Crossingeurope, festival di punta del nuovo cinema europeo (Linz 1-6 giugno), mostra la sua unicità e originalità fin dal primo giorno; chi si aspetta di vedere un solo film di apertura sarà piacevolmente sorpreso, perché i film scelti per inaugurare la manifestazione, esprimendo così la diversità del cinema made in Europe, sono ben quattro! Quest’anno il pubblico poteva scegliere tra la prima mondiale di Surviving Gusen di Gerald Harringer e Johannes Pröll, un documentario sui campi di concentramento nazisti nella zona di Leeds, Servants del regista slovacco Ivan Ostrochovský, a cui è dedicato l’omaggio del Festival di quest’anno, Mandibules, l’ultima produzione del maestro dell’assurdo Quentin Dupieux, e infine I’m your man di Maria Schrader, presentato in concorso alla Berlinale quest’inverno. Tra questi quattro titoli, ho deciso di guardare un film che avevo già visto online quest’inverno e che mi aveva conquistato con la sua grazia sottile e il suo humor dai toni malinconici, I’m Your Man, curiosa di vivere questa esperienza al cinema, in comunione con gli altri spettatori intorno a me. Per questo film, la sua proiezione a Crossingeurope è stata anche la sua vera prima su grande schermo.
Rivolgendosi al pubblico del festival con un video messaggio, Maria Schrader, visibilmente commossa, ha detto di essere molto felice di poter finalmente condividere un film sull’affetto, l’intimità e l’amore con un pubblico vero, spiegando quanto sia stata fortunata anche per aver potuto girare nell’estate del 2020 in piena pandemia a Berlino, approfittando di una breve apertura delle attività sociali. Con I’m your man la regista c’invita nel mondo di una favola contemporanea sensibile, scritta con intelligenza e interpretata da una coppia di attori straordinari: Maren Eggert e Dan Stevens nei ruoli principali. Per la sua interpretazione di Alma, Maren Eggert è stata premiata con l’Orso d’argento della Berlinale per la migliore interpretazione. Tratto dall’omonimo racconto di Emma Braslavsky, I am your man racconta la storia di un incontro amoroso assolutamente insolito tra Alma, una donna sulla quarantina che studia incunabuli sumeri a Berlino e Tom, “l’uomo dei suoi sogni”. Alma, che sta lottando per trovare dei nuovi finanziamenti per il suo progetto universitario, accetta di partecipare ad un esperimento che le permetterà di acquisire i mezzi necessari per continuare la sua ricerca. L’esperimento consiste nel condividere la sua vita con un robot umanoide per alcuni giorni e scrivere in seguito una valutazione della sua esperienza. La particolarità di questo progetto consiste nel fatto che gli algoritmi che regolano il funzionamento del compagno proposto ad Alma sono progettati per soddisfare tutti i suoi desideri e corrispondere in tutto e per tutto al suo gusto e alla sua rappresentazione dell’uomo perfetto. Il film inizia in medias res; vediamo la protagonista interpretata con vivacità, un tocco di cinismo e molta sensibilità dalla meravigliosa Maren Eggert, [1] aprire la porta di una lussuosa sala da ballo vecchio stile, piena di gente e di coppie danzanti. Alma viene accolta dall’enigmatica padrona di casa del locale, interpretata con determinazione e malizia dalla meravigliosa Sandra Hüller, che le spiega che Tom, il robot umanoide che sta per essere presentato, è programmato per conformarsi completamente alla sua percezione di un uomo “ideale”. Tom, interpretato magistralmente dall’attore inglese Dan Stevens, è un uomo bello ed elegante, un perfetto gentleman con un sottile accento inglese; i suoi movimenti hanno un qualcosa di legnoso, il suo sguardo cristallino un qualcosa di leggermente inquietante e i primi complimenti che fa ad Alma sono terribilmente banali. Quando la frustrazione della donna sembra essere al culmine, Tom in qualche modo salva la situazione invitandola a ballare una rumba indimenticabile. Dopo varie difficoltà ed imprevisti, Alma accetta di continuare, per quanto a malincuore, l’esperimento e di portare Tom a casa sua. Sobrio e signorile Tom è, suo malgrado, ingenuo e talvolta goffo ma con una classe e una nonchalance simile a quella dei grandi attori Hollywoodiani della vecchia scuola come James Stuart. Da questo momento in poi la vita di Alma non sarà più la stessa. Dopo le prime difficoltà e i primi comportamenti spiazzati – Tom immagina, ad esempio di sorprenderla piacevolmente preparandole un bagno caldo con petali di rosa e candele ovunque, cosa che invece irrita Alma all’estremo – l’umanoide sembra avere un algoritmo molto più potente del previsto e, soprattutto, sembra possedere una qualità umana: la capacità e il desiderio di imparare e migliorare sé stesso. Maria Schrader, che è lei stessa un’attrice, prima di diventare recentemente famosa a livello internazionale come regista con la mini-serie Ultraorthodoxe uscita su Netflix, è riuscita a costruire due personaggi a tutto tondo con finezza, sensibilità e perspicacia rendendoli entrambi perfettamente umani. Un tocco lieve e perfettamente misurato, senza forzature contraddistingue lo stile di questa storia d’amore fuori dal comune.A parte l’intrusione inaspettata di Tom, il resto della vita di Alma – come ci viene descritto nel film – è perfettamente fondato su una descrizione realistica delle relazioni umane. Tutti i personaggi sono perfettamente credibili come Julian l’ex compagno di Alma che, da un giorno all’altro, l’ha lasciata per vivere con un’altra donna, o i vari colleghi e studenti dell’università, il padre anziano, malato e bisognoso di aiuto di cui Alma si prende amorevolmente cura, e sua sorella che cresce da sola il suo ragazzino.La presenza di Tom al fianco di Alma funge da catalizzatore per tutte queste relazioni e, improvvisamente, la donna sembra finalmente trovare il posto che le conviene e che le spetta anche rispetto a tutti gli altri. Fra una situazione esilarante e l’altra, il film ci sorprende con dei momenti delicatamente poetici come una scena in cui Alma, che si è addormentata in un prato, si sveglia e comincia a cercare Tom, trovandolo alla fine in una radura circondato da cervi che non hanno paura di lui semplicemente perché non è un essere umano. Il tono comico del film è mitigato dalla mestizia e dalla melancolia di Alma. Quando lentamente supera il suo cinismo e la sfiducia nei confronti di quest’uomo “ideale” alieno, Alma comincia a lasciarsi prendere dal gioco della felicità, ma rimane consapevole che quello che sta vivendo non è, in fondo, altro che una chimera, una bella favola. Oltre al suo ritmo sostenuto e alla fluidità con cui le situazioni esilaranti si susseguono come in una classica screw ball comedy, la forza della sceneggiatura consiste nel sapere dosare gli elementi più epidermicamente comici con una riflessione sulla solitudine, sulla forza memoria, sugli affetti, sul desiderio di essere amati e sula speranza di trovare l’amore ma anche, e in modo più essenziale ancora, su cosa significhi in s l’essere umano.
[1] Maren Eggert si è costruita una solida reputazione come attrice teatrale ma è anche interprete di ruoli particolarmente impegnativi al cinema. L’abbiamo ammirata due anni fa alla Berlinale come protagonista in I Was at Home, But (2019) di Angela Schanelec.