A Child’s pose di Călin Peter Netzer, consacrato vincitore dell’Orso d’oro della Berlinale, costituisce un’ulteriore prova della vitalità del giovane cinema rumeno. Scegliendo una protagonista scomoda, snervante ed autoritaria, il regista riesce a costruire un film grottescamente feroce ed inaspettatamente toccante su un tormentato rapporto madre-figlio.
Una cinepresa febbrile ci invita nel bel mezzo di una festa di compleanno. Nello spazio curiosamente indefinito di un grande ristorante di lusso dove si percepiscono più sale, il nostro sguardo si trova a seguire con persistenza una donna bionda sulla sessantina, chignon, vestito nero da sera: é Cornelia la festeggiata e protagonista del film.
I movimenti sinuosi della camera intorno alla donna che circola inquieta e frenetica fra gli invitati e l’illuminazione caravaggesca della scena ci trasmettono subito una sensazione di fastidioso malessere. Nell’atmosfera regna un’allegria ostentata che si protrae fino al canto corale di buon compleanno. I volti degli astanti si offrono all’obiettivo con tutta l’opulenza e l’arroganza della classe sociale che rappresentano; quelli delle donne sono pesantemente truccati, forzatamente ilari, quelli degli uomini volitivi, profondamente segnati dal tempo.
Tutti gli amici influenti di Cornelia, nonché la sua famiglia – sua sorella, un medico importante, e suo marito, un chirurgo di fama – sono accorsi a festeggiarla, manca solo il figlio ingrato, il trentaquatrenne Barbu che, ancora una volta, ha ben pensato di starsene lontano.
Alla fine della serata Cornelia, completamente sola nello spazio, improvvisa una danza sinistra, muovendo le braccia avvolte nel pizzo nero del suo abito come un enorme uccello rapace che volteggia nell’etere prima di piombare a picco sulla sua preda.
Gli ingredienti della vicenda sono contenuti tutti qui, in questa rigorosa sequenza d’esordio: la figura centrale della madre, ossessiva ed autoritaria, il suo entourage di amici potenti, il figlio distante. Poi, d’improvviso, subentra il dramma: Barbu al volante della sua macchina uccide involontariamente un ragazzino, durante un sorpasso. Cornelia, che deve salvare ad ogni costo suo figlio dalla prigione, prende subito la situazione in mano con il fare di uno stratega sul campo di battaglia. L’incidente di Barbu è, in fondo, un’occasione d’oro per la donna che sogna di rimettere il figlio sotto la sua ala protettrice per potere esercitare di nuovo un controllo assoluto su di lui.
Sul filo delle azioni di Cornelia il film esplora, con grande finezza, quella linea sottile che separa l’amore materno dalla manipolazione.
In un primo tempo, Barbu, sotto shock, indolente ed apatico, si lascia fare ed accetta di ritornare per qualche giorno dai suoi, abbandonando sola, nel loro appartamento comune, la sua compagna Carmen che non è mai andata a genio a Cornelia. Una serie di tappe segna lo sviluppo della vicenda sulle orme dell’avanzata impetuosa della madre convinta di essere l’unica persona capace di agire in maniera efficace e di risolvere, con ogni mezzo a sua disposizione, l’increscioso impasse in cui Barbu è incappato.
Călin Peter Netzer mette in scena la classe rumena dirigente, erede spirituale dell’era Ceausescu e dei suoi metodi, con lucida freddezza. Abituata all’abuso di potere e alla corruzione, Cornelia pensa che con le relazioni giuste e con i soldi si possa sistemare tutto. Fin dal primissimo istante la vediamo brigare spasmodicamente in favore del figlio. Immediatamente si precipita dal medico di turno che deve stabilire lo stato di Barbu al momento dell’incidente per vegliare personalmente sulla diagnosi, poi s’incontra con l’esperto incaricato di valutare la dinamica dell’incidente e tenta d’influenzare il suo verdetto, cerca infine di comprare la deposizione dell’unico testimone, ma si scontra con un uomo ancora più scaltro ed opportunista di lei.
Angosciata ed ossessiva Cornelia cerca alleanze in tutte le direzioni e non esita ad incontrarsi perfino con l’odiata Carmen pur di salvare, di comune accordo, il futuro dell’amatissimo figlio unico. Eppure, quasi inavvertitamente, le cose sembrano prendere un’altra piega: Cornelia inizia pian piano a perdere il controllo della situazione; si scontra, infatti, proprio con la resistenza tenace di Barbu stesso che, ripresosi dal trauma, non è più disposto ad accettare la sua costante ingerenza. La superficie coriacea della donna s’incrina lasciando trapelare tutto il suo dolore, la sua infelicità e la sua solitudine: di fatto l’unica persona a dare un senso alla sua esistenza è prorio Barbu che, dal canto suo, deve proteggersi ad ogni costo dalla presenza oppressiva della madre se vuole andare avanti.
Protagonista assoluta della scena, Cornelia galvanizza completamente la nostra attenzione così come vampirizza la vita della sua famiglia e quella del figlio in particolare. Se il suo ruolo é ingrato, il suo aspetto fisico gioca ancor meno in suo favore. Cornelia è bruttina, ma vanitosa: i capelli biondi ossigenati, il trucco marcato, i tacchi a spillo, le pellicce che esibisce in ogni occasione, nonché il gesto affettato con cui si riempie un bicchiere di brandy, ogniqualvolta entra in casa, hanno un qualcosa di irritante e lievemente caricaturale.
Călin Peter Netzer filma in media res; la sceneggiatura sa fare un uso sapiente dell’ellissi creando una sensazione d’immediatezza e di realismo quasi documentario. La cinepresa si fa strada nella vicenda esplorando i rapporti fra i personaggi con dei lunghi piani sequenza passando, nelle scene di dialogo, dall’uno all’altro freneticamente senza mai fare uso di un campo-contro campo; quest’irrequietezza rispecchia perfettamente lo stato d’animo della protagonista, la sua agitazione, la sua smania nel volere prendere in mano la situazione. I movimenti convulsi ed incessanti dell’obiettivo raggiungono, verso la prima metà del film, un parossismo al limite del sopportabile per smozarsi gradualmente in seguito.
All’immagine dell’ossessione di Cornelia abbiamo la sensazione di essere prigionieri di uno spazio chiuso, di una sorta di tunnel, nonostante le riprese siano effettuate nei luoghi più diversi, interni ed esterni. Questa sensazione è sostenuta anche dalla fotografia che, giocando su degli effetti di chiaro-scuro, crea costantemente delle zone d’ombra; l’insieme risulta soffocante come l’amore eccessivo, malsano della donna per il figlio che si ostina a chiamare ‘bambino’, nonostante l’età di quest’ultimo.
Tutta la forza redentrice di A child’s pose risiede nella sensazionale sequenza finale del film. Nonostante tutti gli sforzi compiuti in precedenza, in ultima istanza, la sorte di Barbu, sta proprio nelle mani dei genitori del ragazzino ucciso. Alla vigilia del funerale Cornelia si reca con Carmen e Barbu, tormentato e riluttante, dalla famiglia della vittima. Mentre ques’ultimo resta seduto in macchina, le due donne varcano la soglia della casa della famiglia in lutto. La cinepresa si ferma, la concentrazione é assoluta, le maschere cadono e, per la prima volta, Cornelia, si mostra nuda, vulnerabile, profondamente dolente, una madre di fronte ad un altra madre, nella ricerca disperata di salvare la vita di suo figlio, domandando all’altra madre di avere pietà di chi, senza volere, é diventato l’assassino del suo ragazzo.
L’interpretazione di Luminita Gheorghiu nei panni di Cornelia è memorabile; infine fragile e senza difese, la si sente sincera, il suo dolore sembra autentico, senza ormai più calcoli come se, improvvisamente, la donna avesse sentito tutto il peso della sofferenza dell’altra madre. Intenso e straziante quest’incontro ci lascia senza fiato. Con pudore l’obiettivo si allontana dal primo piano.
L’ultima scena – cruciale – s’intravvede appena nello specchietto retrovisore della macchina. Melodramma, satira sociale, dramma psicologico, A child’s pose è un’opera complessa, condotta in modo rigoroso e coerente. Nonostante una cinematografia resa alquanto faticosa dal rifiuto sistematico del piano-contro piano in favore di un andirivieni continuo fra i personaggi, il film può contare su una sceneggiatura solida e su un cast di attori che indossano alla perfezione i loro ruoli, fra cui spicca Luminita Gheorghiu che magnetizza gli sguardi con un gioco intenso e senza mezze misure.
Illuminando con precisione i chiaroscuri dell’anima umana e della società del suo paese, A child’s pose si è lecitamente imposto come il vincitore della Berlinale di quest’anno.