Nelle ultime settimane, sembrava che moltissimi addetti ai lavori avessero fatto un patto segreto per consigliarci unanimamente la visione di Cella 211. Di sicuro il film tratto dal romanzo di Francisco Pérez Gandul ha sbancato alla premiazione degli ultimi Goya spagnoli e se vogliamo, almeno nel calendario delle programmazioni italiane poteva contare sull’ottimo traino di un’altra storia con ambientazione carceraria, lo splendido Il Profeta. Sebbene non manchino i punti di contatto e la condivisione delle stesse linee generali nella denuncia del degrado della vita all’interno dei penitenziari, l’intensità e i processi di immedesimazione negli stati più profondi della disperazione dei reclusi sono talmente più eleborati nel lavoro di Audiard comunque, che i due film in questione finiscono per appartere – paradossalmente – a due filoni completamente diversi.
Cella 211, ha un ottimo soggetto, ma come tanti celebri e riusciti b-movie di genere negli anni ’70 sembra svilupparsi e sfruttare solo l’effetto dirompente dell’idea centrale trascurando colpevolmente moltissimi altri aspetti della costruzione del film, la cui cura, avrebbe reso molto più completa tutta l’opera. Juan Oliver (l’esordiente e bravo Alberto Amman, con una sorprendente somiglianza al nostro Liotti) è un giovane secondino che al suo primo giorno di lavoro, nel corso della visita di addestramento, rimane vittima di un incidente proprio nel momento in cui scoppia la rivolta nel suo carcere. Suo malgrado si troverà imprigionato assieme agli ergastolani più pericolosi, dovendo fingere a sua volta di essere uno di loro, ma soprattutto perderà ogni possibilità di essere vicino alla moglie Elena, pronta a dare la luce un bambino.
Se i volti dei ribelli e la rappresentazione delle scene di violenza sono incredibilmente vere e coinvolgenti, alcuni aspetti delle trattative alla lunga risultano un pò troppo frettolose, e anche i tratti della figura del poliziotto violento o del funzionario burocrate sono ritagliate su alcuni clichè da cartone animato. Malamadre, lo spietato capo della rivolta impersonato dal grande Luis Tosar (tanto più epocale se si fa il confronto con il personaggio schivo e depresso che interpretò nel bellissimo Lunedì al sole) ha un magnetismo devastante, ma i contorni del nascere della sua amicizia con Juan e la scalata di quest’ultimo ai vertici della popolarità nel carcere sono troppo veloci per poter esser al passo con lo sviluppo naturale del film.
Possibile che nessun altro in quella galera non aveva una bella caligrafia? Monzòn è stato abilissimo nel travolgere lo spettatore verso lo scontro finale, mantenendo altissima la tensione e le scene di suspence. La corsa e il tipico andamento del grande film d’azione ha sì incluso la riproposizione di molti clichè (il traditore è l’immigrato colombiano cocaionomane, il terrorista dell’Eta, il diavolo e la causa di tutti i mali della società), ma ha anche il merito di rilanciare temi importanti su quelli che non riguardano solo i diritti del carcerato, ma la base dei principi della dignità dell’uomo.
Se alcune scene – a detta del regista – sono il frutto di un lungo lavoro di documentazione sulle terribili rivolte carcerarie che scoppiavano continuamente in Spagna e in Italia alla fine degli anni ’70 le richieste avanzate al governo dal clan di Malamadre in Cella 211, sono le stesse che Monzòn ha potuto raccogliere stando a contatto con molti detenuti prima della lavorazione del film. Film come Cella 211 o Il Profeta sono importanti sopratutto in Italia, dove la demagogia prodotta attorno all’ultimo indulto ha storpiato tutti gli effetti e il senso di quella legge, resa, in ultimo opportuna solo per gli amici degli amici. Guardando Papillon, ora sembra impossibile che nel secolo scorso si potesse arrivare ad un livello di tale disumanizzazione nelle colonie penali.
Ci auguriamo allo stesso modo che tra quindici anni, la visione di Cella 211 possa farci ricordare solo come preistoria, l’utilizzo di una violenza così inaudita per richieste tanto legittime.
Speriamo infine che per la distribuzione del dvd qualcuno abbia il buon senso di cambiare la locandina.