Compito ingrato quello di scrivere (male) di un film che non è piaciuto. Le si prova tutte per cercare di scaricare quest’immane fardello sulle spalle altrui. Si avanzano le scuse più banali … ma non c’è nulla da dire… non è diverso dagli altri suoi film… posso scrivere di altro?.. si arriva persino a negare di averne capito fino in fondo il senso pur di non sottoporsi allo scomodo compito della stroncatura. Già. Ma le riviste di cinema pullulano di gente livorosa e frustrata che non vede l’ora di incanalare tutta la propria aggressività contro un facile bersaglio. Non nego di aver partecipato anche io, con soddisfazione, al pubblico ludibrio del film-malcapitato di turno.Questa volta però è diverso.
Ozpetek è un regista sincero, lo si evince con chiarezza dalla sensibilità con cui sceglie di trattare temi scomodi e difficili. È dai tempi di Harem Suare che con quel suo tocco di sincerità naif tenta di far riconquistare dignità e coraggio a scelte libere e diverse. La sua cinematografia richiede dunque quella dose di umanità necessaria per guardare attraverso le sue immagini. Procediamo quindi con ordine e speriamo che la magnanimità non ci abbandoni durante il percorso.
Il plot della storia è abbastanza scontato: due giovani (belli e impossibili),Elena di ambiente borghese con ambizioni imprenditoriali, e Antonio, semplice meccanico un po’ da cartolina, si incontrano a Lecce in una giornata di pioggia. Subito si scontrano: lui razzista e omofobo, lei tollerante e liberal. Poi, inaspettatamente, per la solita regola che gli opposti si attrarrebbero, si innamorano. Galeotta fu la frase: “ Sì, sono dislessico” e tac, Elena rimane folgorata. Prima non si era accorta di quanta profondità si celasse dietro quegli occhioni bruni e intensi. Neanche noi, a dire il vero. Dopo una serie di incontri segreti – lei ha un fidanzato e lui è il ragazzo della sua migliore amica, si sposano. A questo punto il film fa un balzo in avanti con un’ellissi temporale di tredici anni. Elena ha aperto un bar insieme a Fabio, il suo più caro amico omosessuale, nonché ex innamorato di suo fratello, morto tragicamente in un incidente a dodici anni (incredibile ma è così!), ha due figli con Antonio e conduce una vita di imprenditrice di successo tra la noia e l’indifferenza di un rapporto di coppia che ha mostrato le sue pecche. La diversità tra i due amanti si è fatta evidente nelle distrazioni e nei tradimenti di Antonio, sempre più estraneo alla vita di coppia. In questa routine irrompe il cancro, flagello simbolico. Ognuno è costretto a farci i conti, ma il modo in cui venga metabolizzato non è dato a sapere. Chemioterapie, attese in ospedale, deformazioni del corpo. Il tutto condito sempre con quella dose di ironia e leggerezza che è la cifra stilistica di Ozpetek.
Poi, quando gli eventi sembrano precipitare in una rinnovata presa di coscienza del valore delle relazioni (?), con una virata temporale il film ci riporta indietro. Sulla spiaggia, al primo incontro dei due protagonisti. La storia riprende e continua da lì, dal momento in cui tra Elena e Antonio tutto era ancora possibile, in cui tutte le strade erano percorribili. Ricomincia con Silvia, la migliore amica di Elena, fidanzata di Antonio, alla quale Elena è costretta da Fabio a rivelare la sua relazione fedifraga. Anche Silvia ha però i suoi scheletri nell’armadio e il gioco di equivoci tra amici che, con una grande risata, butta tutto in caciara, conclude il film sul sottofondo musicale di Rino Gaetano, A mano a mano. Il sipario della complessità della vita si chiude qui, lasciando lo spettatore (almeno me) abbastanza perplesso e turbato, pieno di interrogativi a partire dal titolo del film (perché Allacciate le cinture e non Tenersi lontano dalla linea gialla al passaggio dei treni?). A questo punto, di fronte a tanta carne al fuoco, compresa quella umana di un cast di attori vacillanti, quasi viene voglia di urlare “aridatece Tomas Milian!”, ritratto popolare di un’autenticità sì più volgare, ma meno artefatta di quella che ci restituiscono la vetrina di Amici o le pettinature alla Coppola (noto parrucchiere romano) di Elena, mentre, ancora umile cameriera, serve ai tavoli.
La magnanimità ci ha abbandonato? Forse sì Ferzan, nonostante il proclama iniziale. Ognuno segue la propria natura, e quella critica è davvero pessima.