La terra dall’alto appare verde e azzurra, chiazze colorate rassicuranti, qualcosa di magico che l’immaginazione associa facilmente al paradiso terrestre, un’oasi di pace e felicità, dove il lupo vive tranquillo con l’agnello, basta però zoomare il nostro sguardo in profondità per ritrovarci nel bel mezzo delle azioni umane regolate da passioni non sempre nobili, di cui si perde il fine e il senso. Con lo stesso procedimento parte Burn After Reading – A prova di spia, con un’inquadratura dall’alto dei cieli che precipita nelle stanze di un corridoio della CIA, sopra i passi veloci di Osbourne Cox (John Malkovich) analista dei servizi segreti statunitensi che sta per essere licenziato a causa dei suoi problemi di alcolismo.
Questo scendere dall’alto ci trasmette anche un cambio di punto di vista: non si racconta la storia di supereroi, di quelli che stanno sullo schermo irraggiungibili per le loro qualità negative o positive che siano, tutt’altro, in questa vicenda che stiamo per narrarvi – sembrano dirci i fratelli Coen – i protagonisti sono “gente comune” interpretata da quei divi che in altre circostanza vestono i panni di eroi inarrivabili. Due esempi per tutti: Chad Feldheimer è Brad Pitt, giovane assistente di palestra con una cresta bionda in testa, un fissato del fitness, che va in giro in bicicletta e ha sempre le cuffie dell’iPod alle orecchie, un Pitt che non esita a mostrarsi stupidotto; Harry Pfarrer è George Clooney, sceriffo federale sesso dipendente, che organizza appuntamenti al buio, incapace di controllare le sue paranoie, un Clooney che non esita a mostrarsi infantile. Insomma c’è un capovolgimento dei ruoli assegnati dall’industria dello spettacolo a questi due attori, un utilizzare la loro immagine in modo ironico, come da sempre la commedia fa.
Ma per raggiungere un buon risultato, bisogna saper mettere bene insieme gli ingredienti del genere e saperlo rinnovare. I Coen ci riescono, come già altre volte in passato, senza tradire il loro stile. Burn After Reading – A prova di spia, potrebbe avere un sottotitolo a beneficio degli studenti di cinema: scrivere una commedia in tempi in cui le classi sociali non sono poi così distinte come in passato. Tutti i personaggi coinvolti, dal capo della CIA, con i suoi collaboratori, sino all’ultimo inserviente della palestra non hanno nulla di serio, nessuno scampa al ridicolo; c’è una sorta di democrazia del comico che coinvolge dal primo all’ultimo attore sullo schermo. All’inizio ci vengono presentati gli uni lontani dagli altri, presi dalle loro questioni private tanto da trasformarli in tante isole, poi con l’aggiunta di un elemento thriller (un cd di dati scottanti perso dall’analista CIA Malkovich, in realtà contenente le memorie della sua vita) la storia s’intreccia. Il paradosso, e in certo qual senso l’innovazione, sta nel fatto che questa “gente comune” inizia a comportarsi come se fossero in un film di spionaggio. Tanto è il potere delle immagini, sembrerebbero dire i due registi, che la nostra vita finisce per assumere la trama di una fiction.Esemplare in questa direzione è la straordinaria Frances McDormand – indimenticabile nel ruolo del capo della polizia incinta al settimo mese in Fargo – nella parte di Linda Litzke, una donna preoccupata dell’invecchiamento del corpo e pronta a qualsiasi azione pur di pagarsi dei costosi interventi di chirurgia plastica. Sono personaggi che, oltre ad essere eterodiretti dal potere delle trame dei film, hanno un ulteriore condizionamento: il sesso e il denaro, motore principale delle loro azioni. Risultano così essere ciechi, non intravedono nulla che sia determinato da pulsioni ragionevoli (scusate l’ossimoro), tanto che anche chi non condivide le loro stesse motivazioni può fare una brutta fine solo per averli assecondati (si pensi al direttore della palestra). Dunque, quell’ordinato e armonioso mondo visto dall’alto, risulta invece essere caotico e privo di senso se attraversato dal basso. Non rimane, per tirare un sospiro di sollievo, che tornare a guardarlo dall’alto, come nelle ultime immagini del film, magari seduti su una poltrona del cinema.