di Federico Vignali/Ammetto che a tavola con gli amici sono sempre pronto quasi a tutto, ma in fondo spero che non arrivi mai il momentone amarcord in cui qualcuno comincia a rimpiangere i cartoni di una volta. Quelli della nostra ex gioventù. Si, non sento la mancanza di Voltron nè di KenShiro e ancora non sono andato nemmeno a vedere Lo chiamavano Jeeg Robot.
Ora però da papà sono più o meno obbligato ad assistere a molti programmi per bambini. Non sono assolutamente in grado di dire se sono meglio i nostri cartoni o i loro. In generale, la cosa che più colpisce è che mentre nelle serie animate degli anni ’80 c’era sempre un procedere sottinteso verso un finale che avrebbe dato un senso e l’impronta di un percorso comune a tutti gli episodi, oggi, ogni puntata sembra funzionare benissimo come show e contenitore si sponsor a sé stante.
La cosa vale anche per i film al cinema. Metto le mani avanti e sono fra quelli che avrebbero preferito non solo che non venisse mai prodotto questo Alice attraverso lo specchio, ma nemmeno il primo intervento di Tim Burton sul personaggio di Lewis Carroll. L’aspetto più evidente è che in questo sequel non solo è del tutto fuorviante chiedersi se e quanto ci sia dei racconto dello scrittore e matematico dell’ottocento nella trama, ma anche solo provare ad aspettarsi qualcosa di più oltre che una relazione occasionale con le icone della nostra infanzia in una fila senza precedenti a Eurodisney.
Il modo in cui il regista si impossessa delle creature e gli scenari che furono immaginati da Tim Burton fa quasi sperare in una sperimentazione più severa del diritto d’autore per il futuro. Ancora una volta, il viaggio di Alice nel Sottomondo rappresenta una fuga da una realtà piuttosto scomoda nella quale la ragazza è costretta a scegliere tra la casa atavica, simbolo di stabilità, e la sua nave che rappresenta appunto la libertà e la fuga dal rigido conformismo anglosassone. Scappando dal suo quotidiano la protagonista si trova a dover aiutare il Cappellaio Matto, il cui rimorso per non aver fatto il possibile per ricercare la sua famiglia sembra farlo arrivare al punto di morte. Alice dovrà vedersela con il Tempo in carne ed ossa, viaggiando negli anni per scoprire in fondo qual’è il valore più importante della famiglia.
Gli effetti speciali messi in campo per rafforzare questo messaggio sembrano fin troppo invadenti. Forse però è solo perché la cosa che trovo più noiosa e deprimente al cinema sono le scene di tempeste marine e qui ce ne sono davvero troppe. Dopo aver visto il film siamo sicuri che è meglio non consigliare la visione a chi vuole portare al cinema i propri bimbi sotto i nove anni. Per tutti gli altri c’è la possibilità di scoprire come si è arrivati alla definizione del non compleanno e all’origine della testa gigante della regina rossa Helena Bonham Carter.