In questi anni di cinema d’azione, di supereroi che sfrecciano sullo schermo per salvare il mondo – e soprattutto l’Occidente – dalle minacce di nuovi terroristi fanatici, di alieni malvagi e di più banali superdelinquenti, continuo a chiedermi che fine abbiano fatto Capitan America e il suo scudo volante. Perché il buon vecchio Cap, al secolo Steve Rogers, è un supereroe storico, nato prima dell’Uomo Ragno, degli X-Men, dei Fantastici 4, di Silver Surfer e di Hulk, per citare solo alcuni dei suoi “colleghi” della casa editrice Marvel.
Eppure, nonostante la breve parentesi di un film britannico girato senza fortuna oltre 15 anni fa e di una precedente serie tv dimenticabile, nonostante la recente ipotesi di una possibile pellicola nelle sale Usa per il 2009, nessuno sembra interessato sul serio a richiamarlo in servizio. Anzi, nel marzo scorso Capitan America è morto in un complotto, sul suolo patrio. A ucciderlo, proprio la Marvel, nel fumetto Civil War.
Torniamo indietro di qualche decennio, però.
E’ il 1941, e le potenze dell’Asse (del Male) marciano sul mondo, apparentemente inarrestabili. E quando gli Stati Uniti entrano in guerra dopo Pearl Harbor, Joe Simon e Jack Kirby schierano al fianco delle truppe questo super-agente del Bene, che combatte su un albo a fumetti molto seguito dal pubblico. Una nascita drammatica, la sua, perché l’esile Rogers, uno che alla leva sarebbe stato riformato, diventa il prototipo del supersoldato grazie a un esperimento segreto (l’equivalente della pozione magica nel XX secolo). Ma a causa della morte improvvisa del suo creatore, il professor Reinstein, Capitan America resta l’unico della sua futuribile stirpe.
Insomma, come Superman un altro supereroe solo: Capitan America è orfano dei genitori e perde in il fido amico Bucky (figura simile al Robin di Batman) nell’ultima avventura della prima serie, quando la super-coppia riesce a evitare che l’esplosione di un drone (aereo senza pilota) imbottito di esplosivo, lanciato dal barone nazista Heinrich Zemo contro gli Usa, provochi vittime innocenti. E’ il 1946: la guerra contro l’Asse è vinta, e Capitan America, a corto di lettori, non serve più. Anche lui scompare nell’esplosione di quel drone.
Ma 18 anni più tardi, nel 1964, in piena Guerra Fredda, riappare nella serie dei Vendicatori: non era morto, era solo rimasto ibernato nelle acque glaciali del Polo Nord. Poi nel 1968 (sì, nel ’68) ottiene di nuovo un albo tutto per lui, edito dalla Marvel.
In Italia Capitan America appare nel 1973, e per i ragazzini come me è uno strano supereroe: è fuori tempo, spaesato, pieno di dubbi, immerso nel passato (quel passato che nel 1973, se i tuoi genitori erano nati prima della Seconda Guerra Mondiale e leggevi magari gli albi a fumetti come Guerra d’Eroi, in fondo non era così passato), nella sua lotta contro il Teschio Rosso, che in fondo rappresenta il pericolo eterno del ritorno del nazismo.
Cap è un anti-supereroe, insomma. Un campione romantico, democratico, impegnato nei suoi fumetti a denunciare il razzismo, le trame della Cia. Naturale che il suo pubblico sia diverso da quello che segue le storie di altri supereroi, sia pure di marca Marvel, casa editrice comunque attenta al risvolto psicologico dei suoi personaggi.
La conferma viene anche dalla recente morte di Capitan America, di cui parlavamo qualche riga fa, all’interno di una miniserie intitolata Civil War e ideata da Mark Millar. La guerra civile a cui si fa riferimento nel fumetto è infatti quella che si combatte a un certo punto tra super-personaggi a proposito del Registration Act, cioè della registrazione obbligatoria dei “superhero” da parte del governo Usa. Difficile non pensare al contestato Patriot Act varato dalla Casa Bianca dopo l’11 settembre 2001. E infatti, il riferimento è del tutto voluto. Cap, che è contrario al Registration Act, finisce con l’arrendersi al governo e verrà ucciso mentre sale le scale del tribunale, vittima di un complotto ordito ancora una volta dal gruppo del Teschio Rosso.
Tornerà Capitan America? Chissà. Sui blog dei fan le ipotesi impazzano, anche perché quando Steve Rogers è stato ucciso era in abiti civili. Quindi, forse qualcun altro vestirà il costume bianco, rosso e blu.
Per tornare alla questione iniziale, vedremo mai Capitan America al cinema, al pari di altri supereroi, per una nuova vita e una maggiore celebrità? Forse, ma portare Cap sullo schermo non è cosa da poco. No, non per gli effetti speciali, ovviamente. Ma perché l’eroe nato per combattere il nazismo, e finito a rappresentare la coscienza critica degli States, porta probabilmente, e paradossalmente, un nome scomodo, pesante.
Nel mondo unipolare, quello di George W. Bush e della war on terror, infatti, un personaggio che si chiama “Capitan America” rischia di attirarsi le ire di chi protesta contro il potere imperiale degli Usa. Sinistra anticapitalista, noglobal di ogni colore, pacifisti ed ecologisti, sostenitori della jihad. Andategli a spiegare che Cap è buono, e che rappresenta l’altra America, quella che si interroga.
Questo articolo è stato tratto da NovaMagazine, rivista on line partner di Schermaglie
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