Anne e Georg all’apparenza sono una coppia perfetta. Certo, non sono ricchi, né giovani, né belli ma hanno due bei figli ormai grandi, lei ama il suo lavoro di maestra elementare, lui, stimato dai colleghi e concupito dalle colleghe, sta per ottenere una promozione e diventare commissario di polizia. Tutto sembra andare nel migliore dei modi, tutti li considerano una coppia perfetta, ancora innamorata come il primo giorno. E difatti questa è l’unica verità all’interno di una situazione del tutto diversa, che viene gradualmente alla luce, assumendo una tensione insopportabile e sfociando in una straordinaria esplosione di violenza. Film dedicati alla violenza domestica ne sono stati realizzati molti e soprattutto negli ultimi anni, ma Gegenüber è probabilmente il primo in cui la vittima (almeno in senso “fisico”) è l’uomo. Anne, infatti, soffre di una forma psicotico-paranoide che affonda le sue radici nel rapporto con il padre che da sempre la umilia, riversando su Georg una rabbia che è al contempo odio di sé e un modo per provocare un abbandono che sentirebbe giustificato. Georg, dalla mitezza quasi esasperante, subisce le esplosioni che lo portano anche a finire al pronto soccorso, certo che il suo amore può sopportare tutto e trova conforto nel bisogno disperato che sua moglie ha di lui. Una certezza che non viene smentita, malgrado l’esasperazione lo porti infine a reagire con l’unico linguaggio amoroso che Anne conosce, ovvero quello della violenza.
Opera prima del regista Jan Bonny, Gegenüber è prima di tutto la storia di un grande amore ma anche l’incontro tra due infelicità: sorretto da una sceneggiatura pressoché perfetta, il film svela, partendo da semplici indizi, il profilo di un malessere che come molte forme di malattia mentale non ha nulla di romantico, bensì è irritante, frustrante, faticoso sia per chi lo vive che per chi lo subisce. Girando con la macchina a mano in uno stile essenziale che più che il “dogma” ricorda il minimalismo dei fratelli Dardenne, Bonny controlla con maestria un materiale incandescente evitando qualsiasi aspetto melodrammatico, se non nel senso più “alto” del termine, ovvero il rapporto fassbinderiano vittima-carnefice che si nasconde all’interno della coppia. Il film è girato parzialmente in esterni ma subisce una sorta di accelerazione centripeta verso l’appartamento sempre più buio e claustrofobico, dove si consumano i loro “funny games”, in una grande prova d’attore dei due protagonisti, che (casualmente?) si chiamano proprio come i personaggi principali di quasi tutti i film di Michael Haneke.