Sally Potter, regista, musicista, coreografa, ballerina, diventata famosa nel mondo con il suo film Orlando (1992) tratto dall’omonimo romanzo di Virginia Woolf, ritorna sugli schermi con Rage, una commedia satirica sul mondo della moda. Rage, presentato in concorso alla Berlinale 09, è un esercizio di stile, un esperimento cinematografico costruito come un puzzle ed è attraversato da momenti di genio: dei testi brillanti e perspicaci, delle interpretazioni stupefacenti.
Protagonista del film è Michelangelo, un adolescente fantomatico, che non vedremo mai e non sentiremo mai parlare. La trama è assai semplice: servendosi del suo telefonino Michelangelo intervista e filma, durante una settimana, quattordici persone che lavorano per la sfilata di moda di Merlin, un disegnatore mediorientale stabilitosi a New York. Con il pretesto di fare una ricerca per la scuola, Michelangelo si infiltra dietro le quinte strappando lentamente a tutti molte più informazioni di quante avrebbero voluto dare. Davanti a lui si succedono vari personaggi che gravitano intorno al mondo del disegnatore: una critica di moda, una top model transessuale, un fotografo, la direttrice, una sarta, il finanziatore, un guardaspalle, il ragazzo che porta le pizze, uno stagista offrendoci un affresco dell’intera gerarchia di questo microcosmo aziendale dove la crisi economica fa già sentire i suoi effetti nefasti.
La storia si nutre della tensione fra lo spazio fisso dell’inquadratura e quello che succede fuori campo e che possiamo presagire, supporre ed immaginare attraverso il suono, unico elemento di collegamento col mondo esterno. Attraverso il suono apprendiamo la notizia della morte accidentale di una modella durante il défilé. Viene aperta un’inchiesta, ma tutti preferiscono confidare i loro segreti a Michelangelo piuttosto che alla polizia. Durante un secondo tentativo di sfilata qualcuno spara ed uccide un’altra modella, mentre per strada si inizia a sentire il rumore di una dimostrazione. Al terzo tentativo la situazione precipita e la sfilata finisce in una strage. Michelangelo ha mentito e ha manipolato tutti quanti: il materiale filmato è andato a finire sul suo blog…. E se ciò avesse provocato la tragedia finale?
Sally Potter costruisce il suo film violando, dall’inizio alla fine, una legge non scritta del cinema di finzione: il divieto di guardare direttamente nella cinepresa. Per giustificare quest’opzione ricorre all’idea di un documentario fittizio. Attraverso Michelangelo, presenza spettrale e non completamente ingenua, né disinteressata, scopriremo, infatti, che man mano che filma fa circolare le sue interviste su internet, scatenando delle imprevedibili e disastrose reazioni a catena. Sally Potter si diverte ad interrogare il ruolo ed il potere di chi filma denunciandone la natura ambigua e potenzialmente insidiosa. Michelangelo, interlocutore invisibile, è presente solo attraverso l’occhio del suo obiettivo; le sue reazioni, i suoi pensieri ci sono espressi – come nei film del cinema muto – attraverso dei testi scritti a macchina sullo schermo. Questi inserti, non privi di sarcasmo, sono gli unici momenti del film in cui possiamo presentire le sue opinioni, i suoi stati d’animo; man mano che il testo viene scritto Michelangelo, infatti, lo corregge e lo rettifica.
Così il titolo che appare sullo schermo all’inizio del film: All in rage che significa, ciò che è di moda, viene ridotto alla fine alla sola parola Rage, rabbia. Effettivamente è proprio la rabbia che l’insieme dei personaggi intervistati finisce per esprimere. Il dispositivo messo in atto da Sally Potter ci fa sentire il peso della loro solitudine e della loro impotenza. Le interviste-confessioni sono filmate come degli interrogatori; lo spazio è limitato ed astratto, le figure risaltano in primo piano davanti ad uno sfondo monocolore e sono illuminate da una sorgente luminosa che rivela senza pietà i minimi dettagli del loro volto. I personaggi del film sono rinchiusi nel loro mondo, nei loro pensieri, nelle loro paure o speranze, inseguono dei sogni, lottano per le loro ambizioni, o per una semplice riconoscenza, rimpiangono un passato migliore o guardano verso il futuro con apprensione e cercano in fondo, nel bene e nel male, semplicemente di sopravvivere.
Davanti a noi si snoda una lunga serie di monologhi che offre agli attori un’ottima opportunità di mostrare il loro talento. Sarei tentata di citarli uno ad uno perché – questo è uno dei pregi del film, tutte le interpretazioni sono degne di nota. Mi limiterò a menzionare Jud Law (nella foto), irriconoscibile e seducente nel ruolo di travestito, Dianne West, dolce e malinconica nel ruolo dell’anziana direttrice, Judi Dench, una sarcastica e disillusa giornalista di moda, Steve Buscemi, fotoreporter di guerra approdato nel mondo dei defilé e Simon Abkarian che ci offre una riuscitissima parodia del creatore di moda John Galliano.
Rage, è un film costruito essenzialmente sulla messa in scena, minimalista ma estremamente curata nei particolari : il colore, la luce, i movimenti della cinepresa. Ritroviamo, nella maniera in cui sono filmate le interviste, due grandi qualità della regista: la sua sensibilità per il colore e la luce (Orlando) e il suo amore per la coreografia, per i movimenti della danza (Lezione di Tango). In un film che si svolge su uno sfondo uniforme e monocromo il colore diventa importantissimo. Per potere ottenere delle superfici dai colori vividi e brillanti Sally Potter ha girato tutte le scene davanti ad un blue screen, sfondo che si utilizza di solito per il montaggio degli effetti speciali. I diversi personaggi si definiscono attraverso un gioco di contrasti cromatici fra il loro vestiario e il colore dello sfondo che varia a seconda dei loro stati d’animo: i colori sono caldi, intensi e conferiscono all’immagine una qualità pittorica. L’elemento coreografico è affidato nel film ai movimenti della cinepresa che, sempre in prospettiva frontale, si avvicina e si allontana impercettibilmente agli attori, li scruta dall’alto, li osserva dal basso, abbracciandone il corpo come in una danza sinuosa e sensuale. La regista si è avvalsa di una cinepresa relativamente piccola e leggera che ha maneggiato lei stessa durante le riprese con l’intenzione di riflettere nei movimenti dell’obiettivo non solo gli stati d’animo, ma anche il ritmo del discorso degli attori. Come ci ha spiegato durante la conferenza stampa:“Il film è costruito su un modello musicale, retto da una partizione contrappuntistica fra il testo recitato e i movimenti della cinepresa”.
Purtroppo, nonostante le sue qualità, Rage manca di una vera coesione di fondo: i vari pezzi del suo puzzle multicolore non si connettono mai per creare una visione d’insieme ma sembrano scomparire nel buio di un fuori campo indefinito e minaccioso, tasselli dispersi di un universo delirante e narcisista. Il manierismo e la forma finiscono per avere il meglio sull’emozione e i contenuti; l’effetto del film è effimero come un fuoco d’artificio e svanisce nel momento in cui si lascia la sala.