Questa volta non sono carne e sangue, ma invece sangue e petrolio, che si mescolano sotto le mani di Daniel Day-Lewis (Gangs of New York) nella saga Il petroliere di Paul Thomas Anderson (Magnolia, Boogie nights). Petrolio e sangue: Anderson ha scelto due metafore fortissime per esprimere l’ambiguità del progresso industriale e i suoi effetti sugli americani del primo Novecento. Il film ha già ottenuto otto nomination per l’Oscar negli Stati Uniti ed è uno dei favoriti della critica al Festival di Berlino. La storia racconta della trasformazione di un povero minatore d’argento texano, in un ricco ed egoista petroliere che finirà per diventare assassino. È l’America della “febbre del petrolio”, dello spirito imprenditoriale e delle prime unioni industriali che nascono dall’incontro tra la scoperta dell’argento e del petrolio e le infrastrutture già funzionanti nel paese (la ferrovia, il telefono e le macchine).
Il film si basa sulla saga Oil! dello scrittore “liberal-radicale” Upton Sinclair (1878-1968) che con i suoi libri di denuncia smascherava le corruzioni dell’industria americana, del giornalismo spettacolare, del sistema hollywoodiano. Sinclair, amico di Thomas Mann, Albert Einstein e conosciuto anche da Brecht, era convinto che sarebbe stata solo una questione di tempo e l’America si sarebbe trasformata in un paese socialista. Quando si leggono i suoi libri si capisce perché avesse questa speranza in quanto parla di finanziamenti dubbi e intrecci loschi tra l’industria e la politica, tra il capitale e l’ideologia, e questo già molto tempo prima della guerra in Iraq. Anche Anderson, come Sinclair, ne Il petroliere non smette di smascherare: al di là dei falsi moralismi mostra come l’ambizione umana e la capacità imprenditoriale siano da un lato un motore del progresso industriale e culturale, dall’altro, attraverso la storia di un fallimento individuale, illustra come il progresso possa portare all’estraniazione, come l’ambizione si converta in avidità ed egoismo.
C’è molto da dire su questo film: non è un capolavoro solo dal punto di vista cinematografico – sceneggiatura dettagliata ed espressiva, inquadrature epiche, protagonista incredibilmente intenso e in perfetta armonia tra fisicità e presenza mentale, uso innovativo della musica che in alcune parti si mescola virtuosamente con l’audio – ma anche un complesso ritratto degli esordi dell’America industriale e dei pericoli della sua corruzione, temi attualissimi. Per capire il “sogno americano” conviene ritornare alle sue fonti. Per adesso mi limito a dire: Il petroliere è un film che aspira alla vittoria.