Per raccontare la fiaba romantica a tinte rosa-glitter di Patrick Braden, fanciulla tenera nata in un corpo d’uomo, Neil Jordan scomoda le vicende più violente della recente storia irlandese, quel “ventennio di piombo” onnipresente sostrato delle sue pellicole.
Presentato nella sezione Panorama della 56ma Berlinale, prima di iniziare un lungo e fortunato tour festivaliero che da Toronto arriva a Tallin fino alle nomination degli EFA e degli Academy Awards, Breakfast on Pluto deve parte della sua forza promozionale (senza dubbio assai più propulsiva di quella estetica e più propriamente cinematografica) ad una serie di circostanze fortunate: non ultima, l’essere stato realizzato nel “biennio d’oro” del cinema irlandese.
La pellicola, che Jordan — nato a Sligo nel 1950 sotto il segno dei pesci — ha tratto dal romanzo omonimo di Patrick McCabe, ha potuto beneficiare infatti di un clima di rinnovato benessere: quello dei fondi regionali sostenuti dall’agenzia cinematografica nazionale, l’Irish Film Board (in particolare dell’NIFTC – Northern Island Film and Television Commission), e quello dell’impegno logistico, finanziario e, soprattutto, legislativo da parte del governo locale, in grado di sviluppare con una politica oculatissima e in breve tempo la cinematografia isolana.
Oltre a quello della fiducia che da essi deriva: un florido raccolto di trionfi per numerosi titoli irlandesi nel solo 2006, fra i quali la Palma d’Oro a Cannes di Ken Loach, Il vento che accarezza l’erba.
Come l’economia di mercato insegna, un successo acquisito spinge le sorti commerciali di un futuro successo, e così Breakfast on Pluto è stato rapidamente venduto sin dallo European Film Market di Berlino 2006 in tutto il mondo, e, se non influenzato, almeno disposto la critica ad una buona accoglienza.
La storia del giovane transessuale Kitten (“Gattina”), contiene d’altra parte, in nuce, molte delle tematiche care a Jordan, esplorate questa volta dal punto di vista volutamente acritico del protagonista, sprovveduto dal cuore friabile che sfugge ad una realtà sconvolta dalla guerra civile attraverso dorati sogni melodrammatici.
Patrick Braden, abbandonato appena nato dalla madre, incinta del parroco locale, viene adottato da una donna rigida e impietosa, e sviluppa ben presto una personalità femminile, colorata e vivace tra piume e paillettes.
La sua diversità, nel contesto cattolico e perbenista di un piccolo paese irlandese, lo porta naturalmente alla ricerca dell’accettazione, che è per lui, anche e necessariamente, l’unica forma possibile di amore.
Le bombe e le morti procedono però di pari passo con la sua maturazione, e dopo la fuga del grande amore, un glam rocker coinvolto con la resistenza armata, si troverà a Londra a cercare una madre mai conosciuta e un modo per sopravvivere.
La Grande Città di Breakfast on Pluto è la stessa capitale fredda, proletaria e dura che accoglieva Stephen Rea in fuga dall’IRA ne La moglie del Soldato, brutto titolo italiano per il più poetico The crying game dell’originale: ancora una volta, un reietto irlandese cerca riparo presso il nemico storico inglese, in un gioco del pianto nel quale si sceglie di dimenticare il male per vedere solo il lato più luminoso della vita, l’amore in rosa shocking.
Il mondo secondo Kitten, che si sente Cenerentola e non conosce malizia, guida, tra ostacoli e buchi di sceneggiatura, l’occhio dello spettatore.
L’ingenuità fatata mostra però le sue falle proprio nel rapporto narrativo che si stabilisce con chi guarda: se da un lato il racconto in prima persona del protagonista mette i fiori nei cannoni negando la possibilità di esistenza del male, dall’altro la realtà, mostrata come squilibrato contrappunto in nero, ma di mero contorno, s’impone a fatica all’interno del plot, fino a sembrare (come nella sequenza della morte dell’amico d’infanzia) un corpo del tutto avulso.
E se la riconciliazione civile è assente, come manca ogni forma di profondità storica e sociale, quella umana con il padre e la perduta madre tende, almeno in superficie, a riappianare le sorti di un infelice, gioioso ai limiti della follia.
L’espediente, però, confina pericolosamente con la retorica, come se l’happy end ricercato per tutto il film venisse negato esteticamente proprio quando tutto si predispone a fare sì che accada.
Il sospetto, nonostante alcuni passi riusciti e una generale piacevolezza dell’insieme, è che Breakfast on Pluto sia un grande, luccicante artefatto che permetta di mostrare, in tutta la loro versalità, le doti attoriali di Cillian Murphy, interprete feticcio dagli occhi acquosi di Danny Boyle.
Una piccola delusione che (se non altro) consegna al pubblico, in una chiave glamour mai vista prima, un aspetto diverso di una delle pagine più tristi della storia d’Europa.