Per parlare di un film tanto fluido quanto complesso quale Le meraviglie di/con Alice/Alba Rohrwacher è necessario richiamare toni e forti immagini, metafore ardite quanto illuminanti. Diremo allor, cari lettori, che il cinema non vive o muore per le spente rutilanti immagini commemoranti di un Tornatore, né (purtroppo) per il patinato cinismo raffrescato di grottesco del pur genialissimo Sorrentino, ma vive (come già del montaggio narrativo sincopato spaziotempo di Demme in Silence of the Lambs) ora, per l’appunto, nelle vicende Meravigliosamente da Alice narrate.
Racconto o sogno in presa multipla sfasata sospesa direttissima, nutrito di lunghi e verdi campi, piani medi, piani primi giustapposti a cieli azzurrissimi mari del pari ma di brezza increspati, tra macchie mediterranee e isole di Capraia o di che, luci chiare o morenti o risvegliate nelle viscere di tufacee grotte, quando non riflesse dagli schermi mobili di ripresa posti sopra il capo di una incanutita semiGOT(hron)ica Bellucci Monica tra le bianche pozze di saturnia o simili.. di meraviglia, anzi di molteplicità nel sentimento di essa e nell’oggetto che la ridesta, qui si parla.
Le meraviglie circondano l’io vivente e testimone di Gelsomina, sorella adolescente grande di quattro, che interagisce con l’autoritario babbo Wolfango, la mamma una stranita delicata Alba Rohrwacher, la deuteragonista Coco, che parlando in tedesco tiene testa a Wolfango, mentre l’Angelica Alba in francese comunica quando non si voglia far comprendere dalle bimbe, ovvero in un romanesco stilizzato idealizzato, a sovrapporsi all’italian, poco parlato. La parola a volte sparisce, diventa sguardo, canto, sospiro..o per sino fringuellante fischio… protagonista assoluto, con le api, di un indimenticabile ‘spettacolino’ agito da Gelsomina fuor di palinsesto e di metafora (e proprio ora che, fuori, il gelsomino è così pervasivo e tanto si spande, dolce delicato nell’aria…. il nome ogni volta evoca rievoca una sensazione gradevole appena vissuta…)
Le meraviglie sono la natura, la pioggia, il vento, le piccine due scalpiccianti nelle pozze fangose quando il seren ritorna, Marinella sorellina dagli occhi azzurro mare quando al sole, aggraziata nella plumpitudine e ballerina al suono colonna portante di T’appartengo d’Ambra Angiolini, catturante emblema sonoro di ricerca della passione nella semplicità pacifica, attraverso la libertà, il silenzio, i luoghi di popoli antichi, metaforizzati dalla sin-cerità del miele..puro dolce trasparente e ‘naturale’, senza cera come nell’etimo classico suo, in qualche modo derivante o connessa alla poltiglia melassiforme che stilla dai bidoni nei secchi.
Le meraviglie rivestono di leggerezza anche i rapporti e contenuti implicati e descritti nel quotidiano, tra norma e regola, legge e comportamento, debito e credito, stupore e tremore, necessità elementari affidate ai cicli delle stagioni ma anche contaminate dal mondo della tivvù che però si cala per calcolo o per pura ipotetica fantasia nel reale alla riscoperta dei sapori, gli odori, gli ambienti veraci o contadini allevatori trasformatori di campagna.
Le meraviglie sono uditive, gustative, visive, affidate ai corpi delle api come ai cammelli, alle coperte colorate e alle notti all’a(r)iaperta, ai pochi momenti in cui la mamma ‘respira’ con le bimbe senza il padre tonitruante, a volte sgarbato, spesso (si apprende) scialacquatore…ma soltanto in cammelli (!)?
Non importa quasi che la gara del paese delle televisive meraviglie venga vinta non dai Nostri ma dal vicino inquartatissimo operatore ‘nel suino da molto tempo’, lombrosiano discendente dell’antichi estruschi, popolo enigmatico sorridente evoluto ma che non fornisce all’estremo discendente la consapevolezza di usare pesticidi letali per le api, che non è come Wolfango fiero nemico dei cacciatori e forse.. si sospetta .. ahinoi pur pratichi.
Poco ci cale che le quattro bimbe meraviglia e la madre subiscano forse in fondo soffrano della rudezza del padre.. della sua ritrosa antimodernista follia..
Al termine noi sappiamo, sia che loro nuotino, cantino, parlino, sussurrino, si feriscano allo smielante lavoro, corrano, scappino, si spaventino, temano amino il padre, adorino fondatamente la madre… che la vita loro è imbevuta, nutrita, accarezzata dal venticello della meraviglia..e che sapranno tener testa alle lusinghe del mondo..che forse sta finendo..e forse, chi sa, per alcuni tanti tutti è già finito..ma ritorna meravigliosamente al cine, talvolta.
Devo dire che è la prima volta che leggo una recensione scritta quasi col vezzo di una poesia! Lavoro interessante e suggestivo. Ti manca solo forse di farla in metrica 😉