Riproponiamo alcune dichiarazioni rilasciateci da Giuseppe Bertolucci tempo fa. C’è un po’ di malinconia (la stessa del fratello Bernardo nella lettera a “Repubblica”) ma sono riflessioni importanti in tempi in cui il movimento dei Centoautori reclama una nuova legge che restituisca centralità al cinema e alla cultura.
“Mettermi a lavorare per un lungometraggio, pensando alla grande mole di investimento di fatica e desiderio necessaria, per poi pensare al destino di questi oggetti, questi fantasmi che passano tre giorni in qualche sala e poi scompaiono e sprofondano nel cimitero dell’immaginario, no, mi passa la voglia… “
“Questo è un po’ il dato, il che non esclude che ci possano essere dei capolavori. Però certo se – per chiudere con l’argomento – il critico è prima di tutto uno spettatore, è uno spettatore che si trova in questa situazione. E che si occupa di un formato che ha avuto un suo straordinario apice e una sua notevole influenza, sul piano della creazione dell’immaginario, e che invece adesso, è andato declinando in una specie di tramonto. Adesso un tipo di funzione che il cinema ha e che potrebbe avere ancora di più, proprio per uscire da questa grandinata di valori indotti, è proprio quello di costituire una nicchia, un’ uscita di sicurezza. Sì, come anticorpo può avere una sua valenza.”
“Detto in estrema sintesi, e con qualche dubbio magari, penso che il cinema nel senso del formato di un’ora e mezzo, fiction, narrativo… Insomma il cinema che abbiamo conosciuto quasi dalle origini, fino ad oggi, ha già dato il massimo di se stesso, ed è in una fase declinante, il che non esclude che ci possano essere dei capolavori. Ma da quando, come diceva Godard, il cinema non è più solo, ed è circondato, sommerso, da milioni di ore di audiovisivo, e da quando la sua fruizione non è più collettiva in sala, e si è invece fortemente caratterizzata in chiave individuale (a casa, attraverso la televisione o la rete…), credo che il cinema abbia perso la sua egemonia. Da un tutto, è diventato una parte di un tutto che lo sovrasta, molto più ampio.”“Ormai il senso comune è mediatico e non più immediato. Ciò che non passa attraverso la riproduzione televisiva semplicemente non esiste, non ha legittimità di realtà. Tutto questo ha cambiato le carte in tavola.”
“Non sono un critico, e non lo dico nemmeno da cineasta, lo dico da persona un po’ informata sui fatti, però credo che la nuova generazione dei critici dovrebbe insistere di più sui grandi problemi, al limite metalinguistici, cioè interrogarsi su come si è sviluppato e dove arriverà quest’impero dei media. Sono sempre interessanti le analisi specifiche degli oggetti, dei testi, dei film, ma forse bisognerebbe ripartire facendo il punto sul contesto.”
“Credo che in questo momento lo scontro frontale con l’impero dei media sia impossibile, credo vadano trovate delle uscite di sicurezza. ”
“Col sopraggiungere del digitale, ai film è stata garantita una specie di vita eterna, però in un formato che non è quello in cui sono nati, e in un dispositivo di fruizione che non è più quello. Sarà sempre più difficile fruire il cinema del passato in pellicola. Via via le scorte degli archivi si stanno esaurendo, fra poco la kodak non produrrà più nemmeno i negativi. Il passaggio dalla chimica al digitale è oramai prossimo, anche nel circuito delle sale. Invece i primi 100 anni di storia del cinema sono stati prodotti in un altro formato e dispositivo. Riusciremmo a raccogliere le risorse per riprodurre i negativi, stampare nuove copie, e garantire per lo meno delle isole, dove vedere i film in pellicola? Io sono un grande fan del digitale, con cui ho girato un film, ma mi pongo il problema. Riusciremo a conservare, nel momento in cui ci sarà la piena concorrenza del digitale che probabilmente costerà molto poco? Ha un senso? Credo di sì. Si pone un grande problema teorico che sembra un paradosso: dentro l’universo della riproducibilità, esiste l’originale? Per me l’originale di un film girato in pellicola e proiettato in quella forma è la pellicola, il resto sono copie. Dentro l’universo della riproducibilità sembrerebbe azzerato questo problema, ed invece rimane. Dopo il passaggio dal muto al sonoro il digitale è la più grande discontinuità che il cinema si trova ad affrontare. Anche questi problemi dovrebbero essere al centro del dibattito della critica. Portare questi problemi alla consapevolezza di pubblici sempre più vasti.”
“… ancora più preoccupante è il fenomeno di questa dittatura assolutamente totalitaria del sistema dei media. Secondo me è il grande problema politico che le società avanzate hanno davanti. In Italia lo tocchiamo con mano per ragioni specifiche nostre e ci ripropone la questione del senso della democrazia.”
“Per me l’unica difesa, l’unico anticorpo a questi rischi di totale induzione dei bisogni e dei valori che l’impero dei media produce è come sempre l’alfabetizzazione. Nelle scuole però ancora non esiste uno spazio specifico dedicato all’alfabetizzazione audiovisiva, che sarebbe per me l’unico strumento per poter fare quel piccolo passo indietro rispetto al consumo passivo. Ma i politici non l’hanno capito: dare una preparazione critica al cittadino-spettatore – che pure sappiamo dalle statistiche essere per tre ore al giorno legato alla televisione – non è fra i primi punti dell’ordine del giorno, è un problema rimosso. Ecco un’altra funzione della critica; capisco che sono tutte battaglie su grandi fronti, politici e ideali generali, però secondo me andrebbero fatte.”
“Io credo che ci sia una prima linea, parlo dei cineasti, e dei critici in quanto si occupano del cinema, che è proprio la prima linea del linguaggio. È solo nel piccolo fortino del cinema che si elaborano delle innovazioni. Penso a questo regista messicano (ndr: Carlos Reygadas autore di Battaglia nel cielo). È un rompere con certe dimensioni. Ecco allora sull’innovazione del linguaggio che si inventa di più, dove c’è la legittimità del prototipo, per il resto in questo universo audiovisivo predomina il seriale, lo standardizzato. Lì c’è una prima linea. E una critica che riesca a far arrivare e incuriosire in modo non banale un lettore svolge un suo compito. Arrivare a rendere consapevoli i lettori di cosa un film possa offrire…”
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il problema dell’immaginario, nutrito oramai dalla prepotenza dei media, mi sembra importante. Il cinema che prende come referente la televisione più che la realtà. E la realtà che è oramai percepita quale quella scelta e stravolta dalla televisione. Sulla contrapposizione tra originale e copia, be’, forse bisognerebbe riprendere in mano qualche saggio e comunque è paradossale, e forse un pochino romantica come idea, che chi ama il digitale, e la democrazia dei mezzi d’espressione, poi reclami l’originale. Godard, per l’appunto, si è buttato sui nuovi supporti e spazi proprio per plasmarli secondo la sua sensibilità cinefila, vedendo forse quello che da tale contaminazione sarebbe potuto uscir fuori. Artefice!
Il problema originale/copia che si pone Bertolucci è che se un film in pellicola concepito per il grande schermo e per una visione collettiva lo vedi in digitale su un piccolo schermo che taglia i lati e per di più da solo sdraiato sul divano, l’effetto emotivo – fondamentale naturalmente dal punto di vista dell’artista – è molto diverso… è legittimo anche se un po’ provocatorio dire che si tratta di una copia… Forse è che il punto di vista dell’artista conta sempre meno…