Avatar, l’ultimo lavoro di Cameron, è un film che ha colto nel segno. Successo globale di pubblico e un’animata querelle tra i critici: chi pro, chi contro. In ogni caso, una massa informe di curiosi di ogni età, tutti, e dico tutti, per un motivo o per un altro, l’hanno visto. Certo che con una macchina promozionale così…
La trama è facilmente comprensibile. Come ogni buon film americano anche questo si prende la briga di essere portatore di messaggi: il Pianeta Terra sta morendo a causa dell’indiscriminato sfruttamento delle materie prime, dell’inquinamento e questo a causa dell’imperialismo. Ecco quel che Cameron ha voluto raccontare attraverso un lavoro super spettacolare. Semplice. Probabilmente alcuni degli spettatori usciti dalla sala, chissà, si saranno posti il problema di questo nostro pianeta in via di deperimento.
Avatar è soprattutto un film che utilizza le ultime innovazioni tecnologiche in campo cinematografico per stupire e divertire il suo pubblico. Il suo cocktail ipertecnologico è composto da: una sofisticata grafica 3d, l’ultima generazione di motion capture system e le ultime scoperte sulla cinematografia stereoscopica e virtuale.
Per evitare la confusione che regna a proposito del 3d, scambiato spesso con le tecniche di visone stereoscopica, è importante sapere che queste sono due tecnologie ben distinte che lavorano in questo caso in simbiosi. Con 3d s’intende prima di tutto un tipo di grafica il cui sistema di riferimento è strutturato secondo un sistema di coordinate cartesiane X, Y, Z. Attraverso software specifici e complessi in grado di creare mondi incredibili, come Maya e 3ds Max per citare i più noti, la grafica 3d permette di realizzare fictional characters digitali, antropomorfi, zoomorfi oppure totalmente fantastici, inseriti in scenografie digitali. Ovviamente è possibile far coincidere nella stessa scena diverse immagini come nel composite: personaggi virtuali inseriti in filmati tradizionali, o viceversa, e grafica 2d e 3d utilizzate contemporaneamente.
La grafica 3d è ormai sempre più spesso supportata dal motion capture system (o MOCAP per gli amici), un processo per mezzo del quale si registrano le informazioni relative al movimento di un qualsiasi ente, vivente e non, che si traducono in dati utilizzabili, dando vita alla performance animation, ricostruzione dei dati in forme credibili e complete con o senza riferimenti morfologici con il soggetto catturato.
L’altra fantasmagorica tecnologia utilizzata da Cameron è la stereoscopia. Sappiamo che gli occhi, distanti l’uno dall’altro, vedono il mondo da due angolature leggermente differenti e che il nostro cervello elabora queste immagini dando l’effetto e la percezione di profondità. La tecnologia dei filmati stereoscopici riproduce lo stesso meccanismo. Il pubblico munito di occhiali polarizzati percepisce le figure piatte dello schermo come immagini dotate di profondità che sembrano avvolgere chi guarda dando quella percezione di partecipazione diretta alla scena.
La grafica 3d aggiunge alle immagini una profondità che resta all’interno dello schermo e che rende ogni oggetto, ogni personaggio un’entità inclusa in uno spazio interno al film. Lo schermo resta tale e quel che vediamo si svolge dalla parte opposta alla sala. La stereoscopia è al contrario una tecnologia esterna allo schermo: porta le immagini al di fuori di esso, verso il pubblico, rendendo così lo spettatore una entità partecipativa, che vive nello spazio scenico, che sembra poter interagire con gli oggetti, con i personaggi del film.
Questa nuova tecnologia è ancora troppo immatura perché sia considerata una vera rivoluzione. Cameron non ha ben capito le vere potenzialità della stereoscopia: la utilizza come un giocattolo, come un trucco magico per stupire gli spettatori con effetti speciali. Quel senso di partecipazione, quell’invito a vivere dall’interno lo spazio scenico implicito nella visione stereoscopica non è sfruttato al punto da diventare un valore aggiuntivo, uno strumento espressivo, interpretativo, in una parola: artistico. Resta un giochino da luna park: una volta ti viene puntato un mitra, un’altra sei avvolto da piccoli esseri leggiadri e meravigliosi, un’altra ancora stai per essere divorato da un mostro.
I nuovi media sono una frontiera in continua espansione e ogni nuovo medium è un’evoluzione dei precedenti. Il 3d, la stereoscopia, la realtà virtuale, sono delle tecnologie ricche di potenzialità che ancora siamo ben lontani dal saper utilizzare a scopo espressivo. Per poterlo fare servono gli artisti, i filosofi, non bastano i tecnici. Per non perdersi in una ragnatela di mezzi è opportuno cercare le connessioni tra le arti e la scienza informatica. Dobbiamo approssimare una mappa, un sistema d’orientamento in un cyberspazio ancora freddo e distante, disumano, ancora poco noto. Vedremo Alice.