Sabato 18 Febbraio, dopo dieci intensi giorni di proiezioni, la Berlinale è giunta al suo termine e tutti gli sguardi si sono concentrati sulla scena del Berlinalepalast pieni di aspettative e di curiosità per l’annuncio del Palmarés.
Certo gli arrivi delle delegazioni sul tappeto rosso, hanno ridimensionato in parte la questione sul ‘chi’ sarebbe stato ricompensato, lasciando aperta piuttosto quella della ripartizione dei premi fra i presenti.
Fra i registi del concorso internazionale che hanno varcato la soglia del Berlinale Palast ci sono stati: Aki Kaurismaki, Alain Gomis, Hong Sang-soo, Sebastian Lelio, Peter Călin Netzer, Agneska Holland e Ildikò Enyedi.
Seguendo la consueta prassi la premiazione è iniziata con i premi minori, per proseguire, in un crescendo sempre più elettrizzante, verso quelli più importanti.
Paul Verhoeven, presidente della giuria di quest’anno, ha dimostrato che è possibile comporre un palmarés non convenzionale, dettato da un gusto cinefilo e dalla scelta di film sorprendenti che escono dai sentieri battuti presentandoci delle proposte formalmente interessanti e dei personaggi forti, a tutto tondo.
Le cerimonia di chiusura è stata, come sempre, molto vivace e piena di reazioni sorprendenti.
Indimenticabile resterà senza dubbio l’espressione assolutamente esterrefatta e profondamente dubitativa di Dana Bunescu, la montatrice del film Ana, mon amour, del rumeno Călin Peter Netzer – vincitore dell’Orso d’Oro nel 2013 con Child’s pose– la prima a ricevere un Orso d’Argento nella categoria per il migliore contributo artistico che salita in scena sembrava un letteralmente pesce fuor d’acqua. Se la trama eccessivamente melodrammatica del film e i suoi personaggi costantemente travolti da una valanga di emozioni al limite dell’isteria non hanno saputo convincere, la complessa costruzione narrativa del film, basata su un gioco costante di destrutturazione temporale, costituisce un exploit degno di nota ed è stata, a mio avviso, giustamente ricompensata.
L’attore austriaco Georg Friedrich ricompensato con l’Orso d’Argento per la migliore interpretazione maschile nella pellicola di Thomas Arslan Helle Nächte, si è prodotto in una „performance“ grottesca e poetica al contempo, perfettamente consona alla sua immagine irriverente. Nel film di Arslan, che non ha saputo convincere pienamente la critica con il suo linguaggio eccessivamente freddo ed ellittico, Friedrich interpreta il ruolo di un padre che cerca di riannodare i suoi rapporti con il figlio adolescente nel corso di una lunga escursione in Norvegia.
Arrivato sul palco per i consueti ringraziamenti Friedrich sièé tolto di bocca, con l’unghia del dito mignolo, un chwingum che ha poi piazzato sulle mani dell’Orso d’argento, per declamare, di seguito una poesia di Steven Crain.
Uno dei momenti più genuinamente commoventi della cerimonia è stato quello della premiazione di Kim Min-hee, l’attrice protagonista di On the beach at night alone, lo splendido film di Hong Sang–soo, in cui interpreta il ruolo dell’amante di un regista sposato e molto più anziano di lei. La vicenda ha uno sfondo dichiaratamente autobiografico – la storia d’amore reale fra la giovane attrice ed il regista sposato da una trentina d’anni ha occupato per mesi le prime pagine della cronaca coreana, diventando un vero scandalo con conseguenze nefaste sopratutto per l’attrice – ma Hong Sang-soo riesce a creare intorno a questa materia dolente e molto personale un’opera scabra, elegante e profondamente toccante. Per l’assoluta dedizione con cui Kim Min-hee interpreta il ruolo della giovane seduttrice, mettendosi a nudo con una generosità fuori dal comune temperata da un candore disarmante e da una sensibilità a fior di pelle, Kim Min-hee ha pienamente meritato il premio d’interpretazione femminile.
Un altro nome che si era sentito spesso nominare come papabile del premio d’interpretazione era stato quello dell’attrice cilena transgendre Daniela Vega. Protagonista di Una mujer fantàstica di Sebastiàn Lelio, in cui interpreta il ruolo di Marina un’aspirante cantante che ha una relazione amorosa con un uomo, sposato e di vent’anni più vecchio di lei, Vega ci ha regalato interpretazione perfettamente lucida, coraggiosa e profondamente passionale. Nel film la giovane donna si deve confrontare con tutta la famiglia del suo amante, Orlando, che muore improvvisamente, per rivendicare con forza, tenacia e dignità il suo amore e il sua propria esistenza. Coraggioso e passionale, Una mujer fantastica conferma il talento di Sebastiàn Lelio nel tratteggiare con forza e sensibilità dei ritratti di donne che sanno battersi ed affermare il loro diritto alla felicità, come aveva già fatto con Gloria, presentato alla Berlinale nel 2013 e ricompensato con il premio miglior interpretazione femminile. Una mujer fantastica è stato giustamente ricompensato con l’Orso d’Argento per la migliore sceneggiatura scritta da Sebastian Lelio e da Gonzalo Maza. Sebastian Lelio ha chiamato la sua eccellente attrice, Daniela Vega sul palco, scatenando l’entusiasmo generale in sala. Una mujer fantàstica ha vinto anche il Teddy Award, l’ambitissimo premio queer del festival.
L’annuncio dell’Orso d’argento per il miglior regista per The other side of hope ha invece chiaramente deluso Aki Kaurismäki. Il maestro infatti non si è mosso dalla sua sedia per andare a ritirare l’Orso d’argento e quando gli è stato messo fra le mani ha cercato di infilarlo subito, con un gesto goffo, nella tasca della giacca. In The other side of hope Kaurismaki, sempre sensibile ed attento ai problemi sociali e politici del nostro mondo, mette in scena la storia di Khaled Ali, un emigrato siriano, clandestino in Finlandia alle prese con ogni sorta di difficoltà e pericoli. The other side of hope riflette pienamente l’universo estetico ed etico del regista. Il tocco artistico di Aki Kaurismaki é unico ed inconfondibile: la sua messa in scena scabra ma precisissima, la colonna sonora che abbraccia ed accompagna la trama ad ogni istante, i suoi costumi retò, i suoi personaggi singolari, pieni di umanità, un senso dell’humor personalissimo costruito con un gusto per il dettaglio, i dialoghi brevi e taglienti, lo stile di recitazione stilizzato ma vibrante di emozione nell’economia dei gesti e delle parole. Tutte queste e molte ancora, sono le caratteristiche straordinarie del lavoro di questo grande artista che, in più di trent’anni di carriera, non è mai stato ricompensato con il premio principale di un grande festival. In questa prospettiva, non possiamo che condividere la sua delusione.
La grande e, a mio avviso, bellissima sorpresa del Palmarés è stata l’attribuzione del Gran Premio della giuria a Félicité del regista franco- senegalese Alain Gomis. Ambientato a Kinshasa, Félicité, ci offre il ritratto di una donna fiera ed indipendente che lavora come cantante in un bar della città per sostenere ed aiutare suo figlio, un adolescente ribelle e scapestrato. Colpita dal destino, Félicité, interpretata dalla straordinaria Véro Tshanda Beya Mputu, si batterà con dignità e passione, senza mai abbassare le braccia e darsi per vinta.
“Felicité é un film che non nega i problemi, ma afferma chiaramente che possiamo costruire qualcosa insieme.” Ha detto Alain Gomis. “Il mio punto di vista nel fare il film era ottimista. Non si tratta però di un ottimismo ingenuo ma di un ottimismo che sorge e s’impone al contatto con la realtà dura e concreta della vita con lo scopo di portare avanti una sorta di rivoluzione costante. Dobbiamo andare avanti e dobbiamo continuare a lottare nella vita di tutti i giorni, senza mollare mai. Siamo belli, siamo pieni di dignità, ne valiamo la pena e questo è un film che guarda verso il futuro! “ ha poi concluso.
Félicité è in effetti un film possente, lirico e radioso. La musica ne costituisce il fulcro vibrante. L’approccio formale di Alain Gomis, la sua cinepresa mobile, sensibile ai corpi e agli sguardi, sa captare con un’autenticità istintiva le pieghe dell’anima dei suoi personaggi ed il cuore pulsante di un’intera metropoli e della sua gente. Lo sguardo del regista su Kinshasa è critico ma anche pieno di energia e speranze. L’obiettivo riesce a cogliere l’aspetto più grezzo e documentario della realtà per trasfigurarlo in poesia e prendere il volo verso la magia e l’irrazionale che popolano i nostri pensieri e i nostri desideri. Complesso e imponente, formalmente e visualmente originale, Félicité costituisce, a mio avviso, il contributo più innovante e più interessante di questa selezione.
On body and soul della regista ungherese Ildikó Enyedi é stato premiato con l’Orso d’oro del festival. Grande vincitore di questa 67esima edizione della Berlinale, On body and soul che aveva ampiamente convinto la critica ed entusiasmato il pubblico della Berlinale ed era, senza alcun dubbio, fra i favoriti della competizione.
La storia d’amore tormentata ed improbabile fra Maria, un’eterea e silenziosa biologa, che deve effettuare dei controlli di qualità in un mattatoio di Budapest e, Endre, il direttore deciso e solitario del luogo, deve molto delle interpretazioni magistrali di Alexandra Borbéli e di Géza Morcsanyi. Intorno ai due protagonisti, Ildikò Enyedi, sa creare un film corale, lieve e grave al contempo, tratteggiando con grande finezza tutti i personaggi secondari della vicenda.
Tragicommedia eccentrica, sapientemente cesellata e intrisa di lirismo On body and soul ci trasporta in un mondo particolarissimo per mostrarci, attraverso il passaggio impercettibile fra realtà e visione onirica, come le ferite e gli handicap dei due protagonisti non impediscano loro di desiderare e sperare ancora nell’amore.
Parlando della genesi del suo film Ildikò Enyedi, emozionata e sorridente, ha spiegato alla stampa che l’ispirazione per questa vicenda le è venuta leggendo una poesia di Agnes Nemes.
“Quando ho un momento di tempo libero mi piace molto leggere poesia; in un paio di frasi la poetessa riesce ad esprimere perfettamente tutta la passione ed i segreti che ognuno di noi, anche le persone apparentemente più grigie ed non appariscenti, celano dentro di sé. Ho sentito subito il desiderio di fare un film su questo contrasto fra l’apparenza dimessa, sciatta di una persona e la passione che nasconde nel suo animo. L’impressione creata dalla poesia è stata una sensazione talmente intensa che, molto rapidamente, la sera stessa, avevo già in mente tutta la storia con i colpi di scena e l’idea di questa strana situazione in cui due persone sognano lo stesso sogno.” Ha poi concluso: “Volevo trasmettere un sentimento forte, uno stato d’animo ed uno stato mentale particolare. Il film non si serve di un linguaggio metaforico; On body and soul è un film semplice perché i due eroi sono persone semplici, come noi tutti noi e hanno un tesoro dentro, come noi tutti!!”