrittore. Anche e soprattutto per merito di Pilar. Nella nativa Azinhaga, accanto a una strada intitolata a lui, un’altra è stata dedicata alla sua indispensabile compagna. “Se non l’avessi incontrata, mi sarei sentito molto più vecchio”.