Solo una decina di giorni ci separano ormai dall’inizio della 63ma edizione del Festival di Cannes che si inaugurerà il 12 maggio e fermerà le sue porte il 23 maggio con l’annuncio dell’attesissimo palmarés. Una delle novità più interessanti di quest’anno è senza dubbio il cambio di direzione alla Quinzaine des Réalisateurs, sezione parallela del festival, indipendente e non competitiva, creata dopo il ‘68 dalla Società dei registi cinematografici (SRF). Gli sguardi sono rivolti con particolare interesse, curiosità e molte aspettative verso il programma di questa sezione. Diretta con molto successo negli ultimi sei anni da Olivier Pére, la Quinzaine quest’anno passa nelle mani di Frédéric Boyer. Frédéric Boyer non è un volto nuovo per la Quinzaine: aveva, infatti, fatto parte del comitato di selezione durante gli ultimi anni. Pur nella continuità della linea tracciata dal suo predecessore, Boyer porterà certamente un’impronta nuova e personale alla manifestazione.
L’immagine da lui scelta per rappresentare la Quinzaine ci rivela un gusto molto personale, eclettico, una sensibilità forte che dovrebbe muoversi fuori dai sentieri battuti. Sul manifesto campeggiano i volti sorridenti e maliziosi di due ragazze, sorprese mentre osservano il torso nudo di un loro compagno. Scattata da Claudine Doury negli anni novanta, in un campo di vacanza per adolescenti in Crimea, questa fotografia irriverente, curiosa, gioiosa e trasgressiva rappresenta molto bene lo spirito della Quinzaine. É proprio questo che ci si attende da questa sezione: la rivelazione di talenti emergenti attraverso una creazione cinematografica ancorata nel presente, ma tesa verso l’avvenire. In questo senso, almeno sulla carta, la selezione di quest’anno non dovrebbe deluderci: fra i ventidue lungometraggi presentati la metà sono, infatti, delle opere prime.
Scorrendo la lista dei partecipanti si può constatare l’assenza di nomi famosi – chi si aspettava per esempio di ritrovare qui l’ultimo lavoro di Terrence Malik, resterà deluso – in compenso si potranno scoprire delle opere provenienti da paesi poco presenti nell’universo della produzione cinematografica come il Kirghizistan con The light Thief di Aktan Arym Kubat. Da segnalare la presenza di un film italiano: Le quattro volte di Michelangelo Frammartino. Le quattro volte aveva ottenuto nel 2007 l’appoggio dell’Atelier del Festival di Cannes ed in seguito quello del Torino Film Lab. Nell’intervista a Gilles Rousseau per il sito web della Quinzaine, Frédéric Boyer annovera Le quattro volte fra i suoi film preferiti: “Per me Le quattro volte è un capolavoro, un incanto assoluto, un film che potrei guardare stando in piedi! Già il film precedente di Frammartino, Il dono (2002), un film muto girato in Calabria in mezzo alle capre, era un’opera molto particolare, prossima all’universo di Apitchatpong Weerasethakul. Ci troviamo qui di fronte ad una specie di trance, di misticismo nel cinema che io personalmente trovo meraviglioso.”
La selezione di quest’anno è caratterizzata da una presenza importante di produzioni europee, undici in totale fra cui quattro film francesi, così come pure da un ritorno in forza del cinema latinoamericano. Degno di nota è anche un rinnovato interesse per l’Africa, raramente presente in questo tipo di manifestazioni, attraverso un documentario dedicato ad un gruppo di musicisti paraplegici di Kinshasa, Benda Bilili! di Renaul Barret e Florent de la Tullaye, e una produzione locale nella sezione dei corti: Zed Crew di Noah Pink (Zambia). La cinematografia del sud-est asiatico, invece, è la grande assente di questo programma, eccezione fatta per The tiger factory di Woo Ming Jin, un film proveniente dalla Malesia. Nella sezione dedicata ai cortometraggi verranno presentate nove opere fra cui si annovera un altro film italiano: Tre ore di Annarita Zambiano e l’attesissimo lavoro di Louis Garrel, Petit Tailleur, un mediometraggio girato in bianco e nero.
Il documentario quest’anno occupa un particolare spazio nella sezione “Special screenings” dove avremo l’occasione di vedere l’ultimo film di Frederik Wisemann, Boxing Gym, e il documentario musicale Stones in Exile di Stephen Kijak, dedicato ai Rolling Stones che contiene, fra l’altro, molto materiale girato all’epoca della registrazione dell’album dal famoso fotografo Robert Frank e vietato subito dopo dal gruppo. Per la prima volta dopo molti anni i due film di apertura e di chiusura saranno francesi: il già citato Benda Bilili! inaugurerà la competizione, Pieds nus sur les limasses di Fabienne Bertaud, la storia del rapporto complesso fra due sorelle interpretate da Diane Kruger e Ludivine Sagnier, ne segnerà la conclusione. Commentando i suoi criteri di selezione Frédérique Boyer ha detto che: “I film che presentiamo sono dei film che ho veramente voluto, desiderato. Dal momento in cui il comitato di selezione ed io abbiamo visto ed apprezzato un film non ci sono stati tempi d’attesa dettati da considerazioni strategiche, geografiche o geopolitiche. Quasi subito, abbiamo dato un colpo di telefono e lo abbiamo invitato. (…) Per me una selezione riuscita è una selezione che propone una grande varietà di film, di stili e di generi differenti, dei modi distinti di vedere il mondo e di metterlo in scena. Quest’anno per esempio c’é un film di spionaggio danese accanto ad un film d’horror uruguaiano ad una commedia messicana familiare sullo sfondo del cannibalismo insieme a due film belgi sorprendenti e a due produzioni americane indipendenti.” Se da un lato Boyer rivendica l’eclettismo delle sue scelte non manca di sottolineare che: “ Sui ventidue film selezionati almeno la metà è su soggetti politici e socioculturali come il film belga Illegal, una finzione su un centro di detenzione per immigrati clandestini, filmato alla maniera di Ken Loach, molto commovente e con degli ottimi attori o Cleveland vs. Wall Street di Jean-Stéphane Bron, un documentario appassionante sul dramma dei sub-primes.”
L’innovazione e la tradizione sembrano entrambe trovare il loro posto: “Le nostre scelte rispecchiano anche un interesse per dei nuovi modi di fare cinema: per esempio il film horror uruguaiano, La casa muda, è stato filmato in soli quattro giorni con un apparecchio fotografico in un’unica ripresa di 72 minuti. La messa in scena della paura è affidata qui più che altro al suono e alla luce, ma accanto a questo tipo di film ci sono dei lavori classici, esteticamente molto belli, come La mirada invisibile di Diego Lerman (Argentina), una storia su sfondo di dittatura che esplora il rapporto fra il desiderio e il potere.” Eclettica, innovativa, impegnata la selezione della Quinzaine ci riserverà certamente molte sorprese: appuntamento sulla Croisette per il seguito!