La società argentina non si rimetterà presto dal trauma causato dalla dittatura. Questa è una sensazione chiara e netta a giudicare, almeno, dai film che ci giungono da questo paese e che continuano a ruotare, in maniera quasi ossessiva, intorno a questo soggetto; da La mirada invisibile di Diego Lerman, presentato l’anno scorso alla Quinzaine, a El premio di Paula Markovitch, in concorso alla Berlinale, o infine a Abrir purtas y ventanas di Milagros Mumenthaler, premiato quest’anno con il Pardo d’Oro a Locarno e ora presentato alla Viennale.
Per essere superata, questa lesione deve essere rielaborata, raccontata, rivelata. Il film della Mumenthaler esprime con veemenza, non fosse che attraverso la scelta simbolica del suo titolo, la necessità della giovane generazione di fare piazza pulita dei fantasmi e dei traumi del passato, di portare alla luce il non detto, di denunciare e di sbarazzarsi di tutta l’ipocrisia, dei segreti ed in fin dei conti, della connivenza che definisce la società argentina di oggi.
A prima vista Abrir puertas y ventanas non ha nulla a che vedere con tutto ciò, ma proprio la forma indiretta ed implicita che Milagros Mumenthaler ha scelto per trattare questo soggetto ne rende l’impatto ancora più efficace.
Proiettato in una sala stracolma martedì sera alla Viennale, il film ha suscitato un lungo e vivace dibattito fra la regista ed il pubblico viennese.
Abrir puertas y ventanas descrive le vite di tre giovani sorelle nella loro grande casa di famiglia dopo la morte della nonna che le ha allevate. Attraverso l’osservazione precisa e spietata di gesti e comportamenti, la regista costruisce un sottile dramma psicologico centrato sulla tensione costante fra quanto viene detto e quanto viene nascosto.
La vicenda si svolge nel corso di un anno ed è scandita dal cambio delle stagioni. All’inizio del film è estate; il caldo si fa sentire in maniera opprimente fra le mura della grande casa. Le tre ragazze vagano svogliate ed indolenti da una camera all’altra passando la maggior parte del loro tempo buttate apaticamente su letti e sofà.
Di fronte alla perdita della nonna che aveva preso il posto dei genitori ‘scomparsi’, Marina, Sofia e Violeta, sono completamente disorientate. Controversie, invidie, ipocrisie, atti meschini, e una vaga forma di solidarietà caratterizzano questo momento di vuoto e di transizione che la regista descrive con uno stile sobrio e minimalista.
Le sorelle sembrano essere prigioniere di una casa che non appartiene loro pienamente; una casa gravida di ricordi rimossi, di presenze spettrali – la nonna recentemente morta, i genitori misteriosamente scomparsi in un passato remoto – e di segreti gelosamente custoditi in vari luoghi tabù: il granaio, il garage, la stanza della nonna, i suoi cassetti…
Ma i segreti non riguardano solo il passato, definiscono ben più ancora il presente delle tre ragazze e i loro rapporti: di fatto nessuna sa veramente cosa fanno le altre. Marina, Sofia e Violeta si scrutano e si spiano a vicenda.
Tutte hanno qualcosa da nascondere: Violeta, la sorella minore, che frequenta il liceo, nasconde, sotto un’apparenza languida ed indifferente, un carattere passionale ed ha una relazione amorosa con un uomo più grande di lei che riceve in casa quando le sorelle sono assenti.
Sofia, la sorella di mezzo, torna di notte dalla città sempre con molti soldi in tasca, li nasconde fra la biancheria nel suo armadio e tutto lascia supporre che li guadagni in maniera illecita.
Marina, la più matura e responsabile delle tre, cerca di preservare il nucleo famigliare e di prendersi cura di tutte le cose pratiche ma é anche lei persa nel suo mondo. Sgraziata e goffa rispetto alle sue sorelle, passa il suo tempo ad osservare di nascosto le mosse di Francisco, un ragazzo che affitta una casetta nel loro giardino.
Fra le tre ragazze, che non potrebbero essere più diverse l’una dell’altra, vige un fragile equilibrio di forze, fatto di alleanze e antagonismi: è soprattutto Sofia, la sorella di mezzo, che nutre un affetto illimitato per la sorella minore e un astio altrettanto feroce per quella maggiore a instaurare, con il suo comportamento volubile ed aggressivo, un clima di tensione costante.
Siamo ormai in autunno: i giorni si trascinano blandamente per le tre sorelle che cercano, come meglio possono, di affrontare il loro malessere e i loro compiti quotidiani: Marina, seria e applicata, si divide fra faccende amministrative e studio, Sofia, tenta, con vari stratagemmi di riuscire i suoi esami all’università, Violeta sempre più assente, fa finta di andare a scuola, ma di fatto passa le sue giornate a casa. Poi un bel giorno decide di fuggire con il suo uomo senza avvisare nessuno e senza lasciare un recapito.
Rimaste sole, Marina e Sofia s’isolano sempre di più l’una dall’altra; nel cuore dell’inverno la distanza che le separa diventa sempre più grande.
Man mano che il tempo passa questo rancore si trasforma in ostilità aperta; l’odio che Sofia prova per Marina è ormai tale da indurla a pensare che la sorella maggiore sia stata adottata. Marina dal canto suo, in preda ad un attacco di rabbia, tenta di penetrare con forza nella camera di Sofia che quest’ultima ha preso l’abitudine di chiudere a chiave. Qualche giorno più tardi, dopo avere tentato invano di scassare la serratura della porta di sua sorella, Marina infuriata scassa con un martello il catenaccio con cui Sofia aveva chiuso il garage; scopre così che nel frattempo è stato completamente svuotato di tutte le cose appartenute ai loro genitori.
Gli oggetti che evocano il passato iniziano, uno dopo l’altro, a essere evacuati dalla vita delle protagoniste: dopo il garage è la volta del granaio e infine dell’albero davanti alla porta di casa che deve essere tagliato perché le sue radici si stanno putrefacendo. Non per caso era proprio lì che le ragazze avevano scelto di seppellire le ceneri della nonna. Così facendo Marina e Sofia cominciano, anche in senso figurato, a sradicare il passato, liberandosi a poco a poco del suo peso.
Con l’arrivo della primavera le cose sembrano lentamente cambiare per il meglio; fra Marina e Francisco nasce una storia d’amore che riconcilia infine la ragazza con se stessa. Anche Sofia sembra più serena e decide finalmente di dare a sua sorella notizie di Violeta, con la quale è restata segretamente in contatto.
La fine liberatoria della vicenda ha luogo quando le due sorelle decidono di svuotare completamente una stanza, strappare la tappezzeria dal muro, aprire porte e finestre e riappropriarsi del luogo mettendovi infine le proprie cose, fresche e giovani, trasformando così quello che era stato, fino a quel momento, una specie di mausoleo, in un luogo di vita aperto al futuro.
“Alla fine tutto troverà il suo posto!” dice Sofia, decretando così il nuovo ordine delle cose.
Film di formazione, Abrir puertas y v
entanas, segue il cammino di tre sorelle dall’adolescenza verso l’étà maggiore, alla conquista di un’autonomia e indipendenza che possono attingere solo a patto di liberarsi dal fardello del passato.
La vicenda si svolge interamente nell’ambito delimitato dalla casa e del suo giardino: la cinepresa penetra all’inizio del film all’interno di questo luogo per non lasciarlo più. L’universo simbolico della pellicola è costruito secondo un modello architettonico. In una delle prime sequenze del film le ragazze si danno da fare per incollare, come meglio possono, dei cubi di carta, sul fatiscente plastico che Sofia deve presentare all’università. I vari pezzi cadono, si sfaldano, tengono a malapena così come la coesione famigliare delle tre sorelle, minata dalla morte di Alicia che ne garantiva l’unità e il funzionamento. La casa stessa somiglia al plastico di Sofia, i suoi spazi formano un sistema di scatole chiuse, incastrate l’una sull’altra; a partire dalla più grande – il perimetro del giardino – fino alla più piccola – i cassetti chiusi a chiave della nonna. Tutti questi luoghi custodiscono gelosamente oggetti segreti, sono testimoni di ricordi dolorosi o di passioni inconfessate come il corsetto di pizzo della nonna, o i soldi di Sofia e devono restare invisibili agli altri.
In quest’ottica il ruolo delle porte diventa cruciale. Segno di apertura e di comunicazione se aperte, d’isolamento e rigetto se chiuse, le porte sono il leit motiv della sintassi del film. Milagros Mumenthaler le declina in tutte le varianti possibili: porte chiuse, porte spesso sbattute con forza e rabbia, serrate a chiave o con dei lucchetti, aperte con violenza o addirittura scassate. Attraverso queste barriere mobili le tre protagoniste sembrano comunicare esprimendo i loro sentimenti reciproci, le loro paure, i loro desideri e le loro speranze. Al valore simbolico di gesti e oggetti corrisponde una messa in scena rigorosa, di una grande bellezza formale: la regista rivela una mano sicura alternando delle lente panoramiche nello spazio della casa con dei piani fissi costruiti con grande perizia.
Mumenthaler mostra di possedere un gusto spiccato per la composizione pittorica delle inquadrature: spesso le tre ragazze vengono ritratte insieme in una posizione di semi immobilità come fossero dei tableaux vivants. Molto bella è una scena in cui la cinepresa le riprende sedute nella semi-oscurità su un sofà ascoltano un vecchio disco, appartenuto alla nonna o forse ai loro genitori, persa ognuna nei propri pensieri e nel proprio dolore.
In un’altra scena nel giardino l’inquadratura ritrae in primo piano Marina con un libro in mano seduta sull’erba mentre, in secondo piano, Sofia applica della crema sul volto di Violeta sdraiata alle sue gambe. La disposizione dei corpi nello spazio esprime e riflette i rapporti fra le tre ragazze: Marina, distaccata e responsabile, Sofia e Violeta più frivole e complici fra loro. Alla precisione dell’allestimento corrisponde altrettanta precisione nella scelta dell’abbigliamento delle tre ragazze, riflesso pertinente della loro personalità.
Toccante, corposa e credibile la pellicola deve molto alle straordinarie interpretazioni delle sue protagoniste che, con grande finezza, hanno saputo dare vita ai loro personaggi travagliati e complessi creando tre figure di giovani donne dal carattere inconfondibile. Marìa Canal, nel ruolo di Marina, è stata giustamente premiata al festival di Locarno con il Pardo d’Oro per la migliore interpretazione femminile.
Attraverso le sue immagini ricercate, il suo ritmo ampio e meditativo, la complessità della sua scrittura e le sue zone d’ombra, Abrir pueras y ventanas, riesce ad associare la descrizione dell’intimità di un microcosmo femminile alla riflessione sul rapporto di un paese con i fantasmi del proprio passato, dimostrando come, nel linguaggio cinematografico si possa esprimere un pensiero politico attraverso la poesia.