Quinzaine – La mirada invisibile di Diego Lerman, film presentato alla Quinzaine des Réalisateur, ci presenta, attraverso una riflessione sulla forza di seduzione e di controllo che ha lo sguardo, una parabola sottile ed oppressiva sulla dittatura argentina. La storia narrata nel film si svolge a Buenos Aires nel marzo del 1982, momento in cui iniziano le contestazioni contro il regime. Marita, la protagonista della vicenda, è una ragazza di ventitrè anni che lavora come sorvegliante nel Liceo Nazionale di Buenos Aires, una scuola d’élite che forma, da sempre, le future classi dirigenti
del paese.
Diego Lermann ci confina in un universo chiuso e protetto da ogni intrusione esterna; più che ad una scuola il Liceo Nazionale somiglia ad una fortezza. Imponente ed intimidatorio nella sua opulenza architettonica fatta di marmi, pilastri, scalinate monumentali questo luogo rispecchia, su una scala ridotta, lo stato d’isolamento e repressione in cui si trova l’intero paese. L’edificio, a più piani, si articola intorno ad un cortile centrale: una serie di logge e colonnati permettono allo sguardo di abbracciare il sito nel suo insieme. In questo spazio gli alunni non sono altro che delle figure anonime irrigidite nelle loro uniformi, costrette a dei rituali di comportamento militare e ad una disciplina tanto ferrea quanto insensata. I ragazzi sono scrutati, spiati, sempre e dappertutto, con uno sguardo indagatore, acuto e spietato, ma discreto: lo sguardo “invisibile”.
All’interno di questa struttura quasi carceraria gli sguardi non seguono una direzione univoca, ma sono circolari: si osserva e si viene osservati, controllati ed eventualmente scoperti a propria volta. Lo sguardo, come in un perverso gioco di specchi, si riflette e si rifrange rinchiudendo nella sua trappola chi crede di essere al sicuro: i ruoli di predatore e preda possono essere capovolti ad ogni istante. L’unica legge in vigore è la legge del potere: chi ha più potere detiene lo sguardo che determina, decide e punisce di conseguenza.
In questo universo dalla gerarchia ben definita c’è chi comanda – la direzione della scuola incarnata dal capo-sorvegliante Biasutto – e chi obbedisce – l’insieme degli alunni – ma esiste anche uno spazio intermedio occupato da chi accede solo ad una piccola parte del potere e deve farsi valere. Marita, la sorvegliante del collegio, si trova ad occupare proprio questo spazio: ancora molto giovane e pertanto vicina al mondo degli alunni, deve dimostrare ogni giorno ai suoi superiori di essere severa ed inflessibile; il suo desiderio di venire accettata e riconosciuta si trasforma in un atteggiamento servile di auto-castrazione. Giovane donna nevrotica e torturata, Marita è un personaggio complesso e contraddittorio. Il contrasto fra l’ambiente chiuso, freddo ed austero della scuola e l’atmosfera affettuosa e calda che, nonostante tutti i problemi, vige nella sua casa è enorme. Il passato famigliare di Marita viene lasciato nel vago; la ragazza vive con sua nonna, una donna energica, sveglia, con molto buon senso, ed una madre dolce, ma depressa. Su questo piccolo universo femminile, che affronta i problemi di tutti i giorni con coraggio ed una certa dose di umore, plana il fantasma di un uomo, padre e marito, scomparso, di cui non si parla mai. La ragazza traumatizzata, vuole cancellare il suo passato e intende fare del suo meglio per integrasi in quell’apparato che, molto probabilmente, è all’origine del suo dramma famigliare.
Il questo contesto morboso il collegio diventa teatro di un girotondo crudele di desideri sessuali frustrati e repressi. Marita è perdutamente innamorata di un alunno, al quale getta degli sguardi furtivi e vive, in preda ai rimorsi, un amore vietato, segreto ed impossibile. Lei stessa é oggetto del desiderio altrui: quello, sincero e diretto, di un giovane collega, al quale peraltro non presta la minima attenzione, e quello più equivoco e lusinghiero del suo superiore, il signor Biasutto, un cinquantenne imponente ed autoritario. L’uomo, scambiando lo zelo professionale della ragazza per interesse personale, inizia a corteggiarla: cortese e pieno di attenzioni, cerca di stabilire un clima di famigliarità e di intimità con Marita che resta, dal canto suo, gentile, ma formale e distante. Biasutto, che si è distinto in passato nelle purghe effettuate dal regime, è l’incarnazione della dittatura stessa. Il suo modus operandi è emblematico: garbato, comprensivo e paterno, il suo scopo quotidiano è in realtà quello di sradicare ogni ribellione alla radice, soffocare ogni tentativo di rivolta, sorprendere ogni atteggiamento deviante. Dietro la sua facciata benevola si nasconde una violenza senza mezzi termini.
Questa costellazione non può, evidentemente, condurre ad un lieto fine. Marita e Biasutto corrono, ognuno per conto proprio, in modo goffo e senza la minima speranza di successo, appresso ai loro fantasmi sessuali e sono costretti ad una frustrazione costante. Con la scusa di sorprendere gli studenti a fumare di nascosto in bagno, Marita si rinchiude in una toilette per poter spiare il corpo del suo benamato e provare un piacere carnale solitario. Un giorno viene scoperta in questo luogo insolito da Biasutto, ma riesce a convincerlo di essere in missione di sorveglianza. Poco tempo dopo la situazione precipita. Mentre nell’edificio scolastico giungono dalle strade circostanti gli echi potenti delle manifestazioni, la vita del collegio continua a seguire, come se niente fosse, il suo corso. Gli alunni vengono radunati nella sala delle cerimonie per cantare in coro degli inni alla patria ed è qui che, in una sequenza dalla messa in scena impeccabile, gli sguardi dei protagonisti si incrociano rivelando la trama segreta dei loro desideri più profondi.
Biasutto, che sorprende Marita a guardare l’alunno di cui è innamorata, capisce tutto: ferito nel suo orgoglio, la trascina con una scusa nelle toilette dei ragazzi e la violenta. Nella scena finale del film, drammatica e liberatoria, Marita troverà la forza di ribellarsi e di reagire, annientando, con un atto disperato, la bestia selvaggia della repressione e del sopruso rappresentata dal corpo brutale del suo superiore.
Diego Lermann, di cui La mirada invisibile è il terzo film, ha saputo creare un’opera sobria, di stile classico, dominata da una messa scena molto curata e da una fotografia perfettamente all’unisono con il soggetto. La mirada invisibile si svolge in una semi-oscurità costante; alle scene girate di notte si alternano delle scene diurne dove il sole, costantemente filtrato, rende palpabile il grigiore della vita quotidiana. A questa luminosità smorzata corrisponde un’ambientazione quasi esclusivamente in interni: il collegio, la casa di Marita, una casa di amici, una farmacia, perfino il tragitto che la protagonista compie ogni giorno in metropolitana per andare al lavoro è sotterraneo. Marita e, per estensione, l’insieme della popolazione argentina, è presa in una specie di tunnel senza uscita. Al di là della sua facciata monumentale lo spazio del collegio è a sua volta un vero e proprio labirinto che si ramifica in una serie di corridoi contorti, stanzette segrete, angoli ed anfratti insospettati, dove attende nascosto, come nel mito, Biasutto, il mostro.
Gran parte della riuscita di questo film si deve alla straordinaria interpretazione di Julieta Zylberberg che domina lo schermo dalla prima all’ultima inquadratura. L’attrice riesce a comporre, con rara sensibilità, il pers
onaggio tormentato e oppresso di Marita. La recitazione è dominata da una postura fisica rigida e controllata; la ragazza cammina come un manichino, ha i capelli strettamente raccolti sulla nuca, i vestiti scialbi e severi. La sua lotta interiore, lo scarto fra il desiderio carnale, la gioia ‘sovversiva’ per la vita, il sesso da un lato e un dovere di conformità alle regole dominanti dall’altra, tutta questa tempesta di sentimenti contrastanti, attraversa come un guizzo nervoso il suo guardo, traspare in una leggera contrazione delle labbra, in un tremito fugace del volto. L’umanità del personaggio, la sua completa dissoluzione e liberazione è affidata all’ultima scena del film in cui Marita, i lunghi capelli sciolti sulle spalle, i vestiti scompigliati, si trascina a passi lenti e malfermi verso l’uscita della scuola e verso la sua libertà. Di fronte a tante qualità si può rimproverare al regista di avere calcato un po’ la mano sulla descrizione delle pulsioni sessuali dei protagonisti: l’esasperazione di tanta libido repressa è, a tratti, eccessiva e rischia di parere leggermente caricaturale. Inoltre il ritmo della narrazione soffre, nella parte centrale del film, di una certa lentezza. Nonostante questi piccoli difetti La mirada invisibile resta senza dubbio un film degno di nota.