NIEMAND IST BEI DEN KÄLBERN
LOCARNO 74
Niemand ist bei den Kälbern è l’adattamento di un romanzo di Alina Herbing. Cosa ti ha attratto in questo testo?
Il romanzo di Alina Herbing mi ha attratto in primo luogo per il luogo in cui è ambientato. Ho trovato questo posto molto eccitante; questa ex Germania dell’Est in mezzo alla campagna, questo allevamento di bestiame, quest’industria, le cisterne sparse nel paesaggio e questa solitudine che si può sentire in campagna.
Poi c’era il pensiero che una giovane donna come la protagonista possa davvero volere qualcosa di completamente diverso dalla vita che quello che le offre questo luogo.
In questo romanzo c’era anche una quotidianità che mi era completamente estranea. Credo che sia stato soprattutto questo ad affascinarmi.
Come hai lavorato all’adattamento di questo romanzo?
Quando ho iniziato a lavorare, la prima cosa che ho fatto è stata chiedere ad Alina, l’autrice, di dirmi tutti i luoghi specifici che aveva in mente quando ha scritto il romanzo. Poi ho guidato ovunque. Per avere una sensazione di come sia nella realtà, quello che lei ha descritto nel libro.
Questa è stata la prima cosa che ho fatto, poi ho scritto una prima versione che era molto vicina al romanzo e poi ho iniziato a lavorarci davvero su sei mesi dopo. Ho fatto di nuovo un giro in questa zona per conto mio, sono stata in giro per un mese. Ho affittato una macchina e ho vissuto in un prefabbricato per una settimana. Durante questo periodo ho incontrato molte persone, ho guidato attraverso tutto il Meklemburg e poi verso Amburgo e ho vissuto di persona questa sensazione di solitudine tra la gente. Quando sono tornata a casa, ho iniziato a scrivere e, deliberatamente, non ho più guardato il romanzo mentre scrivevo la sceneggiatura, mentre quando avevo scritto la versione preliminare lo guardavo continuamente.
In questa nuova versione, che è stata effettivamente la base per le riprese, sono partita molto di più dal sentimento che avevo sviluppato per questo paese, e credo che molte cose siano cambiate di conseguenza. Le cose che mi piacevano davvero del romanzo sono rimaste e quelle che non erano così importanti per me e non mi hanno preso così tanto, sono state abbandonate senza che me ne accorgessi coscientemente, tutto è successo intuitivamente…
In Niemand ist bei den Kälbern si dice molto poco eppure si “dice” molto. Trovo l’economia di parole assolutamente affascinante nel suo film.
In realtà ho scritto molto poco, dopo essere tornata a casa dal tour di quel mese ho dovuto scrivere questa nuova versione, alla quale non poi non ho più lavorato per un anno. Avevo scritto questa versione molto velocemente, in realtà lavoravo solo per un’ora al mattino e poi il resto della giornata ero occupata con cose completamente diverse. In quel periodo vivevamo con mia nonna e avevamo un orto, nel frattempo sono anche rimasta incinta.
In realtà, ci ho lavorato poco, anche perché volevo lavorare su tutto con gli attori e con tutta l’equipe. Ecco perché ho lasciato la seconda versione così com’era e ho passato un anno intero a fare casting e a discutere il progetto con il mio cameraman.
Come hai strutturato il tuo lavoro con il cast?
Dal momento in cui il mio cast si e formato, abbiamo fatto delle prove per quattro settimane prima delle riprese. Io ho continuato a sviluppare la sceneggiatura molto durante quel periodo. Volevo che gli attori sentissero di più i personaggi. Per il mio primo film, avevo scritto per molto tempo ed ero rimasta seduta da sola nella mia stanza per ore interminabili. Ero così entusiasta di fare il mio primo film ma, alla fine, ho scoperto che il rapporto tra un processo di scrittura molto lungo e un tempo di prove e di riprese relativamente breve non era la cosa giusta per me.
Oggi penso che il film non sia in nessun caso il lavoro di una sola persona; voglio incorporare qualcosa dei miei collaboratori nel film e permettere loro una maggiore spontaneità.
Cosa ti ha affascinato di Saskia Rosendal quando l’hai scelta per il ruolo di protagonista del film?
Avevo già lavorato con lei per due giorni nel mio film d’esordio, penso che Saskia abbia qualcosa di assolutamente puro; non c’è nessuna barriera davanti a lei, può aprirsi completamente e dare tutto di se. Questo mi ha affascinato talmente durante la nostra prima collaborazione che ho subito voluto continuare a girare con lei! Ecco perché ho pensato subito a Saskia quando ho letto il romanzo.
È stata sicuramente la decisione giusta: Saskia Rosendahl è veramente splendida nel ruolo di Christin e porta gran parte di questo film attraverso il suo corpo e la sua performance.
Il suo personaggio esprime nel film una sorta di ribellione, di resistenza, di amore e di rabbia, ma tutto è in qualche modo subliminale in lei, non si vedono grandi sfoghi, eppure i suoi sentimenti sono espressi molto intensamente. Come avete lavorato alla creazione di questo personaggio?
In Christin, tutto implode di continuo ma non c’è un’esplosione violenta di emozioni perché una parte del problema di questo personaggio è che non riesce a mostrare i suoi sentimenti agli altri, esternandoli. Penso che questo ruolo sia stato una vera sfida anche per Saskia, l’ha detto e ridetto lei stessa, perché questo personaggio è veramente all’opposto della sua personalità nella vita reale.
Per prepararla al ruolo, abbiamo fatto prima delle “interviste” sul ruolo stesso, poi le ho fatto una serie di domande sul personaggio in certe situazioni; una volta avrebbe dovuto rispondere come Saskia e poi come Christin. Come Saskia, le sue risposte erano piuttosto lunghe, ma come Christin, le sue risposte erano piuttosto monosillabiche!
I vestiti colorati e succinti della protagonista rivelano perfettamente il suo carattere. Come ti sono venuti in mente questi costumi?
In effetti, abbiamo cercato a lungo con Ulé Barcelos, perché da un lato Christin ha sempre questo bisogno di mostrare il suo corpo, e dall’altro il suo personaggio è totalmente chiuso. C’è una sorta di conflitto interiore nel personaggio di Christin che è già visibile nel suo modo di vestirsi. Le sue tenute estremamente succinte esprimono solo una libertà illusoria, perché alla fine la ragazza non ha nessuna libertà dentro di sé.
La descrizione dell’ambiente rurale nel film è molto realistica, quasi documentaria. Anche tutti gli altri personaggi del film che circondano Christin contribuiscono significativamente a questa sensazione. Come hai creato i ruoli secondari?
Alcuni personaggi esistevano già nel romanzo come suo padre, il suo ragazzo o il tecnico dell’energia eolica, poi sono stati aggiunti alcuni altri personaggi che ho scritto quando ancora andavo in giravo in quella zona. Poi ho fatto delle prove con ogni attore, proprio come ho fatto con Saskia, per sviluppare meglio il carattere di ogni personaggio.
Bisogna dire che il film è stato creato in condizioni molto speciali perché abbiamo girato l’estate scorsa, durante il periodo di Covid. In circostanze normali faccio molte più prove in anticipo con i miei attori, ma poiché avremmo dovuto mantenere una certa distanza l’uno dall’altro abbiamo sviluppato questi giochi di ruolo e le interviste lavorando in una stanza con finestre aperte lontani gli uni dagli altri. Ho trovato comunque molto eccitante lavorare in questo modo; avevo la sensazione che questo metodo creasse una certa freschezza durante le riprese perché tutto si svolgeva per la prima volta.
Questo metodo ha certamente contribuito a creare quel senso di autenticità e di naturalezza che caratterizza il tuo film.
Infatti sia io che gli attori abbiamo trascorso molto più tempo del solito a confrontarci intellettualmente con i personaggi. La stessa cosa è successa con il mio production designer, che in linea di principio avrebbe voluto andare in giro e trovare diverse location, ma non poteva perché eravamo in pieno lock down, mentre nel frattempo io avevo appena avuto i miei gemelli! (ride) Penso che questo caos, alla fine, abbia contribuito a rendere il film così vivace e fresco, perché ogni cosa doveva venire fatta estremamente rapidamente. E stato molto bello perché a volte sono successe delle cose inaspettate che hanno arricchito il film!
La luce dell’estate è molto forte nel tuo film e il contrasto con gli interni piuttosto scuri è ancora più evidente. Come hai lavorato alla fotografia del suo film?
Abbiamo usato pochissima luce, io non volevo avere treppiedi sul set mentre il mio direttore della fotografia Max Preiss diceva che dovevamo illuminare un po’. C’era più o meno un conflitto tra di noi! (ride). Alla fine, abbiamo trovato un sistema per gli interni che si usa molto spesso nei documentari lavorando con i riflessi. Abbiamo messo un sacco di specchi all’esterno, il che significa che, tecnicamente parlando, abbiamo illuminato molto poco.
Ho anche trovato molto interessante che questa storia si svolga d’estate e non in inverno, durante l’inverno è molto facile sentirsi soli a causa del freddo e dell’aridità del paesaggio, ma soprattutto d’estate, quando tutto è così fiorito e così vivo, se ci si sente soli è molto più triste che in inverno. Ad un certo punto c’è un incendio nel film e nel romanzo si sottolinea spesso che nella zona non piove da molto tempo.
Poi, su un altro piano, c’è un discorso tanto nel romanzo che nel film sulle conseguenze del capitalismo e della globalizzazione che sono responsabili del cambiamento climatico e delle estati sempre più secche.
Gli aerogeneratori nel tuo film sono un simbolo forte di questa globalizzazione capitalista. Questo soggetto c’era anche nel romanzo?
Sì, questo tema era già presente e molto importante anche nel romanzo Alina Herbing; gli aerogeneratori sono spesso un simbolo di odio perché queste enormi turbine vengono messe davanti al naso della gente che si sente abbandonata in campagna, per produrre energia per le città e illuminare, per esempio, degli enormi centri commerciali.
Il personaggio di Christine distrugge il suo ambiente con molta delicatezza e calma nel corso della trama.
La protagonista non ha mai un comportamento aggressivo mentre lo fa, perché in realtà vuole scappare e rompe le cose, ma non è per cattiveria; quello che fa avviene con delicatezza e poesia.
Per esempio, nella scena con i fiammiferi, si vede lei che ci gioca prima e poi c’è un incendio, come spettatore ci si chiede se ha dato fuoco al fienile perché non fa nulla di così attivo durante tutto il film. Non fa mai niente di significativo per sfuggire alla sua vita nel villaggio. Penso piuttosto che lei agisca cosi per una sorta d’impotenza, il suo comportamento non è mai veramente aggressivo ed è per questo che ho cercato di dirlo il più delicatamente possibile…
Il montaggio del film è stato un compito difficile?
Direi che è stato fantastico! Ho lavorato con Heike Parplies, che ha montato tutti i film di Maren Ade che è una delle mie registe preferite.
È stata anche la prima volta che ho avuto una totale fiducia nel processo di montaggio, perché Heike aveva un fiuto perfetto per le riprese migliori. Ho sentito di essere in buone mani perché ogni volta che guardavo i pezzi montati da lei mi rendevo conto che l’avrei fatto cosi anch’io! È stata un’esperienza molto bella che mi ha arricchito umanamente perché ho potuto finalmente lasciarmi andare. Un film, credo, viene sempre arricchito da una bella collaborazione!