Dopo avere vinto una Palma d’Oro per Shoplifters nel 2018 e per Broker, l’anno scorso, il premio per la migliore interpretazione maschile, attribuito a Song Kang-ho, il grande maestro giapponese ritorna quest’anno per la settima volta a Cannes con Monster, un film girato nuovamente in Giappone.
Affascinante gioco di specchi, Monster, c’invita in un labirinto narrativo che ruota intorno a Minato (Kurosawa Soya), il suo giovane protagonista alle prese con quell’immenso compito che è il passaggio dall’infanzia all’adolescenza.
Su questo limite poroso pieno di insidie in bilico fra desiderio e fantasia, voglia di vivere e paure ancestrali, Kore Eda costruisce una storia piena di colpi di scena in cui nulla è come sembra essere a prima vista sondando, ancora una volta, il suo terreno di predilezione, quello dei rapporti famigliari.
Monster si apre su una sequenza notturna; sull’erba filmata in primissimo piano vediamo le scarpe da ginnastica di qualcuno che passa di corsa, il piano seguente è quello di un immobile in fiamme nel centro della città. Si sente l’eccitazione nell’aria e il suono lancinante delle sirene mentre dei grossi veicoli di pompieri accorrono sul luogo e degli astanti curiosi si accalcano nei dintorni per vedere cosa è successo.
Nell’intimità del suo appartamento da cui si può ben vedere l’incendio, Saori (Ando Sakura), una giovane donna che, dopo avere perduto il marito in un incidente, alleva da sola il figlio, Minato, chiama il ragazzo ad osservare con lei lo spettacolo notturno delle fiamme. Pare che qualcuno abbia messo deliberatamente fuoco ad un bar di hostess. Come un motivo ricorrente, la ricerca del colpevole verrà evocata varie volte durante la pellicola che inizia
Ragazzino sveglio dallo sguardo inquieto e profondo, Minato è un pre-adolescente ed attraversa questo periodo cruciale della sua vita in un modo particolarmente intenso e doloroso; tante sono le domande a cui deve rispondere per trovare la sua strada e costruire la sua identità. Queste domande sono di ordine metafisico: esiste una vita dopo la morte? I morti si reincarnano, come lo vuole la tradizione buddista e in cosa si reincarnano? Sono di ordine morale: quale atteggiamento assumere di fronte al bullying di un compagno di classe? E meglio stare dalla parte degli aggressori, del gruppo dei “forti” della classe, o bisogna invece prendere la difesa di chi, per essere diverso, viene ingiustamente maltrattato dalla maggioranza? Sono domande di ordine fisiologico; perché mi sento diverso? Si chiede spesso Minato, domandandosi se al posto del suo cervello umano qualcuno gli abbia trapiantato quello di un maiale. Sono un mostro, si domanda? E sono infine delle domande di identità, in un periodo in cui il desiderio e le pulsioni sessuali iniziano ad emergere con veemenza creando grandi inquietudini e turbamenti.
Strutturalmente, a grandi linee, la pellicola si suddivide in tre parti, ognuna delle quali ci propone la lettura degli eventi dal punto di vista di un personaggio diverso. Il primo segmento traccia la vicenda attraverso gli occhi di Saori, la madre, il secondo abbraccia la prospettiva di Mr. Hori (Nagayama Eita) il giovane maestro di Minato, che viene incolpato di maltrattare e brutalizzare il suo alunno, la parte finale si concentra sul vissuto di Minato stesso e sulla sua esperienza dei fatti. Man mano che il film procede, dei nuovi tasselli si aggiungono alla vicenda, offrendoci nuove chiavi di lettura.
In questo enorme canovaccio tessuto principalmente fra la casa del protagonista e la scuola, si viene ad aggiungere tutta una schiera di personaggi che mette in moto la dinamica della vicenda, ognuno dei quali si rivela molto più complesso e misterioso di quanto si potesse immaginare in un primo momento.
Nell’ambito della scuola oltre al giovane maestro, ingenuo ed eccentrico, di Minato, scopriremo la direttrice della scuola il cui comportamento erratico nasconde il segreto terribile di una tragedia famigliare ma anche e soprattutto Yori (Hiiragi Hinata), il compagno di classe ed amico del cuore di Minato, un ragazzino un po’ in disparte, docile e pieno d’immaginazione, oggetto di scherno in classe, che vive solo con il padre, un uomo alcolizzato e violento.
Poco a poco comprenderemo che il cuore di questa vicenda è proprio l’amicizia fra questi due ragazzini che si sentono diversi dagli altri perché, nel fondo di questo loro legame c’è qualcosa d’altro che supera la simpatia e l’affetto, un’attrazione più profonda ed inquietante, difficile da ammettere e ancora più difficile da accettare: l’amore.
Monster è un film labirintico costruito come una ragnatela, in cui ad ogni svolta vengono aggiunti dei nuovi dettagli che cambiano il quadro dell’insieme abbracciando il punto di vista di un nuovo personaggio.
Se, a prima vista, il confronto con Rashomon, e le sue tre versioni dei fatti, salta agli occhi, ci si rende ben presto conto che il costrutto del film di Kore Eda è molto più complesso ma anche meno definito. Ad ogni cambiamento di prospettiva i nuovi elementi che vengono svelati sono talmente tanti, da produrre un affresco fluido e cangiante che non riusciremo mai ad afferrare completamente, persi in una molteplicità di piste e di versioni alternative.
Questa narrazione estremamente convoluta può essere considerata tanto come un pregio quanto come il difetto maggiore del film. Il fatto che, per la prima volta nella sua carriera, Kore Eda abbia fatto ricorso alla collaborazione di uno sceneggiatore, può essere una spiegazione plausibile per la complessità, talvolta gratuita, del racconto.
Se rinunciamo a volere comprendere nei minimi dettagli tutte queste linee narrative, lasciandoci invece portare da una messa in scena magistrale, dai personaggi fragili, toccanti, talvolta crudeli ed incompresi e dal fondo poetico di questa vicenda, apprezzeremo pienamente il gesto quasi impressionistico del regista che lascia spazio alla nostra fantasia e al nostro estro interpretativo.
Le tre versioni di questa vicenda che erano tutte iniziate con l’immagine di un immobile in fiamme, terminano con l’avvento di un tsunami. Rileggendo ogni volta la storia a ritroso, i tasselli mancanti del racconto, se le due prime versioni lasciano presagire il peggio sulla sorte dei due ragazzini durante la tempesta, la terza ed ultima parte, quella raccontata da Minato, illumina tutti i punti oscuri della vicenda e rimette le cose nel loro giusto ordine, svelandoci quel segreto che il ragazzino si porta dietro come se fosse un peccato.
In una delle scene più toccanti del film la direttrice della scuola gli apprende che la felicità può essere vissuta da ognuno di noi e, dandogli una tromba in mano, lo incita a soffiare tutto il suo dolore e la sua rabbia, tutto quello che gli pesa e non riesce a dire, in questo strumento trasformandolo in musica.
Se Monster attraversa più generi- Kore Eda si diletta a metterci su delle possibili false piste,
immergendoci in un primo tempo nell’atmosfera di quello che potrebbe essere un film dark dai risvolti particolarmente inquietanti – la fine della pellicola è luminosa.
Con un’ultima svolta, il reale ed il fantastico convergono nell’immagine gioiosamente liberatoria di due ragazzini che corrono insieme sorridenti verso il futuro. Monster è, in definitiva, una coming of age story, toccante ed intrisa di umanesimo.