RED ROCKET di SEAN BEAKER

Chi dovesse un giorno incontrare Sean Baker per strada, direbbe di lui che è un trentenne, eppure il regista americano che con Red Rocket, presentato oggi in concorso al festival di Cannes, firma il suo settimo lungometraggio, è di fatto un uomo di mezz’età con una filmografia tanto interessante quanto eclettica alle sue spalle.  L’approccio sensibile della psicologia dei suoi personaggi, la sua abilità nella direzione degli attori professionisti, il suo virtuosismo visuale e il suo spiccato interesse per i gruppi sociali marginali ne fanno un artista assolutamente a parte. Il pubblico europeo ha scoperto il suo lavoro principalmente attraverso il suo terzo lungometraggio Starlet, scritto insieme al suo co-scenarista di sempre Chris Bercoch, e presentato in concorso a Locarno nel 2012. Starlet, storia di un’amicizia a prima vista improbabile fra una giovane ragazza, Jane, attrice famosa di film porno interpretata da Dree Hemingway e Sadie, una vecchia signora scontrosa e riservata, interpretata da Besedka Johnson aveva entusiasmato pubblico e critica per la finezza della sua scrittura, la grazia e la forza delle interpretazioni, la sua carica emotiva e lo splendore della fotografia. Il suo film seguente Tangerine, presentato a Sundance nel 2015, si contraddistingue per la mobilità delle riprese – di fatto effettuate con tre Smartsphones iPhone 5S-  il fasto dei colori e delle scene notturne, nonché un cast eclettico di attori non professionisti che danno corpo ed anima al milieu della comunità transgender di Hollywood in un film corale pieno di verve e di umanità. Con il suo sesto film, The Florida Project, presentato nel 2017 alla Quinzaine des Réalisateurs, Sean Baker continua ad esplorare la marginalità e la precarietà di chi pena a trovare un suo posto nella società americana, descrivendoci le traversie di una giovane madre ostinata e ribelle e della sua figlioletta di sei anni nel loro tentativo di ritrovare una vita pressappoco ‘normale’ in un grosso motel. Le interpretazioni sono, ancora una volta, vivide e toccanti. Di fatto la vera protagonista del film è Monee, la bimba, interpretata da Brooklynn Prince.  La cinepresa la segue senza sosta durante tutto il film restando sempre all’altezza del suo sguardo e adottando la sua prospettiva. Al cast di non professionisti si associa nel ruolo del manager dell’hotel un grande attore del calibro di Willem Dafoe, che per questo ruolo è stato nominato agli Oscar come migliore attore non professionista.

Anche Red Rocket s’iscrive pienamente nell’universo del regista sondando la vita di una piccola comunità semi seclusa ai margini della città, incastonata fra la campagna e le grosse raffinerie di petrolio. Il film ci racconta la storia di Mikey un ex-porno star, interpretato da Simon Rex che, rimasto senza soldi e senza lavoro nonostante le sue passate glorie, ritorna nel suo villaggio natale in Texas e, pur di tirarsi fuori dai guai, è pronto a sfruttare tutti quanti lo accolgono con affetto e benevolenza. Red Rocket fa parte di quei film che potremmo ormai definire come una nuova categoria in sé: i film “Covid”, girati durante la pandemia con pochi mezzi, molte restrizioni di budget, di luoghi, di cast e limitazioni di vario genere. Un esercizio molto interessante che ha costretto vari registi abituati a girare con dei budget cospicui, a riscoprire una specie di elementarità, risalendo ai valori fondamentali del loro fare cinema. Anche in Diários de Otsoga di Miguel Gomes e Maureen Fazendeiro, presentato in questi giorni alla Quinzaine des Réalisateurs e girato durante il lockdown, i registi hanno dovuto confrontarsi con le condizioni dettate dalla pandemia e fare prova di grande inventività.

Sean Beaker, che stava per iniziare un grosso progetto, ha dovuto rinunciare e rinviarlo a tempi migliori, ma il regista non si è voluto dare per vinto e ha deciso di girare con un budget irrisorio e con un metodo da guerriglia, semi-clandestino, il suo ultimo film: Red Rocket.Per questo progetto Sean Beaker ha fatto appello ancora una volta ai suoi collaboratori di sempre; al suo co-scenarista Chris Bergoch e al suo co-produttore Tsou Shih-ching che gli hanno prestato manforte per girare il film in un periodo di lockdown, rispettando tutti i protocolli sanitari previsti dall’industria cinematografica. La grande rivelazione di Red Rocket è indubbiamente il suo protagonista Simon Rex. Simon Rex incarna il suo personaggio Mikey “Saber” Davis alla perfezione regalandogli tutto il suo fascino, la sua energia e forse anche un leggero tocco autobiografico offrendoci un’interpretazione, a dir poco, spettacolare. Mikey attraversa letteralmente tutto il film, percorre ogni singola scena, si sposta come una freccia in lungo e in largo per il paese pedalando una bici da ragazzi, deciso a fare la sua strada, in senso proprio e figurato, s’impone con il suo corpo agile ed atletico, il suo carisma nefasto ed irresistibile portando lo scompiglio nella vita di tutti coloro che incontra. Arrivato solo e senza un soldo, completamente alla deriva, Mikey si presenta come un povero penitente sulla soglia della moglie Lexi (Bree Elrod), abbandonata anni prima, per seguire i suoi sogni di gloria a Los Angeles. In poco tempo riesce lentamente a convincerla ad offrigli alloggio nonostante la reticenza della madre della donna Lil (Brenda Deiss) che, a ragione, non crede nella sincerità dei suoi propositi e nella purezza delle sue intenzioni. Infatti non appena Mikey si sente al sicuro inizia la sua vita indipendente organizzandosi per conto proprio a Texas City e cercando di trarre il migliore profitto da ogni situazione ma soprattutto da ogni persona che incrocia. Come prima cosa mette su un business di traffico di droga procurandosi dell’erba da Leondria (Judy Hill), la spacciatrice locale, e rivendendola agli operai della raffineria locale che stravolti dal lavoro sono pronti a comprargliela pur di trovare la forza per andare avanti. Con il suo fare sorridente ed amichevole Mikey s’ingrazia anche Raylee, detta Strawberry (Suzanna Son) una ragazzina, gioiosa e spigliata che lavora nel negozio di Donuts locale e Lonnie (Ethan Darbone), il suo vicino di casa, un ragazzo solitario, che lo ammira smisuratamente. In breve tempo riesce a fare di Lonnie il suo autista privato e il suo confidente, facendogli credere di essere il suo migliore amico ma il suo vero, grosso progetto riguarda Raylee, che riesce a convincere nel giro di poche settimane, a mollare tutto e a seguirlo per diventare una porno star a Los Angeles, i cui profitti, ovviamente, andranno direttamente nelle sue tasche. Lentamente come un ragno, subdolo e calcolatore, Mikey da predatore qual’ è, tesse la sua tela fatta di lusinghe e false promesse, avvolgendo una dopo l’altra tutte le sue vittime. L’egoismo freddo e determinato con cui si avvicina agli altri è costantemente celato da un magnetismo e da un fascino a tutta prova. Eppure, nonostante tutto, non riusciamo veramente ad odiare questo personaggio detestabile sotto ogni punto di vista, perché Sean Backer sa descriverlo con quel tanto di ironia – già vedere un uomo della sua stazza andare in giro su una bicicletta da ragazzi lo rende subito alquanto ridicolo- da creare una sorta di empatia. Comico- tragico il film ci mostra, con l’accuratezza di uno studio preciso del milieu sociale che ci descrive, un perdente fra i perdenti di questa vita, ma tanto preso e convinto di sé stesso da non rendersi conto che chi tratta di sfruttare sono, di fatto, le sole persone che si prendono cura di lui.  Fedele all’umanità che contraddistingue tutti i film di Sean Beaker, l’avventura pateticamente dark di Mikey terminerà con una sorprendente catarsi finale.

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