Nader and Simin, a separation di Aghar Fahradi ha trionfato ieri sera alla cerimonia di chiusura della Berlinale. “Orso d’Oro” di questa 61esima edizione, il film ha ricevuto due ulteriori ricompense quella per la “Migliore Interpretazione Femminile” e quella per la “Migliore Interpretazione Maschile” attribuite entrambe all’insieme del cast. Pur essendo, in primo luogo, un riconoscimento del valore artistico dalla pellicola questa premiazione deve essere letta, nel contesto politico attuale, anche come un forte segnale di solidarietà.

Nader and Simin, a separation è la storia di una coppia in crisi che in seguito ad un incidente fortuito si trova presa fra gli ingranaggi della giustizia. Una fitta rete di menzogne, manipolazioni e confronti pubblici rende arduo il cammino alla ricerca della verità. Fahradi sviluppa qui un cinema di idee sondando le implicazioni morali, giuridiche e ideologiche del concetto di verità. Cos’é la verità e come si può definire? Il semplice fatto di tacere appartiene anch’esso alla sfera della menzogna? Quando é consentito mentire? La bugia può essere considerata come un atto di carità? La verità é una sola o ci sono varie verità, secondo i punti di vista di ciascuno? La verità possiede un valore oggettivo o può essere considerata, in fin dei conti, come un’opinione soggettiva? Tutte queste questioni vengono sollevate nel corso del film.

La trama di Nader and Simin, a separation descrive una realtà complessa, piena di ribaltamenti continui, di sfaccettature caleidoscopiche, in cui i fatti e le circostanze cambiano senza sosta, creando una serie di reazioni a catena e svelando, ad ogni svolta, delle prospettive insospettate. Un riassunto dettagliato del film é quasi impossibile: Fahradi costruisce, attraverso una fitta rete di dialoghi, una storia estremamente articolata in cui, intorno al tema centrale della verità, si sviluppa una moltitudine di questioni diverse. La vicenda inizia con un’udienza in tribunale: una coppia, filmata frontalmente, si trova davanti al giudice. La donna – Simin – vuole separarsi dal marito – Nader – che non intende più emigrare con lei. L’uomo ha deciso di restare in Iran perché vuole prendersi cura del padre, malato di Alzheimer. Simin si propone invece di partire all’estero per garantire a sua figlia un futuro migliore. Il giudice considera queste ragioni insufficienti e non concede loro il divorzio. Più per ripicca che per vera convinzione, Simin lascia il tetto coniugale e va a stare dai suoi. Nader si ritrova, da un giorno all’altro, a dovere badare da solo al padre malato e alla figlia quattordicenne – Termeh  – che lo adora ed ha preferito restare con lui.

 L’uomo ricorre all’aiuto di una governante – Razieh – che viene a lavorare portandosi dietro la figlioletta di cinque anni. Ben presto però la situazione precipita: un giorno Nader tornando a casa trova il padre solo, svenuto, legato al letto e constata che mancano dei soldi. Di fronte ad una tale situazione l’uomo, calmo e posato di natura, perde improvvisamente la testa e butta Razieh fuori di casa a spintoni. La donna sembra essere scivolata su un gradino e – almeno così pare all’inizio – in seguito a questa caduta perde il bambino che stava aspettando. Nader viene accusato di omicidio involontario dal marito della donna – Hodjiat – un giovane uomo disoccupato da tempo, amareggiato e collerico.

A partire da questo momento in poi assistiamo ad una girandola di affermazioni e contro-affermazioni; man mano tutti si ritrovano ad essere, a turno, colpevoli ed innocenti. Ognuno sostiene di volta in volta di dire il vero, ma tutti mentono o omettono, più o meno consapevolmente, dei fatti. Per Nader queste vicissitudini non sconvolgono solo la sua vita , ma intaccano in modo considerevole anche l’immagine che sua figlia ha di lui.

 

Come accade anche nelle pellicole precedenti del regista il finale resta aperto: “Voglio che l’interpretazione del film sia lasciata ad ogni singolo spettatore – ha detto Asghar Fahradi nel corso della conferenza stampa – penso che il nostro mondo abbia bisogno molto più di domande che di risposte. Le risposte ci impediscono di pensare con la nostra propria testa”.Trattando di problemi morali Fahradi descrive la realtà sociale del suo paese in tutta la sua complessità e contraddittorietà, rivelandoci le tensioni che la agitano. “La società iraniana contemporanea – ha spiegato il regista – porta in sé una scissione molto insidiosa fra la classe media degli intellettuali progressisti, rivolta verso il futuro ed una popolazione povera, molto religiosa, legata ai valori tradizionali. I primi vogliono dei cambiamenti, i secondi invece sono fedeli allo status quo. Nel film le due coppie rispecchiano la problematica di queste differenze sociali ed ideologiche.”

Questa lotta fra passato e futuro, tradizione e modernità sembra, ad un altro livello, intaccare profondamente anche il mondo interiore del protagonista: la sua crisi esistenziale si riflette in un completo disorientamento etico e diventa segno palese di un’epoca di transizione. Asghar Fahradi ha scritto questa storia dall’esito sconosciuto con un rigore degno di nota ed un senso per la drammaturgia che rendono il dibattito appassionante. Il regista riesce a tessere un’infinità di differenti filoni argomentativi in un insieme coerente e comprensibile mantenendo il flusso discorsivo costantemente sotto alta tensione. Alla ricchezza formale della sceneggiatura corrisponde una messa in scena di grande precisione che si basa sul gioco costante fra ciò che possiamo udire e ciò che non ci è dato vedere. La macchina da presa segue i personaggi nel loro parlare e spostarsi continuo all’interno della casa, in macchina e nei vari edifici pubblici, mentre delle porte si aprono e si chiudono al loro passaggio, lasciando filtrare, ma solo in parte, l’accadere. Con una grande fluidità e con una sensibilità spiccata per la coreografia dei movimenti, l’obiettivo mantiene una distanza quasi sempre costante rispetto ai corpi, privilegiando i piani medi, un tipo di inquadratura particolarmente cara a Fahradi, che crea un’atmosfera di intimità e di prossimità con i personaggi senza mai aggredirli.

Nader and Simin, a separation è un film corale intepretato da un gruppo di attori eccellenti; il regista che proviene originariamente dal mondo del teatro, cura la recitazione con una passione viscerale. Attraverso un lungo periodo di prove prima delle riprese Fahradi è riuscito ad ottenere delle prestazioni vibranti, sensibili, dotate di una grande naturalezza. Per la cronaca, il ruolo dalla figlia 14enne, è tenuto dalla figlia del regista qui al suo esordio cinematografico. Nader and Simin, a separation è senza dubbio il
lavoro più complesso e più maturo di Fahradi: la sceneggiatura, costruita come uno straordinario meccanismo è animata dalla finezza dell’introspezione psicologica e il ritmo incalzante del montaggio ci tiene col fiato in sospeso dall’inizio alla fine. Nonostante tutte queste qualità al film manca, a mio avviso, il tocco poetico ed elegiaco di All about Elly, un’opera certo meno perfetta ma, proprio per questo, più seducente. Inoltre la tensione costante e la densità della narrazione risultano a tratti faticose. Non bisogna dimenticare che si assiste a due ore di conversazioni ininterrotte, condotte spesso con toni alquanto accesi, qualche spiaggia di silenzio, di tanto in tanto, sarebbe stata auspicabile.

Nader and Simin, a separation è stato accolto subito con grande entusiasmo dagli addetti ai lavori. Il film è stato seguito con particolare interesse anche a causa delle vicissitudini di Jafar Panahi e di Mohammad Rasoulof, entrambi imprigionati e interdetti di girare film. Com’è noto la Berlinale ha dedicato una sezione speciale a Panahi che non ha potuto, nonostante le pressioni esercitate dal festival, far parte della giuria internazionale. Si sono aggiunte poi le recenti notizie sulla ripresa delle manifestazioni a Teheran.  Nader and Simin, a separation è stato considerato ben presto come il potenziale vincitore dell’Orso d’Oro di quest’anno, com’è stato confermato dal verdetto della giuria

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