di Stefania Bonelli/ Quale mistero si nasconde dietro l’innamoramento? Per quale motivo oltre che degli occhi, dei capelli, dei fianchi, della bocca, dello sguardo, del modo di piegare la testa, ci si innamora della sommatoria di tutti questi elementi presenti in quella persona lì e non in un’altra? Flaubert pare abbia detto “Lei era il punto di luce sulla quale convergeva la totalità delle cose”. Non è che forse è proprio lì, nell’invisibile dell’amore, che facciamo l’esperienza di essere sopraffatti da qualcosa che non ha nulla a che vedere con l’esperienza e con il mondo reale? Diciamo: “Lui/lei ha un non so che”. Come se l’amore fosse un ponte tra il mondo visibile e quello trascendente e invisibile, la prova che esiste un mondo parallelo, magico, abitato da dei, da demoni che ci trascinano e sopraffanno, in cui facciamo occasionali incursioni attraverso i canali del nostro inconscio. E del sogno.
Ed è proprio lì, nel sogno, che Maria ed Endre si incontrano ancora prima di conoscersi, come due calamite si attraggono e si respingono. Corpo e anima della regista ungherese Ildikò Enyedi, vincitore dell’Orso d’Oro alla 67esima edizione del Festival Internazionale del Cinema di Berlino, è la storia di questi due esseri incompiuti che si innamorano a loro insaputa perché è iscritto nel loro destino, l’altro diventa per l’uno la sua divinità incarnata, o, come nel mito platonico, le due metà dell’ermafrodito tendono a ricomporsi per ritrovare quell’unità spezzata in origine e per invidia da Zeus.
I due protagonisti lavorano nello stesso mattatoio, lei come responsabile del controllo qualità, lui come direttore finanziario. Entrambi presentano una deformità: lui nel corpo, ha un braccio paralizzato, lei nell’anima, è congelata nei sentimenti e incapace di relazioni. Maria la sera torna a casa e ripete quelle poche parole che è riuscita a comunicare con l’altro attraverso dei rigidi e inespressivi pupazzetti Playmobil. Endre passa le sue serate tutte uguali, addormentandosi davanti a inutili programmi televisivi, in una macabra ripetizione dell’identico. Il loro incontro sembra impossibile, così come viene mostrato dal linguaggio del film che compone tra loro immagini che inquadrano ossessivamente i dettagli, sostano dietro le vetrate, indugiano sulle pause, sugli sguardi mancati e sui silenzi. A far da sfondo, l’algido mondo di un mattatoio in cui l’uccisione dei bovini è mostrata come un’esecuzione meccanica, seriale, senza pause, né sentimenti o tantomeno compassione per l’aspetto macabro della carne che sanguina. Sono corpi senz’anima quelli degli animali, senza mistero. Un colpo di pistola e via, dritti alla catena di montaggio: scuoiamento, squartamento e preparazione delle carni con il controllo rigoroso della qualità per la sua classificazione. Lavoro che Maria svolge con la meticolosità ottusa di una scienziato ottocentesco. Tutti i personaggi sembrano rassegnati all’impossibilità che esista un altrove in cui è custodito il mistero che permette al corpo e all’anima di unirsi e di incontrarsi. Tutti tranne i due cervi nella neve che compaiono e ricompaiono, come un film parallelo.
La loro storia di amore e tenerezza non fa parte però del mondo reale, bensì di quello onirico junghiano, territorio in cui Maria e Endre si incontrano a loro insaputa. In seguito ad un furto, tutti gli impiegati nel mattatoio vengono sottoposti ad un test psicologico e loro due si ritrovano a raccontare alla dottoressa lo stesso sogno: due cervi, uno maschio e l’altro femmina, vagano in una foresta sommersa dalla neve alla ricerca di cibo. Ora mangiano, ora bevono ad un ruscello, si appoggiano l’uno all’altro.
Venuti a conoscenza di questa straordinaria coincidenza Maria ed Endre cominceranno ad avvicinarsi sempre più ma la Enyedi non porterà il suo racconto verso una deriva panpsichica. Il loro incontro non sarà intriso di romanticismo stereotipato. La loro vita intima che affonda nel mondo sotterraneo del subconscio e delle forze istintive avrà bisogno di tempo e di adattamento per mettere in contatto i due universi, quello del visibile e dell’invisibile. E la strada sarà tortuosa, non priva di colpi di scena drammatici. La narrazione accompagna l’evoluzione degli eventi in maniera composta e asciutta, e quando finalmente i due protagonisti cederanno l’uno all’altra daranno vita ad un unico corpo e a un’unica anima, in un inno all’imperfezione che nonostante appartenga al territorio dell’immaginale è umano. Terribilmente umano.