Difficile fare fronte durante la Berlinale all’enorme quantità di film proposti nelle sue diverse sezioni, spesso sono delle decisioni aleatorie che guidano i passi degli spettatori in questo meandro cinematografico; c’é chi decide, per esempio, di dedicarsi completamente al concorso internazionale, chi invece si concentra su una delle numerose sezioni parallele. Qualsiasi sia stata la strategia prescelta, durante gli ultimi giorni del festival, tutti cercano di recuperare qualche film al di fuori dei propri sentieri battuti nella speranza di scoprire qualche gemma nascosta.
Così é stato per Bambi, che ho visto proprio alla fine della manifestazione grazie al consiglio entusiasta di un collega francese recuperando in extremis una delle opere più appassionanti, rigorose, delicate e profondamente ottimiste di tutta la selezione.
Bambi, proiettato nella sezione Panorama é un documentario dalla forza serena e sottilmente ludica, tagliato su misura per riflettere la personalità fuori norma della sua protagonista: Marie-Pierre Pruvot, oggi un’elegante, distinta ed eterea signora di 77 anni, nata ad Algeri con un nome e un’anatomia maschile. Bambi é la storia della conquista per Marie-Pierre della propria identità sessuale, un’identità che non corrisponde con i suoi attributi fisici alla nascita ma deve venire costruita e rivendicata, dolorosamente e coraggiosamente, controcorrente. Bambi é anche, e soprattutto, la straordinaria avventura umana di un individuo che ha sempre saputo seguire i suoi istinti, i suoi desideri e i suoi sogni con dignità, caparbietà e una notevole lucidità.
La vicenda di Marie-Pierre, nata Jean-Pierre, inizia nella lontana Algeri, prosegue poi a Parigi, dove la protagonista diventa una delle stelle del cabaret di travestiti Le Carrousel, con il nome di scena di Bambi, raggiungendo un’enorme notorietà per prendere – dopo un’operazione di cambiamento di sesso eseguita a Casablanca– inaspettatamente tutt’altra direzione.
Conscia del fatto che la vita sul davanti della scena é estremamente limitata nel tempo Marie-Pierre, mentre continua ancora a lavorare di notte nel cabaret, prepara silenziosamente ma tenacemente la sua riconversione professionale: riprende gli studi che aveva abbandonato a diciassette anni per fuggire da Algeri, passa l’esame di maturità seguendo dei corsi a distanza, s’iscrive alla Sorbona dove studia lettere e vince infine il concorso del Ministero dell’Educazione Francese, trascorrendo il resto della sua vita lavorativa come professoressa di francese in un liceo.
Il cineasta francese Sebastien Lifshitz e Marie-Pierre Pruvot si sono conosciuti per caso a Parigi trovandosi ad essere entrambi membri della giuria del Festival di cinema gay, lesbico e trans Chéries-Chéris. A quell’epoca Lifshitz stava preparando il suo documentario Les invisibles dedicato agli omosessuali francesi nati fra le due guerre; in un primo tempo, aveva pensato di includere la storia di Marie-Pierre in questo lavoro ma, ben presto si era reso conto che la sua esperienza era diversa e singolare, trattandosi di uno dei primi transessuali diventati famosi inoltre, discutendo con lei, venne a scoprire che Marie-Pierre aveva in casa un importante stock di materiale in super 8 girato da lei stessa e dai suoi amici dell’epoca. Lifshitz decide così di dedicarle un documentario a parte e propone a Marie-Pierre di imbarcarsi con lui in un viaggio verso Algeri, la sua città natale, alla ricerca delle origini del suo destino. Nella luce accecante della città, nella materia polverosa delle sue strade Lifshitz riesce a seguire i passi fragili della donna, con una distanza rispettosa e partecipe allo stesso tempo; così la loro peregrinazione porterà entrambi fino a quella che era stata una volta la camera d’infanzia della protagonista, oggi trasformata in un garage, dove toccando le pareti ormai nude ed anonime del luogo Marie-Pierre, farà rinascere con la voce del suo ricordo, tutto un universo scomparso per sempre…
Specularmente anche le riprese che il regista effettuerà poi nello studio di Marie-Pierre in Francia riescono, attraverso una scelta oculata dell’illuminazione e la decisione di ritrarre la protagonista davanti alla sue enorme libreria, a creare un’atmosfera intima ed in perfetta sintonia con il carattere del personaggio. Il film deve la sua indubbia riuscita all’incontro di una personalità eccezionale con un regista che ha saputo trovare la giusta misura per trasmetterci quest’esperienza fuori dal comune senza mai cadere in un pathos scontato, senza trasformare questa vicenda in un mero stendardo di rivendicazione, senza scivolare nel sensazionalismo.
Il racconto che si tesse con i ricordi di Bambi passa attraverso le mani di Lifshitz, mantenendo intatta dal primo all’ultimo minuto una tensione, tersa ed essenziale, un sottile senso dell’humor ed una certa distanza emotiva ancora più ammirevole quando s’intuisce il fondo a volte molto doloroso di questa vicenda.
Confrontato ad una grande quantità di materiale eterogeneo- scene girate ad hoc, foto d’epoca di Bambi, materiali d’archivio, filmini in super 8 – il regista non perde mai il controllo della narrazione trovando sempre nel montaggio i punti di sutura ideali fra la testimonianza della protagonista filmata di fronte alla cinepresa, le immagini più disparate ed il commento della sua voce in off.
La giuria di Panorama ha saputo riconoscere tutte queste qualità premiando il lavoro di Lifshitz con l’ambito Teddy Award per il migliore documentario.
Bambi infine è anche il racconto di una storia d’amore fuori dal comune; quella fra Bambi e Ute, una storia iniziata nel mondo dei cabaret parigini dove le due donne, subito attratte l’una dall’altra, iniziano a fare dei memorabili sketch insieme. Marie-Pierre, a quell’epoca appena reduce dalla sua operazione di cambiamento di sesso, osserva con sagacia ed un sorriso leggermente scanzonato: “ Ed io avevo fatto tutto questo per innamorami alla fine proprio di una donna, che paradosso!”
Le immagini di Bambi ed Ute giovani sono splendide, la loro bellezza illumina lo schermo come un’evidenza, a questi fotogrammi fa eco una breve scena girata oggi nella penombra di un bosco; da lontano, a pena visibili, si vedono le due donne camminare discretamente l’una accanto all’altra. Con molta semplicità e senza parole superflue, Lifshitz riesce a descrivere lo straordinario destino di questi due esseri facendo prova di una grande finezza.
Volevo vivere come “Madame tout le monde”, questa era la mia più grande aspirazione spiega Marie-Pierre ad un certo punto: “ non volevo scioccare la società, volevo semplicemente che mi si lasciasse vivere, ed è in fondo questo tipo di resistenza che ha vinto, in qualche modo, le resistenze della società” ed aggiunge maliziosa: “Il vero scandalo è che sono riuscita a vivere la mia vita senza scandalo!”
Bambi ha saputo traversare una quantità enorme di mondi e di barriere fisiche, psichiche e sociali restando fedele a se stessa, con una determinazione, una forza d’animo esemplare ed una voglia di vivere prorompente ma sempre perfettamente controllata.
Con il suo percorso indomito Marie-Pierre Pruvot ci trasmette il coraggio di affrontare la vita di tutto petto; le siamo profondamente riconoscenti.