Dal 3 all’8 agosto si è svolta a Casacalenda l’8^ edizione del MoliseCinema FilmFestival, iniziativa culturale che oramai da anni nutre d’un po’ di speranza la trascurata cartografia della regione in cui, più di ogni altra, “non c’è niente”. E sì, perché questa affermazione, impastata d’amarezza e di sconfitta, riecheggia un po’ in tutta la zona che, passando per le vaste e pedonabili colline del medio-basso Molise (meraviglia cui lasciarsi andare senza troppi obiettivi cardinali sulle spalle), s’allunga dalle montagne del verde e pietroso Matese fino al mare di Termoli, accogliente cittadina che (ed è un peccato) ha deciso di fermare la sua grazia giusto 100 metri prima del mare (complice la diffusione di futuristi -forse troppo- cartelli turistico/informativi che mettono in croce gli occhi distogliendoli dall’ampio nonché potenzialmente poetico spazio liquido orizzontale). Ed è in questa geografia di curve e stradine collinari, non prive di attraenti deviazioni e improvvise oscurità, che Federico Pommier Vincelli (romano ma con chiare origini molisane) ha scelto di innestare il suo festival di cinema, forse scommettendo sulla fiera origine sannitica della maggior parte della popolazione locale (che, magari dopo un buon bicchiere, non smetterà di ricordarvelo) come sulla voglia di riscatto che bilancia la negatività iniziale. Il Molise va incoraggiato! Come, del resto, quasi tutto ciò che è abitato da insicurezze e ferite umane. E il Molise ha avuto abbandoni e dure fatalità a segnare la sua terra severa (almeno a un primo approccio). Insomma, come scrive Antonio Pascale nella sua personale (anti)guida sul Molise, “Non è per cattiveria. Confessioni di un viaggiatore pigro“ (2006, ed. Laterza), questa è una regione da “rileggere”. Da contaminare, anche. Ed allora è proprio in questa via di mezzo, né tradizione (idealizzata) né (brutto) business, che il MoliseCinema si è posto con serietà e rispetto riuscendo a sbilanciare i molisani lungo le allegre file ai botteghini come nei gorghi notturni ossigenati dai numerosi dibattiti con autori e attori presenti al festival.
Le tre sezioni in cui si è ramificato il festival – quella internazionale di Paesi in corto, quella nazionale di Percorsi e l’interessante sezione Frontiere dedicata ai documentari – hanno mostrato agli spettatori formati e luoghi inusuali. Come quelli neo zelandesi di The six dollar fifty man, di Mark Albiston & Luis Sutherland (che ha vinto la sezione Paesi in corto), immagini elettriche che narrano le disavventure di una specie di piccolo uomo ragno di provincia; o come quelli cubani, ripresi in un espressivo chiaroscuro, ammirati in Los minutos, las horas, di Janina Marques Ribeiro; o come gli altri, più vicini, della Sicilia di Non c’è più una majorette a Villalba (segnalazione speciale), documentario del giovane regista Giuliano Ricci che coniuga con vivacità e acume lo scontento personale degli abitanti di Villalba con i problemi sociali e politici della comunità isolana (e non solo). All my fathers, documentario del tedesco Jan Riber, puntando con coraggio il topic sulla problematicità delle relazioni famigliari ha vinto la sezione Frontiere.
Molti gli ospiti che hanno fatto visita al festival, da Giovanna Mezzogiorno, protagonista del documentario Negli occhi, che i registi Francesco Del Grosso e Daniele Anzilotti hanno girato sul padre, l’attore Vittorio Mezzogiorno, all’intensa Valentina Carnelutti, che insieme a uno spumeggiante (di racconti e di vita) Citto Maselli hanno accompagnato il film Le ombre rosse (rispettivamente attrice e regista), scatenando al termine della proiezione un gran bel dibattito sullo stato della politica attuale, e dell’arte che la vorrebbe rappresentare, e in particolar modo sul rapporto sinistra/movimenti da sempre caro a Maselli. Il film, sulla scia di Lettera aperta a un giornale della sera, merita un’attenta visione tanto per i temi e le allegorie politiche trattate quanto per la generosità non priva di narcisismo (ma quando mai può esserlo?) con cui Maselli rappresenta la sinistra (divertenti i riferimenti a Fuksas e alla compagine de il manifesto) e, dunque, se stesso. E comunque, almeno a parere di chi scrive, quanto ad onestà e a coerenza logico-formale il gagliardo e tenero Citto batte su tutta la linea il dolore urlato e la confusione (post)ideologica de La nostra vita, ultima fatica del regista Daniele Lucchetti che ha fatto il tutto esaurito al “Roma”, storica sala cinematografica di Casacalenda restaurata lo scorso anno dopo oltre vent’anni di abbandono.
Interesse e simpatia ha suscitato, infine, la retrospettiva sulla commedia all’italiana organizzata dallo storico del cinema Raffele Rivieccio, anche fautore del vivace incontro con Emanuele Salce, figlio del grande Luciano nonché regista, assieme ad Andrea Pergolari, del documentario L’uomo dalla bocca storta, affettuoso omaggio a uno dei grandi registi della commedia all’italiana.