In occasione della proiezione del film alla rassegna curata da Nanni Moretti, BIMBI BELLI (Nuovo Sacher), giovedì 15 luglio, ripubblichiamo la recensione del film scritta in occasione dell’uscita in sala. [**] – Lui è Marco Campogiani, un regista alla sua prima opera. Il film si chiama La cosa giusta e ha partecipato all’appena concluso Torino Film Festival – ventisettesima edizione, nella sezione “Festa mobile”. La cricca comprende attori alquanto famosi: Ennio Fantastichini, lo stesso de I ragazzi di via Panisperna, Paolo Briguglia, quello di Ma quando arrivano le ragazze?, Camilla Filippi, la figlia di Lo Cascio in La meglio gioventù, Ahmed Hafiene anche attore in La giusta distanza e Gianni Vattimo del Pensiero debole.
Dovevo vederlo con una persona, che invece è rimasta fuori perché la sala era pienissima, ed è stato un peccato, per la persona dico, perché vedere un film alla sua prima proiezione pubblica, con in sala regista, attori e cast tecnico è un’altra cosa. Dopo la presentazione di Amelio e del regista si sono spente le luci e qua e là brusii d’eccitazione di così tante persone tutte insieme tentavano ancora di resistere come fiammelle. L’audio per qualche secondo non è andato e una sorta di sommossa popolare divertita e divertente è partita da qualche parte al centro della sala, proprio dai posti riservati alla troupe. Sembrava la stessa canzonatoria ribellione degli adolescenti schierati in ultima fila in un’unione di banchi che fischiano e fanno “buuuu”. E allora ho pensato: questo film dev’essere per forza divertente, sono troppo simpatici. E infatti. Ho riso di vero gusto in più punti (uno di questi è rappresentato dal primo turning point del film). Ero cosciente di fare il gioco delle parti, ma non poteva essere altrimenti: erano tutti lì (quelli della troupe) curiosi di vedere in presa diretta l’effetto che fa. E a volte capita (quando ti va di lusso per la verità) che ridi e non puoi fare altrimenti, che ridi e questo avviene al di là della tua più stretta volontà.
Il film inizia con un arrivo. Un aereo della compagnia nazionale tunisina atterra in un aeroporto. Il film procede e l’aeroporto – di cui sopra – è senza esitazione l’aeroporto di Tunisi. Sappiamo dove siamo. Il perché potrebbe essere di quelli subito chiari: la location è dichiaratamente turistica e la scelta delle inquadrature ben si confà a questo utilizzo. Panorami, medine eccetera. Eugenio (Briguglia) è in viaggio di nozze con la moglie Serena (Filippi). Ma dopo circa 15 minuti il film torna indietro e riparte dal vero inizio della fabula, per poi mettersi in pari rispetto all’intreccio solo nella seconda metà inoltrata del film. E lì capiamo che ai “perché” subito evidenti si sommano motivi di altra natura. Siamo a Torino e la seconda location è certamente usata in modo meno turistico: non è un viaggio, è la vita vera, quella quotidiana, quella del lavoro. Ma per chi Torino la conosce o la vive, sono chiaramente riconoscibili Porta Palazzo, Piazza Vittorio e via dicendo. Siamo a Torino, dicevamo: Eugenio è un poliziotto di ventotto anni, illuminato da una luce particolare, dalla luce di una sensibilità speciale e non è solo un fatto di giovane età (anche se a somme tirate la giovane età avrà il suo peso). Il lume, la luce o la buona stella che lo assiste lo condurrà ad essere affiancato a un collega più anziano e navigato, Duccio (Fantastichini), in un lavoro più importante, più prestigioso, quello dei servizi investigativi. I due prima pedinano poi proteggono un arabo sospettato di intrighi terroristici, il cui avvocato è Gianni Vattimo (poche comparse ma in una di queste lancia un lungo, severo, sguardo da esimio professore di filosofia). Ennio Fantastichini, al quale è affidato il supporto ironico del film, mantiene bene la parte anche se lascia intravedere (volutamente) in più punti l’amarezza di cui poi sarà capace. Camilla Filippi (bravissima), la (prima) fidanzata (poi) moglie di Paolo Briguglia, cerca di indirizzare lo spettatore verso il sospetto di un imminente pericolo che incombe sul fidanzato – marito. Pericolo della cui presenza tangibile però non se ne ha mai né il sentore né qualche vago sospetto.
Il “e vissero felici e contenti” avviene talmente presto (in termini puramente temporali) che per forza di cose ci si aspetta lo stravolgimento. E infatti, improvvisamente, il cosiddetto “stato di grazia apparente” rivela tutta l’apparenza del suo stato e il film cambia direzione. Per la verità la permanenza dello stato di grazia pare in alcuni momenti spingersi al di là dello strettamente verosimile (per quanto la chiave interpretativa della vicenda sia a vocazione tendenzialmente fabulistica). I due entrano in crisi come unità lavorativa o più propriamente, ormai, personale, essendosi innestato anche il discorso relazionale e confidenziale. E’ l’occasione che crea il regista per rovesciare i riferimenti, per cogliere un tema, attuale, da un punto laterale, insolito, leggero. E così facendo dispone il tutto su una serie di ribaltamenti di opposti. La cosa giusta da fare qual è? E’ possibile capirci qualcosa di più solo attraverso sostituzioni di ruoli, di prospettive, di posizioni, di territori di neve e territori di sole, tramite cui è possibile recuperare i tradimenti, riscattarsi, avere l’occasione per dubitare delle scelte fatte. Eugenio è giovane, ha la possibilità di ripensarci. E ci sta pensando, a qual è la cosa giusta, mentre all’aeroporto (come l’inizio), luogo di transizione verso la cosa giusta, lo lasciamo in stato semiconfusionale. Continuare, lasciare. Forse lasciare.
Le musiche, bellissime, sono dello stesso autore, Theo Teardo, di quelle, bellissime, de Il divo, La ragazza del lago, L’amico di famiglia. Insomma lo stesso che hanno scelto quelli “giusti” del nuovo, italiano, cinema paradiso.
Grazie per la lunga, analitica, divertita recensione.
tutto necessario. 🙂