Chiude per ferie la quarta edizione del Napoli Teatro Festival Italia, riaprirà tra una cinquantina di giorni per un altro mese circa (dal 9 settembre al 7 ottobre) di spettacoli disseminati tra i teatri del capoluogo. E chissà se la ripresa sarà altrettanto infuocata che questa prima tranche (26 giugno – 17 luglio), concepita sotto la pessima stella della minacciata soppressione e svoltasi poi in uno spiacevole crescendo di polemiche, fino al dramma andato in scena – rigorosamente giù dal palco – nell’ultima settimana. Tant’è che l’istituzionale incontro finale con la stampa, presenti il direttore artistico Luca De Fusco e Caterina Miraglia, presidente della Fondazione Campania dei Festival (“azionista di maggioranza” del NTFI), si è risolto in una strenua difesa d’ufficio della manifestazione da parte dei due massimi responsabili.
D’altra parte non potevano non fare scalpore i dettagli emersi in questi giorni sul contratto del direttore artistico: 65 mila euro di compenso annuo più il 35% sugli incassi di ogni spettacolo e indennità varie garantite fino al 2015 (suite con vista mare, lista di ristoranti “convenzionati” e autista personale, per dire), oltre a quanto gli deriverà dalla regia di uno degli spettacoli di punta della rassegna, L’opera da tre soldi, interpreti Massimo Ranieri e Lina Sastri. Tanto più queste cifre scandalizzano a fronte di un festival in crisi conclamata, salvato in extremis dalla cancellazione per insolvenza (allo stato permane il debito di 15 milioni di euro nei confronti di parte dello staff dell’anno scorso) e presentato a pubblico e addetti ai lavori come più snello ed economico rispetto alle edizioni passate. Si aggiungano le rivelazioni provenienti dall’interno dell’organizzazione in merito a uno staff messo su seguendo logiche non di merito ma politiche, quando non direttamente clientelari.
Per difendere il proprio operato la dirigenza ha scelto il contrattacco, tirando fuori dal cassetto il contratto del precedente direttore Renato Quaglia e i suoi supposti benefit dorati, e accusando a sua volta la passata gestione di sprechi diffusi e non-trasparenza nelle assunzioni. In ultima battuta la Miraglia si è poi appellata al “senso di patria”: Tutti dicono di amare questa città e la cultura, ma poi piovono giudizi censori e critiche che danneggiano Napoli e, ancor più esplicitamente, ci sono cose che andrebbero taciute anche se fossero vere.
Un vociare deprimente, che per tutto il festival ha riempito le pagine locali dei maggiori quotidiani nazionali, un vociare il cui peccato originale – come spesso accade in Italia, verrebbe da dire – è squisitamente politico. Il passaggio di consegne alla presidenza della Regione Campania, che sedici mesi fa ha visto la fine dell’èra Bassolino e l’insediamento del centrodestra di Stefano Caldoro, ha comportato un riassestamento generale (anche) del settore culturale. A dicembre il consiglio di amministrazione del Teatro Stabile di Napoli revoca il mandato del direttore artistico Andrea De Rosa, pur in possesso di un contratto fino al 2013, per sostituirlo con Luca De Fusco, “molto vicino” al sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Gianni Letta. A febbraio le dimissioni di Rachele Furfaro (già assessore in tempi di centrosinistra) da presidente della Fondazione Campania dei Festival si portano dietro anche quelle di Quaglia da direttore del NTFI. Il neo assessore regionale alla cultura Miraglia assume l’incarico della Furfaro, sostituisce gran parte del gruppo di lavoro esistente e nomina De Fusco alla successione di Quaglia. In due mesi Luca De Fusco è l’uomo più potente del teatro a Napoli, rivendica a ogni intervista l’apartheid subita durante il regime bassoliniano, scrive una lettera agli abbonati dello Stabile stile profeta che ritorna in patria.
Insomma, una perfetta storia italiana ai tempi dello spoil system (una volta si chiamava lottizzazione, ma è lo stesso), e non c’è bisogno di precisare che gli incarichi di De Rosa e Quaglia erano il frutto di prossimità politiche non meno dei loro successori, ovviamente di segno opposto…
E il teatro? Cosa rimane negli occhi del pubblico al termine del festival? La munnezza fuori ai teatri, dice il cinico, e certo non gli si può dare torto. Ma noi abbiamo anche visto una memorabile Tempesta, messa in campo da una fenomenale compagnia russa guidata alla regia dal peterbrookiano Declan Donnellan, ricca di invenzioni e dotata di una felicità visiva fanciullesca. O, ancora, in Hybris, un coraggiosissimo e folle Edipo recitato in greco antico, quasi un musical-prima-del-musical riemerso dalle rovine dell’antica Grecia. Forti di queste e altre immagini aspettiamo speranzosi il secondo tempo, che vedrà in campo tra gli altri una regia di Scaparro da Alexandre Dumas e una Casa di Bernarda Alba, oltreché, notizia di queste ore, un Riccardo III interpretato da Kevin Spacey per la regia di Sam Mendes.
Speranzosi. Come se il palcoscenico non fosse ormai solo l’agone di una guerra che usa Shakespeare e Sofocle per nobilitare una sete di potere inestinguibile.