CONVERSAZIONE CON I REGISTI, PARTE SECONDA
di Maria Giovanna Vagenas
I vostri due film precedenti erano film di genere anch’essi contraddistinti da un profondo interesse per la psicologia delle persone. Da dove viene questo fascino?
VF: Credo che c’interessino molto le cose nascoste e il modo in cui – se non se ne parla o se non si è in grado di affrontarle – esse possono creare una sorta d’inferno o possano portare alla tragedia. Credo che questo sia l’elemento comune ai tre film che abbiamo realizzato finora. Un altro aspetto che c’interessa è il modo in cui lo si copre. Secondo uno studio pubblicato quattro settimane fa in Germania, oggi la maggior parte delle persone soffre di depressione e non lo sa, semplicemente non si sente bene e cerca di nascondere il fatto che non può funzionare come al solito. Questo è un problema. In definitiva, credo che c’interessino i segreti della vita interiore perché creano problemi come nella nostra società. Vogliamo che i nostri film avviino una discussione sul come migliorare il modo in cui viviamo tutti insieme. Penso che se smettessimo di nasconderci, se ci fosse meno stigmatizzazione e se le persone osassero finalmente ammettere: “Non mi sento bene, non posso lavorare, non posso funzionare”. Se fosse largamente accettato dirlo, credo che avremmo molti meno problemi.
C’è una scena in cui Agnes, la protagonista, si sottopone ad un doloroso rituale, una sorta di esorcismo, nella speranza di liberarsi della sua insopportabile malinconia. Può dirci qualcosa di più su questa pratica e sulla scelta d’inserirla nella narrazione?
SV: Sapevamo di voler raccontare una storia di depressione in un passato storico e avevamo diverse opzioni per farlo. Da un lato, abbiamo effettuato una ricerca storica, e quel rituale con i capelli, questa sorta di terapia assurda, è un qualcosa che veniva fatto davvero perché la gente di allora pensava che la malinconia fosse causata da qualche strano veleno che si trova nel corpo. Volevano far uscire il veleno, per questo si facevano una ferita e la infettavano di proposito pensando che in realtà fosse una cosa buona perché la roba cattiva stava uscendo. Questo tipo di terapia è così strana e assurda che abbiamo voluto includerla nel film. Dall’altro lato abbiamo esplorato il luogo in cui volevamo girare il film. Abbiamo avuto l’idea di un buco nel terreno. Ci sembrava un simbolo della depressione dove, in un certo senso, ci si nasconde nel buio. Il paesaggio intorno a te può sembrare bellissimo, ma tu sei in un buco piccolo e buio. Per noi era come un equivalente visuale della depressione. Sapevamo cosa volevamo raccontare, poi abbiamo iniziato, per così dire, a camminare per il mondo con gli occhi aperti guardando attraverso la lente della depressione e trovando immagini diverse per raccontare questa storia.
In una delle prime sequenze del film, camminando nel bosco la protagonista s’imbatte nel luogo in cui è esposto il corpo senza testa di una donna che ha ucciso un bambino, la sua testa giace in una gabbia accanto al corpo, invece di fuggire la vediamo seduta per un bel po’ in una grotta vicino alla decapitazione.
VF: L’incontro della protagonista con la donna senza testa era narrativamente necessario, perché dovevamo spiegare come in seguito le potesse venire l’idea di fare qualcosa di simile. Inoltre, dobbiamo immaginare che all’epoca le esecuzioni venivano fatte in pubblico e considerate come una sorta di evento festoso e bere il sangue del giustiziato era considerato, paradossalmente, un rimedio contro la depressione. In ogni caso, quando la protagonista vede il cadavere della donna, sentiamo che prova una sorta di connessione immediata con lei e con il suo destino. Inoltre, attraverso un disegno esposto nelle vicinanze e visibile a tutti, la protagonista ha l’opportunità di conoscere la storia dell’assassina e le sue gesta.
Il paesaggio del film riflette ciò che accade nell’anima del protagonista; i pendii, i boschi bui, la casa di pietra che sembra piuttosto una prigione o addirittura una tomba. Potreste parlarci della vostra visione nel creare questa scenografia?
VF: Pragmaticamente parlando, per un film storico non è facile trovare un paesaggio che funzioni. In realtà, abbiamo iniziato a cercare location adatte in Alta Austria, la regione in cui si è svolta la vera storia, ma era una regione troppo bella e le vecchie case erano tutte completamente ristrutturate. Ci piaceva molto il paesaggio ma, tutto sommato, non ci sembrava giusto. Infine, abbiamo girato nella stessa regione in cui abbiamo girato Goodnight Mommy. La location del film si trova esattamente a dieci minuti di macchina dalla casa di Goodnight Mommy, è molto vicina al confine con la Repubblica Ceca, per cui ci sono ancora delle case fatiscenti e senza elettricità. La casa della protagonista si trova lì; è una vecchia casa in pietra e molto probabilmente in passato era usata come ghiacciaia, ossia un luogo di stoccaggio dove si conservava il ghiaccio del fiume sottoterra per raffreddare e conservare il cibo.
SV: La casa che abbiamo trovato, ha esattamente l’aspetto che avevamo descritto nella sceneggiatura: volevamo una casa costruita nel terreno come se si nascondesse, un simbolo della depressione. Quando l’abbiamo vista, abbiamo capito che era esattamente quello che avevamo in mente. Ma questo è stato solo il punto di partenza di un processo molto difficile, perché all’interno c’era della sabbia fino al tetto. I progettisti della produzione hanno dovuto togliere tutta la sabbia e costruire gli interni. Ma, come cerchiamo sempre di fare, quanto abbiamo costruito non era di cartapesta o semplicemente finto: volevamo che fosse una casa vera e tutto nella casa doveva essere funzionale e funzionante.
VF: L’attrice ha cucinato lì per davvero, quindi abbiamo cercato di mettere la pentola nel punto giusto, in modo che potesse cucinare.
La casa è un elemento molto particolare e distintivo in tutti i vostri film. Perché?
SV: Le case per noi sono sempre una sorta di estensione dei personaggi del film. La casa di Goodnight Mommy, per esempio, era per noi un’espressione del carattere della madre. Abbiamo usato la casa per raccontare qualcosa di lei, di chi è. Visto che non ci piace spiegare tutto nei dialoghi, dobbiamo trovare mezzi visuali per raccontare qualcosa dei nostri protagonisti. Per noi non è importante solo il design delle cose che si trovano nella casa, ma anche la casa dall’esterno. La casa di Goodnight Mommy era vecchia ma è stata ristrutturata da un uomo molto ricco in un modo assai strano. È una casa-fantasma, ma per noi l’intera casa è fondamentalmente lei, e riflette tutte quelle persone devono vivere con lei e non possono sfuggirle. In Der Teufel’s bad la casa ha a che fare con la depressione, è buia, nascosta tra gli alberi nella profondità di un pendio.
Pensate che il vostro approccio, quasi espressionista, al linguaggio cinematografico sia il più adatto per mettere a nudo i risvolti oscuri della psiche che cercate di sviscerare nei vostri film?
SV: Noi filmiamo sempre in ordine cronologico. Tutto ciò che facciamo è un processo graduale che si definisce nel fare e non è mai un qualcosa di programmatico. La sua è un’osservazione molto interessante, ma noi non abbiamo mai pensato coscientemente in questi termini. Se dovessi citare un film che è consapevolmente presente nelle nostre menti e che ci accompagna da molto tempo citerei La ballata di Narayama di Shōhei Imamura (1983). Il modo in cui questo film affronta il mondo e il modo in cui è raccontato visualmente e cinematograficamente, compreso il finale, che per me è semplicemente incredibile e profondamente commovente, è stato di grande ispirazione per noi.
La vostra collaborazione sembra essere molto organica. Come possiamo immaginare il vostro lavoro in comune?
SV: In effetti facciamo tutto insieme!
VF: Condividiamo un unico cervello! (ride) Sul set facciamo tutto insieme, non ci dividiamo i compiti. Scriviamo anche insieme, quindi, di fatto, passiamo più tempo insieme che con i nostri partner! In sede di montaggio i litigi sono di solito molto rari, ma è il momento in cui ogni fotogramma conta. Per raccontarvi un aneddoto nel nostro primo film, un documentario su Peter Kern, c’era una piccolissima scena in cui Peter camminava da una stanza all’altra. Una sola inquadratura. Abbiamo discusso per dieci ore se dovesse essere inserita un minuto prima o dopo nel film.
SV: Due montatori sono rimasti seduti ad ascoltarci mentre litigavamo per dieci ore. Abbiamo rivisto il film di recente e ovviamente quest’inquadratura si trova da qualche parte, ma non abbiamo idea di chi abbia vinto la lotta alla fine e in realtà non aveva nessun senso, ma nel cinema bisogna prendere tutto molto sul serio. Ma questo piccolo episodio, retrospettivamente, ci sembra semplicemente assurdo!
VF: Credo che l’aspetto positivo del nostro rapporto è che, anche se litighiamo, sappiamo che è per il film, non è mai niente di personale, e anche sul set siamo sempre un vero tandem. Non ne va mai del nostro ego. Pensiamo ai film e li scriviamo e quando iniziamo a girare abbiamo forse già un 60% dell’intero progetto, ma poi includiamo i vari reparti e gli attori nel processo creativo. Tutti costoro mettono a disposizione il loro talento e il nostro progetto diventa sempre più preciso. Non pensiamo di avere una visione definita al 100% e dobbiamo scendere a compromessi. Woody Allen ha detto una volta che lui è il genio, ma tutti gli altri intorno a lui combinano dei pasticci, e alla fine rimane solo il 60% di questa visione geniale! Noi non siamo così; per esempio, se il tecnico delle luci ha una grande idea nel momento in cui stiamo girando una scena, l’accettiamo! Ovviamente, siamo noi a prendere le decisioni definitive, è il nostro lavoro.
SV: Penso che sia colpa nostra se un film è brutto! Penso che i registi servano proprio a questo! (ride)
La visione di un regista ha bisogno anche d’importanti mezzi di finanziamento per potersi realizzare. Potreste dirci due parole sulla produzione del film?
SV: In Austria siamo, direi, molto fortunati perché esiste un sistema di finanziamento molto serio per cui è possibile finanziare fino a un certo budget i film che non sono destinati a essere commerciali. Non c’è bisogno che la televisione partecipi al progetto. Non è necessario che il distributore sia coinvolto all’inizio. Tutto questo aiuta, ovviamente, ma non è imprescindibile. In questo modo si eliminano molte delle pressioni commerciali alle quali devono sottostare molti registi tedeschi, per esempio. Quindi sei fondamentalmente libero di fare quello che vuoi. In questo caso il problema era che si trattava di un film più costoso del solito, perché è un film d’epoca, per cui abbiamo dovuto optare per una coproduzione tedesca, ma siamo molto fortunati ad aver trovato Bettina Brokemper,una persona molto coraggiosa, che ci ha detto: ”Sarà difficile raccogliere fondi per questo film in Germania, ma io lo farò!” E l’ha fatto. Questa è stata la prima chiave per far funzionare il progetto, l’altra è che il produttore austriaco, Ulrich Seidl, è lui stesso un regista e come produttore è molto insolito perché non gli interessa fare soldi o promuovere delle idee commerciali vuole solo produrre il miglior film possibile e spinge il regista in questa direzione, anche se va contro gli interessi finanziari della sua società di produzione. Quindi, Ulrich Seidl ci ha sempre incoraggiati a realizzare al 100% la versione del film che avevamo in mente!