di Maria Giovanna Vagenas / Un primo approccio a I tempi felici verranno presto, il primo, molto atteso, lungometraggio di finzione di Alessandro Comodin, mostrato fuori concorso alla Semaine de la Critique, non può essere che meramente fenomenologico.
Il film si apre in medias res. Un alto muro di cinta occupa quasi tutto lo spazio dell’inquadratura, su questo sfondo sfilano i titoli di testa. Un ragazzo con un cappotto militare si lascia cadere dall’alto ed atterra ai piedi del muro, subito dopo un secondo ragazzo cade giù allo stesso modo. I due, ansimanti, prendono la fuga e s’immergono in un bosco su un terreno frastagliato dove gli alberi svettano fra le rocce e si alternano a piccoli prati e ad insospettati anfratti nel suolo.
I due ragazzi sono allo sbando. Di loro verremo a sapere solo i nomi: Tommaso e Arturo.
Arturo (Luca Bernardi) è bruno, emaciato, gli occhi vivaci e i gesti scattanti, sul suo volto pallido e spigoloso si disegnano appena un paio di baffi.
Tommaso (Erikas Sizonovas) è biondo, solare, agile come un gatto, un bel sorriso gli illumina il volto dai tratti dolci e regolari.
Ma chi sono costoro in realtà? Da cosa fuggono ?
A giudicare dalla fattura dei cappotti militari potremmo, forse, situare quest’avventura durante la seconda guerra mondiale ma nulla è dato per certo; possiamo solo intuirlo e lasciare libero corso alla nostra fantasia.
Il film lavora principalmente su questa modalità lasciando a noi spettatori un ampio spazio di manovra per emettere le ipotesi più diverse ed immaginare storie multiple.
Forse i due ragazzi sono in fuga dal nemico, forse dall’esercito stesso che servono o forse da tutt’altro.
Soli, abbandonati a se stessi e ad un destino incerto i due vagano alla ricerca di un qualcosa con cui sfamarsi; un fungo scoperto dietro un masso o una lepre catturata con una trappola rudimentale fatta di un buco scavato con le mani nel terriccio del bosco e di un grosso sasso in bilico su un asticella di legno. Il regista si attarda a filmare questi gesti urgenti e goffi con uno sguardo tenero, benevolo, partecipe agli sforzi dei ragazzi.
Ogni istante fra i due fuggitivi è teso ma magnificamente inebriante; l’ansia si mischia alla sfrontatezza, alla spensieratezza, alla gioia irrefrenabile di sentirsi vivi, di giovani, pieni di energia.
La scoperta di una grotta sotterranea, luogo cruciale del film, inebria uno dei ragazzi ma preoccupa e spaventa l’altro che ne percepisce la potenziale pericolosità.
I due si rincorrono, si stuzzicano, l’affetto passa attraverso la vitalità dei corpi, attraverso il loro moto perpetuo. Uno dei momenti più belli e toccanti del film è la scena in cui Alessandro Comodin filma una lotta giocosa fra i due compagni in un prato. Tommaso rincorre ed attacca Arturo di sorpresa, gli salta addosso di spalle, lo costringe a rotolarsi per terra, a dare calci e pugni per liberarsi dalla sua presa, in una sorta di abbraccio ludico, virile ed infantile allo stesso tempo.
Questa scena è struggente per un qualcosa di puro e di effimero che le è consegnato: l’epifania meravigliosa di un momento di vita catturato al di là di ogni finzione cinematografica.
E proprio in questo interregno gravido di sensazioni, poroso e sensuale in bilico fra la finzione e la presa documentaria sul reale che Alessandro Comodin riesce ad esprimersi con assoluta limpidezza ed autenticità.
Attraverso l’ambiente silvestre ritratto con mistero e poesia e i suoi personaggi liberi e selvaggi il regista apre il film sulla dimensione del mito.
Qualcosa delle atmosfere dei Dialoghi con Leucò di Cesare Pavese sembra riecheggiare in questa vicenda che, non per nulla, è stata filmata fra Piemonte e Val d’Aosta.
Anche qui è estate, come in L’estate di Giacomo, il primo documentario di Alessandro Comodin vincitore del Concorso cineasti del presente nel 2011 a Locarno, di cui I tempi felici verranno presto riprendono l’iconografia e molti dei motivi di fondo: il bosco in cui i personaggi sembrano perdersi, il fiume come luogo d’incontro sensuale, lo studio della prima giovinezza, il gusto acerbo delle prime passioni, l’osservazione sensibile dei gesti e dei corpi.
Senonché, mentre L’estate di Giacomo era un film omogeneo ed organico, I tempi felici verranno presto è caratterizzato piuttosto da uno stile eclettico, a tratti, quasi incongruente.
Una cesura radicale interviene infatti alla fine di questo preludio costituito dalla breve ed intensa vicenda di Tommaso ed Arturo.
Improvvisamente veniamo proiettati nel presente. Lo statuto del film cambia subitamente e ci ritroviamo difronte ad una scena dal carattere esplicitamente documentario.
Un uomo racconta a dei bambini fuori campo la vicenda della ragazza e del lupo; una storia, apparentemente vera successa, in un passato recente, nella loro contrada. La ragazza, una straniera gravemente malata, avrebbe seguito la belva cercando, e forse trovando, un’alternativa insperata alla sua triste sorte. Nella scena seguente il regista stesso interroga un abitante del villaggio che gli racconterà un’altra versione dei fatti.
Senza alcun interludio la ragazza del racconto, Arianna (Sabrina Seyvecou), compare in carne ed ossa sullo schermo. In una bella sequenza introduttiva ne seguiamo il tragitto al fianco del padre su un trattore, tutto lungo una strada immersa nella vegetazione autunnale.
Nella ricerca di un salutare contatto con la forza primigenia della natura, la ragazza inizia la sua lunga erranza nel bosco. Scavando nel suolo umido della selva Arianna penetra nel sostrato del tempo; davanti a lei si apre una voragine meravigliosa- la stessa grotta sotterranea che avevamo intravisto nella prima sequenza del film – che la proietta, come in un sistema di vasi comunicanti, nell’humus mitico del bosco.
Un ragazzo – con le fattezze di Tommaso le viene incontro. Ma chi è questo essere misterioso? Tommaso ritornato in vita dagli anfratti segreti del bosco, dal sostrato della storia sanguinosa della regione, trasformato, all’occorrenza, in “lupo”? Forse. Ma questa è solo una delle interpretazioni possibili. Alla fine del loro incontro i due ragazzi, estatici, s’incamminano verso la sponda di un fiume dove s’immergono insieme nell’acqua fangosa. In una quietudine assoluta, carezzati dai raggi del sole, i loro corpi celebrano un’unione mistica radiosa. Ma l’esito della storia è crudelmente cruento.
Un taglio netto ci proietta nel cortile di una prigione al giorno d’oggi; un carcerato di vecchia data – un attore non professionista, forse un vero detenuto – cerca di consolare un ragazzo appena arrivato. Scopriamo che quest’ultimo ha, ancora una volta, i tratti di Tommasso. Chi è? Perché si è trovato lì, in che relazione sta quest’ultimo personaggio con le sue precedenti manifestazioni, qual è il rapporto fra tutti questi episodi?
I tempi felici verranno presto è film criptico, ellittico, il suo percorso è tortuoso, erratico, forse aleatorio. I suoi punti di sutura sono volutamente messi in evidenza, ma il nesso fra persone, situazioni, luoghi e tempi diversi resta indefinito, oscuro e –a volte- un po’ forzato. Registri distinti e discordanti fendono il tessuto narrativo creando degli effetti di dissonanza non sempre perfettamente integrati nell’insieme.
In un lavoro che si sviluppa scegliendo il partito preso della discontinuità, la presenza di un continuum emotivo diventa cruciale. Affinché l’insieme funzioni, seducendoci in un mondo ‘altro’, al di là della logica e delle strutture narrative correnti, le immagini e il suono devono possedere delle qualità che potremmo definire ‘ipnotiche’.
In questo senso Charles Tesson, direttore della Semaine de la critique, ha giustamente rilevato durante la presentazione del film, una prossimità di certe atmosfere di I tempi felici verranno presto con l’universo creativo di Apitchapong Weerasethakul.
Il bosco è nel film di Alessandro Comodin un’entità mitica in cui si muovono, vagabondano, vivono, muoiono e rinascono, scompaiono e riappaiono i protagonisti, eroi sconfitti, della vicenda, ma è anche è soprattutto l’arena di un corto circuito epocale attraverso cui il regista friulano vuole riesumare il sostrato mitico di una regione, nonché i soprusi di passato storico recente di cui questa terra conserva le tracce proiettandoli nel nostro presente e forse ancora al di là di esso.
Quella di I tempi felici verranno presto è certamente un’impresa ambiziosa che si perde spesso nei suoi stessi meandri narrativi ma questo suo difetto ne costituisce anche il fascino: il cammino sinuoso e spesso impenetrabile del film si apre su delle rade insospettate dischiudendo, a tratti, delle meravigliose, effimere, epifanie.
La grazia di questi momenti, ci accompagna come un viatico fragile e prezioso.
Alessandro Comodin è forse lui stesso alla ricerca del suo cammino nel labirinto della creazione cinematografica, ma questo suo percorso a tentoni, fatto di cadute e di slanci lirici, ne fa certamente uno dei giovani registi più promettenti di questi ultimi tempi.
CREDITS
Titolo originale: I tempi felici verranno presto (Happy times will come soon) /Regia: Alessandro Comodin / Sceneggiatura: Alessandro Comodin – Milena Magnani / Fotografia: Tristan Bordmann / Montaggio: João Nicolau – Alessandro Comodin / Suono: Mirko Guerra – Félix Blume – Fred Bielle /Interpreti: Sabrina Seyvecou, Erikas Sizonovas, Luca Bernardi, Marco Giordana, Carlo Rigoni , Paolo Viano, Marinella Cichello / Produzione: OKta Film – Co-produzione: Shellac Sud, Arte France cinéma / Distribuzione Francese: Shellac / Distribuzione italiana: Tucker Film/ Origine: Italia, Francia , 2016 / Durata: 1h40 min.