Sorprese, perplessità e premi multipli
Dopo dieci giorni intensi di visioni, dibattiti, conferenze stampa, feste e tappeti rossi anche quest’anno l’indescrivibile frenesia propria del festival di Cannes si è canalizzata nella sua ultima grande funzione: la cerimonia di chiusura.
Ventidue erano quest’anno i lungometraggi in lizza per l’ambita Palma d’oro e per gli altri premi, altrettanto prestigiosi, del festival.
A conti fatti, la selezione ufficiale di quest’anno pur proponendoci, nella sua grande maggioranza, delle opere di buona qualità non ci ha offerto nessun’opera capace di fare la differenza, emergendo con evidenza assoluta, come un capolavoro tout court.
Si trattava dunque di scoprire fra vari film, potenzialmente, più gettonati di altri, quali sarebbero state in definitiva le scelte della giuria presieduta da Vincent Lindon.
Come al solito nelle ore precedenti all’annuncio del palmares i pronostici sui possibili vincitori si sono scatenati ma, anche quest’anno, il verdetto della giuria è riuscito a creare, nel bene e nel male, la sorpresa.
La prima sorpresa è stata quella della moltiplicazione dei premi. Quest’anno su 22 film, ben dieci film sono stati premiati, cioè quasi la metà dei film in concorso. Il Grand prix du jury così come pure il Prix du Jury sono stati attribuiti a due film ex-aequo, inoltre quest’anno, alla richiesta della giuria, è stato istituito un premio ad hoc: il Premio speciale del settantacinquesimo anniversario.
Chi si aspettava di vedere nel verdetto una linea chiara e delle prese di posizioni ardite e coraggiose da parte della giuria, è stato certamente deluso, il Palmares di quest’anno sembra, ancora una volta, avere cercato di fare felici un po’ tutti, riuscendo ad includere, come dicevamo anche prima, più film del solito senza esprimere una vera visione di fondo, associando paradossalmente, nell’attribuzione dei premi ex-aequo, dei film quasi agli antipodi.
In questo Palmares alla volta consensuale e confuso certamente un’enorme sorpresa è stata l’attribuzione della Palma d’Oro a Ruben Östlund per Triangle of Sadness. Östlund che aveva già ricevuto la somma ricompensa del festival nel 2017 per The Square entra cosi a fare parte di quel gruppo molto ristretto di registi premiati due volte con la Palma d’Oro fra i quali si annoverano Shoei Imamura, Ken Loach, Francis Ford Coppola, Michael Haneke, Bille August, Emir Kusturika e i Fratelli Dardenne Triangle of Sadness satira feroce del mondo dei super-ricchi, messo in scena con estrema bravura, c’imbarca su uno yacht di lusso insieme ai suoi protagonisti, immergendoci in un’avventura alla volta esilarante ed assolutamente cinica, che culmina in una scena indimenticabile di tempesta in cui tutto questo bel mondo finisce per essere sommerso da un torrente di escrementi.
“Questo film ci ha scioccato!” ha dichiarato il presidente Lindon annunciando il nome del vincitore. Certamente si legge, dietro questa scelta, il desiderio di volere premiare non solo la grande maestria della mesa in scena ma anche un film che, in un certo qual modo, s’interroga sui valori della nostra società di consumo, sia pure attraverso l’arma crudele di una satira senza mezzi termini, dando così un tono vagamente ‘politico’ a questa scelta.
Il film, pur apprezzato da molti critici, non aveva comunque fatto l’unanimità durante le sue prime proiezioni a Cannes.
Il Grand Prix du Jury attribuito ex-aequo a Close, secondo lungometraggio del belga Lukas Dhont e a Stars at Noon, di Claire Denis ha lasciato tutti estremamente stupiti per l’accostamento di due opere che non potrebbero essere più diverse fra di loro. Intriso di un lirismo a fior di pelle, Close, ci racconta la storia di una amicizia fra due ragazzini che si scontra contro i pregiudizi dettati della normatività sessuale, spingendo l’uno dei due a prendere le distanze dal suo amico del cuore con delle conseguenze drammatiche. Filmato al più presso dei volti dei suoi giovani personaggi ed attraversato da un torrente di emozione, il film, oltre ad avere fatto piangere il pubblico in sala, è stato accolto da una standing ovation di quasi dieci minuti alla sua prima. Eppure, nonostante l’interpretazione struggente del suo giovanissimo protagonista (Eden Dambrine) affiancato da un’eccellente Emilie Dequenne nel ruolo della madre del suo amico, Close non è un’opera altrettanto ben sviluppata ed articolata che Girl, il suo sensazionale film esordio, Camera d’oro nel 2018. Optando troppo spesso per l’ellissi Close non riesce ad esplorare pienamente le conseguenze del dramma che lo traversa, restando piuttosto sulla superficie muta del dolore dei suoi personaggi.
Il premio attribuito a Stars at Noon, di Claire Denis, storia su sfondo di thriller politico di una passione fra due stranieri in Nicaragua, mentre la guerra civile si prospetta all’orizzonte, ha veramente stupito tutti. Il film, che non riesce a trovare la sua strada è certamente fra i meno riusciti della regista, in questo senso la ricompensa può essere letta piuttosto come un “premio alla carriera” che come un riconoscimento del valore intrinseco di quest’opere decisamente mediocre.
Certamente la voce di Vincent Lindon, ammiratore del mondo creativo di Claire Denis, con cui ha girato tre pellicole, deve avere pesato nella presa di questa decisione.
Altrettanto sconcertante è l’associazione, ex-aequo, di due film diametralmente opposti come EO di Jerzy Skolimowski e Les Huit Montagnes, di Charlotte Vandermeersch e Félix Van Groeningen nel Prix du jury, una ricompensa tradizionalmente attribuita a delle opere cinematografiche particolarmente innovanti. Paradossalmente fra questi due film ad essere innovante è proprio quello di Skolimovski che, dall’alto dei suoi ottantaquattro anni, è riuscito a creare un’opera fresca, follemente inventiva e visionaria. Rivisitando con estro il capolavoro di Bresson Au Hazard Baldassar, Skolimovski mette al centro della sua storia le vicissitudini di un asino, ed è proprio i suoi sei asini, protagonisti del film, che il regista, con una solennità assoluta – e non poca ironia- ha tenuto a ringraziare, uno per uno, durante il suo discorso sul palcoscenico del Grand Theatre Lumière.
Prendendo come sfondo la natura grandiosa delle Dolomiti Les Huit Montagnes diCharlotte Vandermeersch e di Félix Van Groeningen, ci narra invece una storia d’amicizia e d’amore fra due ragazzi, un cittadino e un montanaro, nel corso di tre decenni. Lungi dall’apportare un input estetico innovante il film, intriso di accademismo, non ci propone nessuna sorpresa formale ed è dunque assai curioso di vederlo premiato proprio in questa categoria.
Tre anni dopo la Palma d’Oro e il trionfo mondiale di Parasite, Park Chan-wook è stato meritatamente ricompensato con il Premio della messa in scena per Decision to Leave, la storia di commissario poco convenzionale che finisce per innamorarsi della moglie della vittima e principale sospetta dell’omicidio, un film noir che gioca sul tema del doppio, ispirandosi ai classici del genere- Vertigo è uno dei suoi tanti riferimenti. Da un punto di vista visuale il film è sontuoso, senonché proprio questa ricerca esacerbata dell’effetto visuale finisce per appesantirne la struttura narrativa. La storia stessa patisce sotto questo eccesso di gioco di specchi, risultando spesso involontariamente oscura e brumosa.
Due premi in particolare rispecchiano la volontà della giuria di dare anche un senso politico alle sue scelte. Il premio della sceneggiatura è stato attribuito allo svedese di origine egiziana, Tarik Saleh per il suo eccellente Boy from Heaven. Dopo averci offerto con Cairo Confidential ( data) un thriller politico vibrante, il regista c’invita a penetrare negli arcani della prestigiosa università Al-Azhar du Caire, haut lieu de l’islam sunnita, creando un film di spionaggio religioso che, sondando le lotte di potere che vi hanno luogo, ci tiene col fiato sospeso con colpi di scena a catena, fino all’ultimo minuto.
Decisamente politico è invece il premio della migliore interpretazione femminile attribuito a Zar Amir Ebrahimi, star della televisione iraniana costretta a vivere esilio per uno scandalo di costume. L’attrice è stata ricompensata per il suo ruolo di giornalista in Holy Spider di Ali Abassi, una storia ispirata da un fatto di cronaca reale avvenuto nella villa santa di Mashhad, dove un padre di famiglia, aveva deciso di ‘ripulire’ la citta delle sue prostitute, uccidendo ben sedici donne. Davanti alla negligenza della polizia locale una giovane giornalista e decisa a venirne a capo di questi omicidi. In questo film crudamente realista dove Abassi indulge con troppa compiacenza nella descrizione dei femminicidi, il personaggio interpretato da Zar Amir Ebraimi- scritto in modo abbastanza superficiale e di per se secondario- non è certamente memorabile.
Un vero peccato non avere invece premiato l’interpretazione intensa e folgorante della meravigliosa Alyona Mikhailova, l’eroina di Tchaïkovski’s wife di Kirill Serebrennikov che illumina con il suo volto ogni singolo fotogramma del film, facendoci vibrare d’emozione.
Il premio della migliore interpretazione maschile e stato attribuito ad un grande attore sud-coreano Song Kang-ho, particolarmente apprezzato sulla Croisette anche per la sua interpretazione in Parasites, per il suo ruolo di piccolo delinquente dal cuore d’oro nella feel-good comedy di Hirokasu Kore-Eda, Broker, un film godibile ma certamente non uno dei suoi migliori. Anche questa e una scelta stupefacente, fosse solo considerando che si tratta di un film corale, senza un vero e proprio protagonista.
Un’occasione perduta per premiare invece l’interpretazione magistrale, finemente cesellata, di Benoit Magimel nel ruolo di un eminente funzionario della Repubblica francese a Taiti, alla volta amichevole, politicamente impegnato e disilluso in Pacifiction di Albert Serra, un film che avrebbe meritato l’interesse della giuria.
Il premio della settantacinquesima edizione del festival di Cannes, un premio voluto e proposto dalla Giuria, e stato attribuito, senza sorprendere nessuno, ai due piu grandi veterani del festival di Cannes, I Fratelli Darnenne, che, oltre ad avere gia vinto tre palme d’Oro sono stati premiati nel corso di questi ultimi vent’anni anche con il Premio per la messa in scena, il Grand Prix du Juy e il Premio della messa in scena.
per il loro ultimo film, Tori et Lokita, ritratto sobrio e di una grande giustezza, di due ragazzini di colore alle prese con la durezza e i pericoli dell’immigrazione clandestina.
Visibilmente commossi i Fratelli Dardenne hanno accettato il premio dicendo: “Siamo veramente sorpresi e molto onorati di ricevere questo premio. Non ci contavamo per niente. Pensavamo che vi sareste ormai stancati di noi!”
E poi ci sono degli altri film che sono purtroppo ripartiti a mani vuote ma che avrebbero meritato, a nostro avviso, ognuno per motivi diversi, di attirare l’attenzione della giuria. Tra questi vorremmo menzionare: Pacifiction di Albert Serra, un’eccentrica cronaca politica girata in Polinesia ed immersa in un’atmosfera ipnotica ed incredibilmente colorata ed ancora R.M.N di Cristian Mungiu, un racconto crudo e implacabile sulla xenofobia in un remoto villaggio della Transilvania, un film politico di grande impatto. A questi titoli va aggiunto inoltre Armageddon Time, una delicata autobiografia di James Gray che traccia inoltre il profilo di un’intera epoca, quella dell’America di Reagan. Infine, ancora da segnalare sono: Leila e i suoi fratelli di Saeed Roustayi, una commedia drammatica iraniana con un’incredibile energia, dialoghi molto ben scritti ed un cast di attori assolutamente stupefacenti e Les Amandiers di Valeria Bruni Tedeschi, di nuovo un film a sfondo autobiografico che ritraccia suoi esordi come attrice alla Scuola di Teatro di Nanterre. Con il suo ritmo sfrenato, la sua carica di emozione e di libertà nonché un ensemble d’interpreti che incarnano i loro personaggi con una freschezza ed un’immediatezza ammirevole, ha profondamente commosso il pubblico di Cannes.