In un mondo in cui la speranza di vita si è considerabilmente allungata ed il matrimonio ha cessato di essere la garanzia definitiva di un’esistenza a due, molti si trovano a volere, o a dovere, ricominciare la propria vita amorosa da zero dopo i cinquant’anni.
Nel suo ultimo lungometraggio, Gloria, presentato in concorso alla Berlinale, Sebastiàn Lelio, prende atto di questo fenomeno della società adottando il punto di vista di una donna. Condotta da un’attrice straordinaria, questa commedia agro-dolce, vibrante ed umana ha entusiasmato il pubblico del festival ed è valsa il premio per l’interpretazione femminile a Paulina Garcia.L’intrepida eroina del film, Gloria, è un’ultracinquantenne che dopo il suo divorzio vive, ormai da dieci anni, sola; i suoi rapporti con i figli adulti sono calorosi, ma sporadici. Dopo avere trascorso la sua giornata in ufficio, Gloria ama approfittare della vita e divertirsi ballando in un club per cuori solitari. Questo luogo, che Lelio filma con scioltezza documentaria, è il suo terreno di caccia. Gioiosa, aperta e disponibile Gloria spera d’incontrare un nuovo compagno e, chissà, forse, ancora una volta, l’amore.
Pur essendo quella di Gloria una vita assai ordinaria, il film ci introduce nel suo quotidiano, fatto di grandi e piccoli eventi, di fragili speranze e dolorose consapevolezze, come in una vera e propria avventura: eroica, erotica, quasi epica. Gloria abita ogni singola inquadratura e se, in un primo tempo, sembra riempirne soprattutto i margini come occupa i bordi della vita di chi le sta intorno e man mano che la vicenda evolve, si trova sempre di più sulla parte centrale della scena. Gloria avanza, inciampa ed eventualmente cade ma riesce, in qualche modo, a trovare la forza per rialzarsi.
Il suo personaggio è rappresentato nei minimi dettagli: autentico, commovente senza essere affettato, coraggioso e, suo malgrado, malinconico e fragile ma dotato di un’indomabile voglia di divertirsi e di approfittare della vita, di amare e di essere amato. Difficile immaginare dietro un ritratto così preciso, giusto, pieno di empatia, lo sguardo di un regista uomo e per di più giovane come Sebastiàn Lelio; di fatto, come ha spiegato alla stampa al festival, quando si é messo alla ricerca di un nuovo soggetto si è ben presto reso conto con il suo co-scenarista, Gonzalo Maza, che non c’era bisogno di andare a cercarlo chissà dove, la realtà più prossima poteva costituire un contesto altrettanto appassionante. I due autori si sono così concentrati sull’entourage delle proprie madri studiando il loro modo di vivere, le loro preoccupazioni, le loro delusioni, i loro bisogni, i loro sogni facendone la base della loro sceneggiatura. “Molte storie vere sono confluite nella trama del film” ha aggiunto il regista, con un sorriso complice.
Nel corso di una serata danzante, Gloria conoscerà Rodolfo, di cui finirà per innamorarsi. Con quest’uomo, un ex ufficiale di marina, che dice di essere divorziato da poco, Gloria vivrà degli istanti intensi di gioia, complicità e piacere sessuale ma anche un’altrettanto dolorosa delusione.
Lelio riesce e seguire la trama sfuggente e complessa di questo idillio nascente con sensibilità e finezza d’osservazione adottando un registro realista aperto a quei brevi istanti di follia che fanno la vita di noi tutti. Mantenendo questo sottile equilibrio dalla prima all’ultima scena il regista evita alla sua storia di diventare una favola hollywoodiana a carattere didattico: sfumature, scarti di comportamento, reazioni inattese, contraddizioni, rotture di tonalità caratterizzano dei personaggi corposi, a tutto tondo.
Lelio filma i due protagonisti mentre fanno l’amore con grande naturalezza e libertà, con un realismo schietto e toccante, senza giudicarli; certo, le membra dei due amanti non ci offrono una visione ideale o meglio idealizzata del corpo umano ma, proprio per questo, queste sequenze hanno un qualcosa di gioiosamente liberatorio, di profondamente passionale e tenero. Il modo in cui Rodolfo viene tratteggiato nel film coglie alla perfezione il comportamento ambiguo, a doppio fondo, egoista e codardo, di un uomo che vorrebbe avere una nuova vita senza mai trovare il coraggio di voltare veramente pagina. Quando, dopo averla invitata a passare un week end di passione in un lussuoso albergo al mare, Rodolfo scompare repentinamente nel nulla, Gloria sembra andare alla deriva. Abbandonata e smarrita gioca tutti i suoi soldi alla roulette, si ubriaca, si getta fra le braccia del primo venuto e si risveglia, di primo mattino, in mezzo alla spiaggia, sola e senza risorse. Scombussolata e delusa, Gloria passerà dei giorni a fumare canne e a girovagare senza meta per le strade di Santiago, incappando in una manifestazione studentesca e nella danza di uno scheletro sostenuto dai fili di un’artista ambulante, prima di ritrovare la forza di guardare di nuovo in faccia il futuro.
La ricchezza narrativa e la corposità del film è dovuta al fatto che Lelio sa tessere una fitta rete di rapporti umani intorno alla sua protagonista; i familiari e gli intimi di Gloria entrano, per brevi momenti, nella vita solitaria della donna creando un caleidoscopio vivido ed intenso di caratteri e situazioni. Così di volta in volta sfilano sullo schermo: suo figlio, un ragazzo-padre che è costretto ad occuparsi da solo del suo bebè, ma non permette a Gloria di aiutarlo, e sua figlia, una maestra di yoga, libera ed indipendente, sul punto di andare a vivere per sempre in Svezia. A loro si aggiungono: la fedele donna delle pulizie, un vicino di casa perennemente fatto, padrone di un gatto senza peli che ama infilarsi nell’appartamento di Gloria, il suo ex marito con la seconda moglie ed un gruppo di amici brasiliani.
Sullo sfondo, sempre presente, c’è la città di Santiago – a detta del regista la seconda protagonista del film – che permea il quotidiano di Gloria creando, a tratti, dei corti circuiti fra le sue rivendicazioni personali e quelle collettive; le manifestazioni studentesche sono la realtà concreta in cui incappa Gloria quando cammina per strada. Se il linguaggio estetico del regista si muove sul terreno delle convenzioni, la forza del film risiede nella sceneggiatura che riesce a graffiare con precisione sotto la pelle dei personaggi mettendoli a nudo con uno sguardo lucido ma benevolo. I dialoghi sono arguti e sottili e l’approccio ai comportamenti va di pari passo con uno studio accuratissimo della psicologia.
Pur osservando nel dettaglio i suoi protagonisti Lelio sa lasciare dei vuoti, delle cesure, delle omissioni; la linearità della narrazione si apre piacevolmente a delle brevi ellissi che aggiungono un senso di mistero alla trama. Fluido e scorrevole, il ritmo della pellicola é sostenuto da una colonna sonora che fa parte integrante della trama: dalle canzoni retro un po’ melense che Gloria ama canticchiare mentre guida, alle musiche della sala da ballo che frequenta, alla mitica bossa nova Aguas de março di Anotonio Carlos Jobim che due amici cantano a cappella durante una festa, all’omonima canzone di Umberto Tozzi che chiude, gloriosamente, la vicenda.
Il regista ha avuto una mano particolarmente felice nella scelta del suo cast: Paulina Garcia ci offre un’interpretazione memorabile nel ruolo di Gloria e Sergio Hernandez è straordinariamente
persuasivo in quello del suo ambiguo e travagliato amante Rodolfo. Altrettanto convincenti sono tutti gli attori secondari che aggiungono,con il loro gioco ricco di sfumature, spessore e vivacità alla storia.
Una bella riuscita per questo film cileno prodotto dai fratelli Larrain: Juan de Dios e Pablo, regista e sceneggiatore di Tony Manero, Post Mortem e No, prova della grande vitalità del giovane cinema d’autore di questo paese.
Gloria è una pellicola contagiosa, euforizzante. Come la bossa nova di Jobim, che Lelio considera essere una delle sue principali fonti d’ispirazione, il film si muove, danza, lievemente fra commedia e melodramma, satira sociale e love story lasciandoci con un’enorme carica di energia addosso.