di Federico Vignali/Nel film Birdman di Inarritu la scena memorabile in cui Emma Stone ragiona su Raymond Carver per noi è stata durissima. In pochi secondi e in modo abbastanza brutale ci ha ricordato che se un autore è oggetto di una venerazione ostinata da parte di un gruppo compatto e autoreferenziale di appassionati (tra cui noi) non è detto che non possa poi col tempo risultare almeno inattuale a tutto il resto della civiltà.
Del resto, qui a Roma, non è che lasciamo sempre una grossa mancia a ogni cassiere al bar e la di torta di mele non è mai esattamente la prima cosa che cerchiamo all’emporio aperto h24 sotto casa. Anche Easy rider o Ultimo Tango a Parigi se uno ci pensa, sono stati osannati per intere generazioni, ma ora hanno una portata destabilizzante ma molto meno radicale rispetto a quando uscirono.
Detto questo va ammesso che ci sono sempre delle eccezioni e alcune opere riescono non solo a rimanere al passo con i tempi, ma anche ad anticipare di decenni temi, contenuti e critiche sociali. Subito dopo aver visto Indivisibili di Edoardo de Angelis in questo senso viene da pensare con ammirazione indefessa a Marco Ferreri. Il film sulle gemelle siamesi neomelodiche ora nelle sale omaggia volutamente certe intuizioni proprie de il regista de La donna scimmia. La filmografia dell’autore Milanese riesce a essere profetica e spietata comunque anche nei capitoli che non sono stati assimilati in maniera più o meno forzata alla commedia all’italiana.
A vent’anni dalla morte di Maurizio Grande, uno dei più grandi studiosi del cinema di Ferreri, approfittiamo per ricordare Ciao Maschio del ’78. Opera questa che pur in una costruzione estetica ridotta all’osso (e forse proprio per questo) riesce ancora ad avere una potenza simbolica inaudita e folgorante. Muccino senior tempo fa aveva criticato la cura delle immagini nella produzione per il grande schermo di Pasolini. Non osiamo immaginare cosa potrebbe mai dire di un film come questo. Pur nella povertà delle sue armonie visive e nella scarsa coerenza della trama, la storia con un giovane e irresistibile Gerard Depardieu porta ancora dentro di sé una carica di ferocia e una forza di disadattamento incontrollata ai più grandi cambiamenti della nostra epoca disarmante.
In Particelle elementari, Houellebecq scriveva che la civiltà occidentale sembra di nuovo genuflessa davanti ai cazzi enormi, come il babbuino hamadryas. Beh i grattacieli di New York corrosi e disabitati nello sfondo di questo film sembrano contraddire in parte quell’iperbole, tanto più che la dirompenza scenica del fantoccio di un King Kong gigante sfinito e stremato ai loro piedi è ancora incredibilmente suggestiva. Il punto di vista di Ferreri sulle trasformazioni nei ruoli sessuali tra uomo e donna sembra più che chiaro e la figura dell’erotomane Mastroianni deriso e umiliato dice molto quanto i toni quasi leggeri e surreali della scena delle violenze del gruppo di attrici su Depardieu. Molto più corrosiva la critica all’idea di possesso e consumo nelle relazioni tra maschio e femmina o genitori e figli. L’istinto di conservazione ai cambiamenti si controbilancia ad una propensione al consumo deresponsabilizzata e priva di ogni forma di coscienza dell’altro. Non è un caso che il rapporto del protagonista con la sua scimmietta adottiva termina solo di fronte alla morte violenta di quest’ultima e la relazione con la propria amante si conclude quando lei rimane incinta. La nascita e la morte in questo senso sono gli unici atti consapevoli in una realtà dove l’uomo non riesce più a prendere coscienza di nulla. La stessa cultura, rappresentata in modo emblematico dal museo delle cere dove lavora Lafayette sembra solo il simulacro di una massa di miseri manichini, gestiti da un personaggio rozzo e senza dignità. Lo spaesamento dei protagonisti è rappresentato anche dal fatto che nessuno sembra rendersi conto se vive sotto un controllo militare o politico che lentamente svuota la città. Proprio la forza del film si fonda nelle cariche visive che il regista riesce a conferire alla vista degli scenari vuoti di New York. Vedendo Indivisibili, viene da fare un confronto con le spiagge carbonizzate e lunari di Castel Volturno, anche se la visione di Ferreri sembra più glaciale e con una prospettiva più carica di significati. Siamo pronti ad aspettare trent’anni per vedere come possa evolversi l’interpretazione del film di De Angelis. Per il momento il punto di vista di Ferreri ancora ci tramortisce, anche se paradossalmente ha una capacità tecnica e una consapevolezza dell’uso della mdp molto meno completo dell’autore di Perez.
Bellissimo Fede, ci hai ricordato quanto il cinema di Marco Ferreri sia in anticipo anche rispetto ai tempi che stiamo vivendo….rispetto a Indivisibili trovo che, al contrario di Ferreri, De Angelis abbia una tendenza estetizzante sulla deformazione e sulla bruttezza ,esteriore ed interiore, e non trovo neanche una profonda connessione tra queste due dimensioni: tutti i personaggi sono rimandati principalmente alla loro funzione narrativa pur essendoci sequenze magistrali e potenzialmente cariche di significati altri, ma mi pare che più l’allegoria o il simbolo a un certo punto si cerchi l’effetto ( sempre al contrario di Ferreri che invece, proprio in Ciao maschio e anche in altri titoli, riduceva letteralmente all’osso rappresentazione e narrazione, rifiutando psicologismi e intreccio)
sarebbe bello portare al Detour Diario di un vizio e poi lasciar scatenare come ospite d’onore Jerry Calà nel foyer