L’opera originalissima del regista fiammingo, quanto alla storia narrata è di difficile collocazione geografica. Alle prime scene si pensa di essere in un’America rurale, per via del country che accompagna tutto il film – per capirci: quel bluegrass, il cui fondatore è un certo Bill Monroe, branca del country nella quale si incontrano tradizioni inglesi, scozzesi e irlandesi. Gli strumenti che accompagnano la voce o le voci sono a corda, chitarra, banjo, violino, contrabasso, e ogni strumento, durante la performance, a turno prende il sopravvento sull’altro improvvisando un assolo. Il risultato è molto legato al senso del tempo, e non solo a quello ritmico.
Capiremo presto, invece, di essere in Belgio (non luogo della contemporaneità, almeno europea…) dove Didier, barbuto, mastodontico musicista in un gruppo country – l’attore Johan Heldenbergh, che canta realmente e che è anche interprete ed autore della pièce teatrale di “Alabama Monroe”- duetta insieme ad Elise – anch’essa reale vocalist -, tatuatrice, entrambi coinvolti in un reciproco, classico colpo di fulmine.
L’impresa è drammatica, anticipiamolo pure, anche se l’autore evita accuratamente di intraprendere la scorciatoia del patinato. Uno dei valori della pellicola è proprio in questo suo intento, nel non voler annoverarsi, cioè, tra le favole più o meno zuccherose che, seppur spesso complicate, presentano quasi sempre una morale facile e il tradizionale lieto fine. Qui non vi è lietezza, se non nell’energica passione tra i due che si muove su di un terreno molto concreto di istintività: una profonda carnalità, evidente nelle scene di sesso, sembra infatti unire Didier ad Elise. Ma anche i bei pezzi intonati insieme, come pure la recitazione, d’alto livello, soprattutto quella femminile di Veerle Baetens, appagano lo spettatore.
La musica e l’amore uniscono quindi i due protagonisti della vicenda, in una campagna belga che, lo ripetiamo, potrebbe essere ovunque: se non fosse per l’architettura tipicamente nord europea della casa di campagna,persevereremmo, infatti,nella convinzione di essere oltreoceano. Anche l’aria che si respira nel film trae in inganno: eccetto la presenza di qualche vago indizio d’attualità, potremmo infatti pensare di avere a che fare con degli hippies fuori tempo.
Ma ben presto la storia si impone. Elise infatti è una tatuatrice un po’ speciale, usa il corpo e tutta la pelle per esprimere le proprie emozioni, così che il suo fisico, comunque molto attraente, appare come una mappa di immagini e di nomi che la forma dell’amore ha configurato nel tempo. Elise, orgogliosa della primitiva capacità di esprimersi attraverso il proprio aspetto, userà la penna elettrica sia per celebrare l’inizio dell’amore con Didier che per dare un senso alla fine.
La storia procede tra musica e passione fino alla nascita della figlia Maybell, la bambina che chiude il cerchio dell’unione affettiva ma che cambierà drammaticamente il corso della vita dei due. Didier riuscirà, pur provato, a recuperare se stesso, grazie alla musica, ma non sarà lo stesso per Elise.
La storia procede inoltre spiccando salti tra presente e passato, come evidenziando e contrapponendo circostanze di serenità a situazioni problematiche, attraverso il punto di vista soggettivo: se tutto va bene e siamo sereni godiamo dei momenti, dell’energia, dell’amore fisico, della comprensione che sappiamo ricevere e dare; diversamente tutto perde di senso e valore. Ma non è questo che proviamo se esistiamo ascoltandoci? Seguendo i balzi temporali che tornano ai ricordi, così come il nostro pensiero arretrarievocando l’amore perduto, abbiamo dunque modo di considerare pienamente la vita, rendendoci conto che amare non prevede necessariamente una serenità. Anzi quasi sempre nell’amore è implicita la sofferenza, la fatica e la costruzione così come la distruzione e il perdersi nella nebbia. E senza dimenticare le assurdità del caso, come nella dolente vicenda di Maybelle. E’ presumibilmente solo questa la ragione del film. La realtà, d’altronde, non è uno spuntare all’infinito margherite, avendo, più spesso, l’aspetto di qualcuno che ti sorride e ti offre tutto con una mano salvo poi, nella sostanza, riprendersi tutto con l’altra.
Cosa ci rimane? Una grande tenerezza che sembra quasi perdersi nella notte dei tempi, prima di tutto. E poi, addosso, calore salvifico e vitale erotismo. Inoltre ci stimola a pensare. Pensare appunto a quanti amori nell’esistenza umana vadano perduti rispetto a quelli finalizzati. E come, alla fine, possano restare vivi solo flashback di un passato che, pur vaporizzato dal troppo tempo trascorso, continua comunque a produrre i suoi frutti dentro di noi, anche se non ce ne rendiamo nemmeno conto.