156 minuti per raccontare la storia di Frank Lucas, aggressivo e a suo modo geniale gestore del florido mercato dell’eroina ad Harlem nei primi anni Settanta, attraverso la sua rapida ascesa e successiva caduta, ad opera di un poliziotto ebreo interpretato da Russel Crowe. American Gangster di Ridley Scott è un film dotato di un equilibrio quasi magico nel bilanciare il racconto dei due personaggi – scavando nel loro carattere e nella loro visione del mondo – e il racconto di un contesto assai particolare, quale quello degli Stati Uniti durante la guerra del Vietnam e più in particolare quella Harlem che, attraverso le facili ricchezze di pochi ed i pugni tutti neri di Alì e Frazier, urlava con forza la propria scomoda presenza al mondo.
Tutto ciò che accade attorno ai due è certamente narrato da Scott con quella che potremo definire “poetica lucidità”, senza mai indulgere in alcun giudizio su ciò che avviene, ma solo con grande attenzione a coinvolgere con luci, montaggio e scene, lo spettatore al fine di accompagnarlo nel migliore dei modi sino alla conclusione delle vicende dei nostri due “eroi”. In realtà è proprio questo che interessa al regista, la narrazione dei due caratteri, di due persone che, nel bene e nel male, sono sino in fondo figli pieni delle proprie scelte senza mai rinnegarle. Per il detective Richie Roberts la grande svolta arriva quando trova, durante un’indagine, una valigia con quasi un milione di dollari e decide subito di consegnarla alla polizia, pur sapendo che tra i suoi colleghi qualcun altro metterà le mani sopra “il malloppo”. La sua è una scelta che, per quanto difficile in un ambiente completamente corrotto (sui titoli di coda verrà indicato come al termine della sua inchiesta il 75% dei poliziotti della squadra narcotici di New York sarà incriminato), appare a Richie inevitabile e ne segnerà il destino. Un destino e una storia in cui lui farà sempre solo la scelta giusta, perché la farà da solo, tutto umano, tutto dentro ai suoi vizi e debolezze (una smisurata passione per l’altro sesso che lo porta ad un inevitabile divorzio), al suo meraviglioso corpo dilatato e stanco. Russel Crowe è veramente uno di quei pochi attori che fanno gli eroi in un corpo di uomo reale – di analoga capacità mi vengono in mente solo Marlon Brando e Steve McQueen. Altrettanta umanità si ritrova nel suo antagonista Frank Lucas, diversi valori, diverse scelte ma “quasi” mai un cedimento ai “rumori” esterni, scelte sempre consapevoli, obiettivi chiari e non in discussione (la ricchezza come riscatto da una gioventù povera, la famiglia e l’amicizia sono valori in grado di rafforzare la sua capacità di combattere per i suoi scopi, grande fiducia nelle proprie capacità, oltre a un ovvio cinismo da perfetto businessman). Sarà infatti una banale concessione alla vanità della moglie a minare il suo “basso profilo” che lo aveva reso sino a quel momento invisibile anche al mastino Crowe…
Raccontare la storia di questi due uomini/caratteri è quello che realmente interessa a Scott, e lo dice con estrema chiarezza, anche attraverso un escamotage di montaggio semplice, ma efficace, soffermandosi con la macchina da presa ora sull’uno ora sull’altro separatamente, raccontando le due storie in parallelo con brani inizialmente più lunghi e poi sempre più brevi e serrati, sino a che lo stacco tra i due non esiste più e si incontrano/confrontano nelle ultime sequenze del film quando guardandosi si “riconoscono”, quasi avessero bisogno l’uno dell’altro per trovare qualcuno veramente in grado di misurare il valore di ciò che sono nonostante tutto e tutti.