Affrancati dal lavoro manuale e calati nelle camere di deprivazione sensoriale delle nuove socialità, ai nostri corpi non è rimasto molto oltre l’aspetto erotico come residuo di ciò che può ancora farne pulsare fuori strisce di fisicità minimamente autentica.
Senza avventurarsi in critiche postmoderne, sembra evidente che il sesso oggi sta cannibalizzando o accecando – come in un’epidemia di Saramago – molti aspetti della percezione del nostro essere, proprio perchè si stanno atrofizzando molti altri aspetti che definiscono il nostro essere incarnati.
Sarà che forse scriviamo in una fase di rigetto totale dell’esperienza sempre più volgare della parabola del nostro ex premier, ma la visione di Amore carne di Pippo Delbono è capitata nel momento in cui ne avevamo più bisogno, ed stata semplicemente liberatoria e fulminante. In poco più di un’ora e un quarto il Maestro di Varazze (possiamo chiamarlo così ora?) ha recuperato in maniera straripante un’idea completa e sfibrante di corpo, assestandola su l’ombra di un’anima incandescente, rigogliosa e seducente.
Aldilà di alcune sue apparizioni cinematografiche non esattamente in linea con la statura del suo personaggio (Guadagnino?) tutte le sue esperienze alla regia hanno sempre lasciato il segno. Con il documentario La Paura nel 2009, Delbono aveva letteralmente testimoniato con la presenza del suo corpo negli spazi sempre più aperti del razzismo in Italia, tutta la sua resistenza fisica e concreta all’impoverimento morale del nostro paese.
Con Amore Carne riprende in maniera molto più intima quel tipo di discorso e parte per un viaggio all’interno delle contraddizioni ed i mali proprio del suo, di Corpo.
Paradossalmente il film non ha forse l’impatto e quella sorta di praticità materiale del precedente, ma ha una forza innegabile proprio perchè riesce a valorizzare tutti gli aspetti più immanenti e astratti della nostra fisicità. Amore Carne non ha l’urto emotivo di La Paura, ma si allarga in maniera molto più lenta e intensa nei nostri occhi con un incedere molto più fluido e coerente. I momenti in cui interrompe l’audio del discorso della madre per fare spazio al flusso assordante dei pensieri del regista è semplicemente disarmante. In generale quasi tutti i passaggi del montaggio hanno un Dna coerente e lucido e mostrano che la forza del film non è solo nell’irruenza del flusso delle emozioni, ma anche nell’organicità del pensiero.
Memorabile lo stacco della sequenza dei ragazzi ciechi al salto nel vuoto dei tunnel sotterranei. Emozionante quello in cui l’immagine della Madonna in cucina sembra rappresentare sia il paradigma e la sintesi culturale di alcuni pensieri della madre, ma anche la pietà e la commozione totale del figlio. Il tutto, come saprete, ha molta più forza se si pensa che l’intero lavoro è stato filmato con un telefonino e una piccola telecamera.
Dopo la proiezione in sede di presentazione stampa di Amore Carne, l’intervento di Delbono è stato come al solito debortante e incredibilmente intenso. Per un attimo, eravamo sicuri, che bastasse la sua presenza fisica per far indietreggiare e rimpicciolire tutte le strategie pachidermiche, ma vuote come un guscio d’uovo del cinema italiano.