La Fée, film creato da un sodalizio di attori-registi – Dominique Abel, Fiona Gordon e Bruno Romy – é un’opera atipica dal linguaggio burlesco e delicatamente poetico. Dom e Fiona sono i protagonisti della storia d’amore tenera e lievemente surreale narrataci nel film. Dom, un uomo alto, magro, allampanato con due enormi occhi tristi è portiere di notte in un piccolo hotel sul porto di Le Havre. Fiona, una giovane donna dal corpo longilineo, con un volto espressivo dai tratti irregolari ed una gioia stupita e maliziosa nello sguardo è una fata dolce ed insolita.
La Fée inizia con una lunghissima carrellata in cui vediamo Dom pedalare su una bicicletta sgangherata costeggiando la banchina del porto: piove a dirotto e, già dalla prima inquadratura, risulta difficile non sorridere alla vista di questo personaggio avvolto dalla testa ai piedi con vari sacchetti di plastica per non bagnarsi. Ad ogni istante Dom rischia di finire in acqua; la sua corsa irrefrenabile è costantemente interrotta dalla catena della bicicletta che salta. Alla fine non gli resta altro che portare la bicicletta sulle sue spalle. Ovviamente arriva al lavoro in ritardo e completamente inzuppato. Il carattere goffo e sfortunato del protagonista ed il tono del film è già tutto presente qui, in questa prima sequenza. Poco dopo, mentre tenta di mangiare il suo sandwich, Dom viene costantemente interrotto: prima da un turista inglese che vuole a tutti i costi introdurre in albergo il suo cagnolino e poi da Fiona, una strana ragazza a piedi nudi che dice di essere una fata e gli chiede di esprimere tre desideri.
Al nostro eroe vengono in mente solo due cose: un motorino e della benzina a vita…
”Non importa – gli risponde Fiona – prendi tutto il tempo che vuoi per pensarci!” Questa frase diventa il leit motiv del film, lo punteggia nei momenti più critici, ne permea in filigrana tutta la trama dicendo, senza mai esprimerlo esplicitamente, che trovare l’amore è il terzo desiderio dell’uomo, quello più grande, quello più importante.
La Fée é una fiaba candida ed ingenua che mette in scena il topos della felicità nascosta sotto la durezza dell’esistenza. Dom e Fiona, amanti affettuosi, svampiti e romantici, incontrano mille ostacoli sul loro cammino; alla loro vicenda movimentata si mescolano le avventure rocambolesche del cliente inglese con il cane, quella di tre extra-comunitari che sperano di raggiungere, nascosti nel bagagliaio di una macchina, le coste dell’Inghilterra. Entrano a far parte di questo caleidoscopio multicolore vari altri personaggi improbabili ed esilaranti: il padrone completamente miope del caffé L’amour flou, i matti di uno strano ospedale psichiatrico, due poliziotti, la vecchia gerente dell’hotel, la commessa di un negozio di scarpe con le scarpe troppo strette, un bebé equilibrista ed un’intera squadra di rugby femminile. Più volte separati dal destino, Dom e Fiona riusciranno, usando la loro fantasia e mille stratagemmi ingegnosi ad unirsi di nuovo e a fondare alla fine una famiglia con tanto di bebé. Il terzo desiderio di Dom, quello implicito, verrà così esaudito.
La Fée è un film che sembra uscito da un’altra epoca non solo per la scelta dei costumi e della scenografia vagamente retro o per la colonna sonora eclettica che mischia una canzone di Kurt Weil a dei classici del repertorio americano degli anni cinquanta, ma soprattutto perché si ispira direttamente alla grande tradizione del cinema comico-burlesco. Da Chaplin a Buster Keaton, da Laurel and Hardy ai Max Brothers da Tati a Etaix, i suoi autori hanno saputo assimilare le lezioni dei maestri del genere. Prendendo in prestito elementi della commedia musicale e del mondo del circo La Fée costruisce il suo universo poetico e gentilmente sovversivo sul linguaggio fisico di un cast composto da attori-mimi – fra cui i due bravissimi protagonisti- che riescono ad esprimere attraverso le coreografie dei loro corpi e la loro gestualità espressiva una ricca gamma di emozioni. La prima mezz’ora del film è veramente spassosa; le gag, le cascate, i quiproquo si susseguono a ritmo serrato e i dialoghi sono punteggiati da una serie di botta e risposta mozzafiato. Dei veri momenti di grazia sono poi due inserti musicali in cui la coppia di Dom e Fiona, in una sorta di parodia burlesca di Ginger e Fred, danzano su un tetto o ancora sul fondo marino al suono di un mambo; i movimenti dei due attori sono fluidi, rallentati come se si trovassero veramente immersi nell’acqua, vestiti di alghe finiscono poi abbracciati in una conchiglia che si richiude dolcemente su di loro.
Molto suggestiva è anche la fotografia del film che alterna una gamma di colori brillanti negli interni alla luminosità cangiante e screziata del cielo nelle riprese in esterno conferendo alla messa in scena di Le Havre un carattere astratto e leggermente onirico. Salta all’occhio una predilezione dei registi per i piani fissi; questo tipo d’inquadratura più che esaurirsi in una sorta di cornice statica rivela un vero senso cinematografico della composizione al servizio della comicità come nella scena in cui vediamo in primo piano le cure prodigate al dito ferito di Dom mentre sullo sfondo Fiona mette al mondo il suo bimbo. Nonostante tutte queste buone qualità il film finisce per perdere forza, man mano che avanza; la trama esile e sommaria, sembra, da un certo punto in poi, servire agli autori-attori solo come un canovaccio per dispiegare il loro talento comico in una serie di sketch a catena.
La Fée è un piccolo film che ha un grande pregio: quello di riuscire a farci sorridere più di una volta. Gli scrosci di risa in sala sono stati spontanei e molto frequenti durante la proiezione: un inaugurazione eterea e gioiosa per questa 43esima edizione della Quinzane des Réalisateurs.