Sono passati circa trent'anni da quando una "trasmissione di origine sconosciuta" segnalava, dal pianeta LB 426, una fatale presenza al "Nostromo", malcapitata navicella in ricognizione dormiente nello spazio cosmico. Era il 1979. Alien, capolavoro fanta-horror di Ridley Scott, si impose nell'immaginario cinematografico di allora condensando e rappresentando le paure e le angosce di un'America che di lì a poco sarebbe entrata nei difficili anni Ottanta targati Ronald Reagan.
In questi giorni, in molte sale cinematografiche italiane, si può assistere ad Alien vs Predator 2, il film che con ottusa pervicacia cerca di tenere in vita una saga ormai in coma irreversibile. In realtà l'accanimento terapeutico iniziò nel 2004 con la pellicola che inaugurò il nuovo filone, Alien vs Predator. Il film per farli conoscere. In questa nuova operazione (regia di Paul W. Anderson) due delle più note icone del cinema degli anni Ottanta si ritrovarono loro malgrado a battersi in duelli svogliati, rivaleggiando stancamente per il diletto di qualche spettatore assetato di alterchi muscolari e scorribande forsennate, da inviluppare dentro il ritmo vorticoso di uno sterile spettacolo fantasmagorico. Non bastarono i furbi rimandi mitologici a fortificare una trama tanto esile, e neanche le vaghe corrispondenze con i vecchi e inarrivabili Scott e Cameron (Alien e Aliens) ne salvarono le intenzioni. Il film tentò una mescolanza di azione, avventura, fantascienza, impastati in un tessuto narrativo condito di leggende medievali e mitologie classiche, ingredienti che nelle intenzioni di partenza probabilmente avrebbero dovuto elevare la sceneggiatura, tenendola al riparo dal rischio di un fioco appiattimento sulle numerose scene di azione. C'era il nostro Raol Bova, archeologo illuminato, che morirà. Ma non prima di averci svelato l'origine dei Predator, la specie che per istinto ancestrale, pratica da sempre l'arte della guerra e che utilizza gli uomini per riprodurre e poi combattere i nemici xenomorfi: gli alien appunto. E non prima di aver sedotto l'eroina che, nelle maldestre intenzioni degli autori, avrebbe dovuto riportarci alla memoria il mito di Segorney Weaver, recuperando il felice ribaltamento che nel film di Ridley Scott scardinava la tradizione maschile del genere, in quanto affidava il ruolo di protagonista a una donna. Non si trattò di un'avventata sfida al prototipo (meglio leggerlo come un omaggio deferente…).
Se il primo episodio spostava la scena da uno spazio cosmico lontano e indefinito fin dentro il ventre della Terra, nelle profondità sotto l'Antartide, (il male non arriva più da uno spazio altro ma abita i nostri stessi luoghi e ha il suo punto di origine dentro la terra, che si trasforma in elemento che feconda forze malvage), il secondo si svolge in una insospettabile e quieta cittadina del Colorado, Guinnison. 5.476 abitanti, avvisa il trailer, che a poco a poco verranno decimati sotto i mortiferi colpi dei due molestatori i quali, con modi alquanto inurbani, busseranno inopinatamente alle porte delle graziose dimore dai giardini pettinati, provocando sconquassi nell'equilibrio della comunità. I nuovi duellanti continueranno a darsele di brutto di fronte ai cittadini che, terrorizzati e increduli, si danno al "si salvi chi può".
La trama, alla tara di morti ammazzati e fughe di massa, può essere così sintetizzata, certo di non tralasciare nulla di decisivo ai fini della comprensione generale. C'è poco o niente da salvare in questo inutile sequel, che confusamente cerca di sfruttare fino in fondo, e anche oltre, il successo degli episodi precedenti senza nulla aggiungere, rigenerare o rinnovare.
Aliens vs Predator, 1 e 2, trascurano colpevolmente il presupposto fondamentale da cui nasceva il successo dei loro progenitori: quello di saper interpretare il proprio tempo e saperlo riscrivere magistralmente sullo schermo. L'angosciosa claustrofobia degli spazi nel primo Alien di Ridley Scott (1979), cupo e metafisico, il visionario e marziale Aliens (1986) di James Cameron, ma anche il Predator di John Mc Tiernan (1987), dall'accento inequivocabilmente reaganiano, erano fortemente connessi agli umori della società americana riuscendone a interpretare i valori e i disvalori. Dentro le marche costrittive del genere si esaltava la creatività libera degli autori tutti (si pensi alla scenografia apocalittica creata da Les Dilley e Roger Christian nel primo Alien, o alle allusioni sessuali delle quali è carico il mostro disegnato dal pittore H.R. Giger). Certo, con la comoda chiave postmoderna si può giustificare la debolezza dei nuovi episodi. Del resto come inquadrare la scelta di far coesistere nello stesso film le due celebri creature se non dentro una prospettiva postmoderna? Eppure anche in questo, i figli (illegittimi) appaiono decisamente in ritardo rispetto ai loro venerandi genitori, i quali già trent'anni fa avevano marcato i codici della postmodernità, ibridando forme e contenuti e iniziando a minare i rapporti antinomici propri del cinema moderno. Costa fatica, ma qualcuno si dovrà rassegnare: i primi episodi avevano già detto tutto.