CRIMES OF THE FUTURE di DAVID CRONENBERG

Attesissimo, David Cronenberg il grande maestro del cinema fantastico, ritorna sulla Croisette con The crimes of the future, una pellicola che porta lo stesso titolo di un suo film del 1969, realizzando finalmente un progetto che aveva nel cassetto già dagli anni novanta.

Accompagnato dalle star Lea Seydoux, Kristen Steward e Vigo Mortensen- con il quale aveva già collaborato per A history of violence e Les promesses de l’ombre- David Cronenberg ha camminato sorridente ed affabile sul tappeto rosso in un’atmosfera effervescente con interviste in diretta, una miriade di foto ed una folla esultante intorno a lui. A qualche centinaia di metri di distanza, davanti alla sala Debussy, c’era la stessa atmosfera di attesa eccitata e delle code lunghissime formate dalla stampa internazionale accorsa in massa per vedere un film, che almeno sulla carta, prometteva di scioccare, creando l’evento.

Mettendo al centro di questa sua nuova opera il corpo umano, un plausibile sregolamento evolutivo, il mestiere di artista e il concetto grottescamente mostruoso di « bellezza interiore », Cronenberg c’ invita a varcare la soglia di un mondo distopico- il nostro- ormai semi-spopolato buio e sinistro,  dove il dolore fisico esiste solo durante il sonno e gli uomini posso permettersi ogni tipo di sperimentazione sulla propria pelle.

Protagonisti di questa storia sono due artisti ‘cult’ specializzati in un tipo molto particolare di performance che consiste nel praticare delle ablazioni di organi dal vivo davanti ad un pubblico di ferventi seguaci. Papessa assoluta del bisturi artistico è l’affascinante e misteriosa Caprice (Lea Seydoux), chirurgo di formazione che, con mano leggera e con precisione assoluta, maneggia le manopole di un complicato ordigno tecnico, una specie di sarcofago munito di bisturi, incide la pelle del corpo del suo compagno, l’artista d’avanguardia Saul Tenser (Vigo Mortensen) per estrarne degli organi nuovi che vi sorgono spontaneamente. Questi organi, prima di venire estratti – anche se resta difficile da immaginare come questo possa succedere- vengono precedentemente tatuati.

Intorno a questa coppia, ammirata e seguita da un’esaltata comunità segreta di seguaci, si muove una serie di personaggi secondari, i cui caratteri e le cui intenzioni, finiranno per rivelarsi ambigue e contraddittorie. Un servizio pubblico di capitale importanza, il Registro nazionale degli organi, ha il compito di osservare e catalogare tutti i casi di nuovi organi che il corpo umano produce in un mondo completamente sfasato- forse a causa dal mutamento climatico o forse in seguito ad una guerra.  Due burocrati zelanti invitano i performer nei loro locali per convincerli dell’importanza di dichiarare e di fare catalogare ogni nuovo organo ‘prodotto’ dal corpo di Saul Tenser. In questo mondo oscuro, post-apocalittico sembrano esistere anche degli organi statali di controllo che seguono da presso queste evoluzioni nonché tutti coloro che sono coinvolti, in qualche modo, nelle ingerenze ‘artistiche’ sul corpo umano. Nel corso del film, in una serie di appuntamenti notturni in un vecchio cantiere navale abbandonato fra il capo della buoncostume e Saul Tenser scopriremo che quest’ultimo, dietro il suo ruolo di body performer, è in realtà un informatore della polizia, diventando in seguito addirittura un infiltrato. Un’altra coppia è composta da due giovani donne, addette alla manutenzione del sarcofago-bisturi di cui si servono gli artisti per le loro performances cosi come pure di un paio di altri ordigni che servono ai loro clienti per mangiare e dormire senza provare del dolore. Due coniugi separati ed il loro bimbo che si nutre esclusivamente di plastica, completano l’elenco dei personaggi principali di questa vicenda di cui non diremo di più se non che, una volta varcata la soglia del film, bisogna lasciarsi andare all’inventività visuale del regista senza domandarsi troppo quale sia il vero senso di questa vicenda.  Nel corso della pellicola verremo sommersi da varie teorie, da diverse elucubrazioni sull’arte, la bellezza, il corpo o il piacere sessuale prodotto dal dolore fisico e dalla mutilazione. Tutti i personaggi si sdoppiano nel corso di questa vicenda tanto intricata e viscosa come gli intestini che vengono profusamente estratti dal corpo dei performer.

L’approccio visuale di questo universo di fantascienza dark è quello di un mondo in paccottiglia mezzo realista e mezzo teatrale. Da un lato la scenografia si nutre dell’iconografia post-crisi economica delle strade del centro di Atene filmate di notte, dove le case rivestite di graffiti sono in rovina, i muri sono slabbrati, con brandelli di vecchie pubblicità mezze strappate e di un cantiere navale abbandonato, dall’altro ci propone degli ordigni tecnici di ispirazione vegetale, che sembrano più dei giochi da barracconi che degli strumenti tecnici d’avanguardia. Il sarcofago per le autopsie per esempio è una specie di grosso guscio di noce, la sedia che  serve a digerire, dispone di una serie di mani che sembrano delle liane, traballa tutto il tempo e rende quasi impossibile portarsi un boccone in bocca, il letto che dovrebbe alleviare i dolori notturni è un ricettacolo anch’esso fornito di mani vegetali che risucchiano la pelle in vari punti.

In tutto questo mondo, fin troppo famigliare, dove la notte illumina, come delle gemme dalla bellezza viscosa, i diversi organi umani messi in evidenza dalle incisioni ‘artistiche’ dei protagonisti, tutti parlano disquisiscono su varie questioni, esprimono giudizi magniloquenti sulla bellezza interiore, presi in una specie di delirio concettuale, ne risulta una quantità iperbolica di teorie con un effetto di accumulazione. In questa cacofonia generalizzata siamo travolti da un vero polverone di idee che, alla fine, non hanno molto senso. Se i codici sono certamente quelli dell’horror fantastico, il tono generale della pellicola è quello della parodia. Tutto è volutamente eccessivo e teatrale a partire dalla messa in scena con le sue mille trovate, alla recitazione degli attori, decisamente anti-naturalistica, alla smania logorroica dei personaggi. David Cronenberg sembra essersi dilettato a rivisitare il suo universo artistico, soprattutto quello dei suo primi film, con un brioso senso per l’autocitazione ed una folle libertà.

Chi si è lasciato prendere a questo gioco, filtrando, il serio- l’estro giocoso e canzonatorio della messa in scena- dal faceto, le teorie evoluzioniste e quelle estetiche- ha apprezzato il film nella sua giusta misura.

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