16 febbraio 2010
Non sono andato all’anteprima del nuovo film di Clint Eastwood. Perché mai l’ho fatto? Non è uno dei miei autori preferiti? Quando si tratta di lui non si rivolge verso di me l’intera redazione, come dire: tocca a te, noi ci tiriamo indietro; quando si tratta di Clint chi, se non tu, può illuminarci, chi meglio di te descrive i “movimenti drammaturgici dell’anarchico libertario di destra del cinema americano”. Quest’ultima definizione rientra tra gli espedienti retorici prototipo del critico medio-alto, di grande effetto su un certo tipo di lettore, specie tra quelli che “vorrei ma non posso”, provoca rigogliosa riconoscenza interiore in chi ha già assorbito l’espressione, gli permette di unirsi in una setta mistica dello spirito. Ammetto di averla usata anch’io. Ti permette di posare pensoso con la mano poggiata sullo zigomo (preferibilmente sinistro) e ammiccare un sorriso ironico verso il lettore, come per fargli capire che tu sei di una pasta diversa, almeno politicamente. Quell’aria riflessivo-scafata però questa volta non mi viene. Cosa mai mi starà succedendo? Non avevo tuttavia via d’uscita, il compito di scrivere una recensione mi era stato assegnato dalle potenze angeliche, il fato m’indicava inesorabile quale interprete di Invictus, più prosaicamente gli amici di sempre. Per mia sfortuna era però già diventato un “compito” con quanto d’implicito ne può conseguire sotto il profilo psicologico, quasi un sottoporsi involontario agli obblighi scolastici fuori tempo massimo.
26 febbraio (venerdì) uscita del film
Devo recuperare. Non perdo tempo. Vado al primo spettacolo possibile. Appena il cinema apre le sue porte io mi faccio trovare lì davanti. Clint, Morgan, Matt siete miei! Gli orari sono pessimi. C’è da organizzarsi per bene altrimenti diventa complicato. Con una durata di 134 minuti (così leggo nelle note tecniche del film; mi faccio un calcolo più o meno rapido: 120 sarebbero due ore, ci aggiungo 14, in totale sono due ore e quattordici minuti. Caspita, mica poco. A questo punto – mi dico – andiamo oltre coi tempi se vogliamo superare i limiti imposti dall’industria dello spettacolo, oltre veramente, non fermiamoci a questo antipaticissima durata che supera la media di ogni altra proiezione, obbligando lo spettatore ad acrobazie combinatorie per trovare la proiezione che fa per lui. Più lungo è più artista? Ti sbagli di grosso caro Clint. Più lungo non garantisce nulla e come diceva Harkne Kakakui: la brevità regala perle), con una durata di 134 minuti c’è il rischio, con una programmazione sfalsata, di non trovare l’orario che si confà alla mia agenda palinsesto. In effetti finisce che non riesco. Dopo una giornata di lavoro iniziata alle nove e terminata alle sei, con all’inizio e alla fine gli spostamenti nel libero traffico di Roma, bisogna essere invincibili (almeno quanto Nelson), volenterosi e dotati di saldi principi morali per ficcarsi in un sala con un film di due ore e quattordici. Troppo. Non ce la faccio. Forse sabato o domenica andrà meglio.
27 febbraio
Saltato. Primo pomeriggio lavoro, avevo dimenticato che questo sabato toccava a me stare in ufficio. Niente cinema. La sera, quale pescecane morso dalla fame, giro intorno all’idea, pronto ad azzannare il malcapitato oggetto del desiderio filmico, da tradurre poi in una fresca cascata di parole dirette a cingere il flusso delle immagini… Capito? Ma cosa dici mai! Ci riprovo: mi aggiro nervoso intorno all’idea di uscire nel pomeriggio per sdraiarmi in una poltrona, così potrò adempiere ai miei doveri di recensore. Magari mi leggo qualcosa prima, c’era qualcosa di interessante sul giornale. Leggo e vado.
28 febbraio (domenica)
Sveglia tardi. Serata felice. C’è da preparare il pranzo. Relax. Adesso non mi torna in mente con precisione la ragione. Non ricordo il motivo. Devo aver perso qualche passaggio di quanto accaduto ieri. Forse una rimozione? Non saprei dire. So per certo di aver saltato ancora una volta l’appuntamento con Invictus.
12 marzo (lunedì)
È passato del tempo. Ho sempre meno voglia. Dopo letture varie di articoli che esaltano l’ultimo capolavoro di Clint mi sento sempre più demotivato. Cos’altro mai potrò aggiungere al diluvio di pacche sulle spalle al duro dal cuore tenero della “buona e vecchia America?”. Parigi in piedi. Londra srotola il tappeto rosso. Berlino batte le mani. Roma s’accoda, l’Italia tutta dice sì con la testa. Leggo: “Un film assolutamente classico”. Quanti saranno quelli che ripetono e scrivono quest’affermazione? Centinaia, migliaia, milioni. Non so, ma un numero sicuramente grande. Tra i tanti che l’hanno scritta ce n’è uno che ci può spiegare – per favore – che vuol dire un’espressione del genere? Com’è un film classico oggi, rispetto a che possiamo parlare di un film classico? Silenzio assoluto. Allora non si tratta di critica. Questa non è critica. Questa è propaganda. Vogliamo semplicemente dire che è un classico perché mette insieme due contenuti: biografia e sport? Può essere sufficiente? Non va proprio. Vi boccio maledetti critici pagati per scrivere queste cose.
26 marzo (venerdì)
Abbasso gli occhi quando incrocio la caporedattrice. Li abbasso anche quando leggo le mail da lei inviate per ricordare i film da coprire. Brilla in fondo alla lista il mio compito ancora non portato a termine. Non ho recensito Invictus. Quando la incontro lei mi sorride cortesemente, io le sorrido cortesemente, cerco di instradare il discorso altrove, verso altre questioni. Le potrei dire: non ci voglio andare a vedere questo film, non ne voglio scrivere. Non capirebbe, lo prenderebbe come un capriccio. Non posso permettermelo. Posso sperare che lei dimentichi, che negli avvisi di redazione non continuerà a mettere per mesi e mesi quanto da me non portato a termine. Però è una precisa. È metodica. Non dimentica perché riprende sempre dalla puntata precedente, dalla mail precedente, dalla riunione precedente, per ricordare quanto resta da compiere degli impegni presi dai diversi redattori. Sono in una situazione senza via d’uscita. Potrei accusare una malattia? Ma che dici mai!
2 aprile (venerdì)
Changeling, diverse persone hanno lodato questo film di Clint uscito un anno fa. Io l’ho trovato inutile. Incantata e leziosa ricostruzione del passato. Insomma belle scenografie digitali e poca ciccia. Drammaturgicamente ricco di effettacci. Il tema non era una novità, già toccato da altri, senza che Clint vi abbia portato qualcosa di suo. Invece la storia di Nelson Mandela che attraverso lo sport pacifica il paese, risuona per alcuni commentatori come un esempio politico da prendere in considerazione per l’Italia in perenne conflitto, col rischio mai sopito di una separazione tra Nord e Sud. Ho letto che i nostri leader nazionali dovrebbero ispirarsi a lui. Mettere da parte gli interessi
personali e di partito per guardare al bene comune sull’esempio di Mandela, diventare strumenti di conciliazione sociale nell’interesse generale. Una squadra, una nazione. Per lo slogan non ci sarebbero difficoltà. Anzi la campagna promozionale riuscirebbe benissimo. Quanto all’effettiva messa in pratica di comportamenti ho qualche dubbio.
10 aprile (sabato)
L’ho visto. Ce l’ho fatta. Ma non ne scriverò mai e poi mai. Con Million dollar baby ha raggiunto il massimo dell’ultimo periodo. Flags of our father e Lettere da Iwo Jima ci siamo ancora. Ho amato, nonostante i pareri avversi di amici stimati, il finale di Gran Torino. Mi lascia distante quest’ultimo.
15 aprile (giovedì)
Le donne sono un contorno stereotipato in Invictus. La politica, lo sport, le questioni che contano vedono protagonisti solo gli uomini.
16 aprile (venerdì)
Pare che il film sia un piacere che Clint ha fatto a Morgan Freeman che ci teneva ad essere immortalato in un ruolo “serio”, gli piaceva apparire come un politico capace, serio e di colore. Insomma voleva porsi sulla scia lunga dell’elezione di Obama. Interessante, proprio interessante…
19 aprile (lunedì)
Tutto è prevedibile e noioso in questo film. Non funziona nemmeno il crescendo che porta alla partita risolutiva. La ragione è semplice, una ragione che chiamerei “classica”: il racconto manca di conflitto, di incertezza sull’esito finale. Inoltre lo spettatore sa sin dall’inizio che il protagonista è “invincibile”, per cui quale godimento potrà mai ottenere se questa invincibilità supera facilmente ogni difficoltà? Nessuna. Ci voleva un genio di sceneggiatore per risollevare le sorti del prevedibile o almeno un pizzico di passione in più. Altrimenti un regista che condividesse con maggiore forza il progetto, sembra girato con la mano sinistra. Quando poi sul finale s’inventano il possibile attentato allo stadio per far salire l’adrenalina mi sono detto: “È troppo, cosa ho mai fatto per meritare questo?”. Perché mai allora dalla più piccola web magazine al grande quotidiano nazionale non c’è nessuno che si sia espresso con un sonora stroncatura di Clint? Ho le visioni? Sono solo io ad aver visto qualcosa di scarso valore anche se fatto con mestiere?
22 aprile (giovedì)
Basta con questa finzione. Non voglio continuare a rimandare. Basta con i buoni propositi. Affronterò tutti con coraggio. Lo dirò senza timore e con onestà: io non voglio scrivere una recensione sull’ultimo film di Clint Eastwood. Non lo farò mai e poi mai.
grande! bellissimo articolo…. la critica al cinema come critica a se stessi… Complimenti.
Non ho visto gli ultimi film di Clint ma sono certo che il miglior Eastwood e’ quello della foto, con i pantaloni a vita alta e la polo a maniche corte.
probabilmente fa troppi film. uno in meno per uno migliore potrebbe essere la formula. ma l’età spinge a produrre inesorabilmente, a lasciare un segn, almeno in quantità.
grande davvero! la recensione non-recensione dico, questo diario di un conflitto interiore penso, che si stratifica lentamente e prende forma piano, non voglio, non voglio. più chiaro di così, basta testimoniare, almeno, e alla fine si è creato qualcosa. il film non l’ho visto, per caso ho trovato gran torino qualche sera fa, e il finale ha stupito anche me, completamente fuorviata dalla storia-dietro.
vedremo.