La Viennale ha proiettato ieri Aardvark, opera prima del regista di origine giapponese Kitao Sakurai; il film è stato accolto molto calorosamente dal pubblico presente in sala. Aardvark, premiato con una menzione speciale al Festival di Locarno, sezione Cineasti del presente, è una pellicola insolita e molto personale.
Glissando impercettibilmente dal documentario verso un thriller leggermente surreale Sakurai crea un film fresco e sorprendente che trascende i generi. Girato nella tradizione “mumbelcore” con un budget limitatissimo e una serie di attori non professionisti, Aardvark testimonia della vitalità del cinema indipendente americano. Aardvark ci immerge in un’atmosfera carica di forza emotiva, inquietante e dotata di un fascino particolare grazie al suo protagonista, un personaggio unico nel suo genere: Larry – Larry Lewis jr. nella vita reale – è infatti cieco dalla nascita.
Nella prima parte del film Larry interpreta essenzialmente se stesso: nel passato ha avuto dei gravi problemi di alcoolismo, ma ha deciso di riprendere la propria vita in mano giorno dopo giorno, con coraggio, metodo e soprattutto molta caparbietà. Nonostante il suo handicap sa farsi rispettare ed è integrato socialmente, ha un lavoro e pratica svariate attività nel suo tempo libero. Come in un documentario la macchina da presa segue Larry nella sua quotidianità: lo vediamo così fare jogging, prendere la parola ad una riunione di alcoolisti anonimi poi farsi da mangiare e ricevere delle telefonate di lavoro.
Un giorno, durante una passeggiata in città, Larry passa davanti ad una sala di ju jiitsu ed è attirato da quanto intuisce avvenire in questo luogo. Lo accoglie Darren, un carismatico maestro di arti marziali, che avverte il suo interesse per questa disciplina e lo incoraggia a prendere delle lezioni. Darren Branch è effettivamente maestro di ju jiitsu ed amico di Larry nella vita reale, ma da questo punto in poi Aardwark scivola, passo dopo passo, verso un universo di pura finzione. Sotto la guida attenta e sensibile di Darren, Larry inizia a frequentare i corsi di ju jiitsu rivelando ben presto un vero talento per questo sport basato sulla pura fisicità del contatto fra due corpi senza essere minimamente disturbato dal fatto di non ‘vedere’ il suo avversario. Le riprese di queste scene di lotta sono fra le più sorprendenti del film. Darren e Larry passano sempre più spesso le loro ore libere insieme; una notte finiscono in un locale a luci rosse dove balla un’amica di Darren. La ragazza, bella ed inquietante, sembra prendere Larry in simpatia. I tre diventano ben presto inseparabili; con i suoi nuovi amici Larry fa delle lunghe corse in macchina, passa delle serate a ridere e a divertirsi nei bar della città, ha un’effimera avventura erotica con la ragazza. Nonostante le apparenze Darren conduce però una doppia esistenza: attraverso delle strane telefonate veniamo a scoprire che intrattiene dei rapporti con un misterioso boss per il quale deve saltuariamente compiere delle, non meglio precisate, azioni criminali. Un giorno Darren scompare. Larry, preoccupato, lo cerca nel suo appartamento; camminando a tentoni fra i mobili finisce per cadere addosso al suo cadavere.
A partire da questo punto in poi il film si fa sempre più surreale. Un improbabile ispettore di polizia compare sul luogo del delitto, ma Larry capisce subito che l’uomo non sarà mai capace di trovare gli assassini del suo amico e decide di prendere la situazione in mano. Senza considerare la sua cecità come un handicap si lancia, ostinato ed inflessibile, sulle tracce dell’assassino. Sospetta, giustamente, la ragazza di saperla lunga. La donna si rifiuta di aiutarlo, ma Larry con un’agile ed inattesa mossa di ju jiitsu la costringe a promettergli il suo aiuto. L’avventura rocambolesca del nostro eroe prosegue in un mondo clandestino, misterioso e pieno di pericoli. In un bar segreto nascosto nel fondo di uno spettrale magazzino di stoffe Larry ottiene il nome del potentissimo boss che muove, invisibile, i fili di tutta l’organizzazione criminale: Darius Szopa. Impavido Larry si presenta alla villa di Szopa; nessuno diffida di lui perchè cieco. Un uomo giovane e sorridente è seduto sul bordo di una piscina. Larry, che si trova a qualche metro di distanza, gli chiede se è Darius Szopa, quando l’uomo, ignaro, gli risponde di sì Larry punta una pistola e lo uccide…
Non senza una buona dose di auto-ironia il ruolo del gangster è impersonato dal regista stesso. Risulta difficile rendere, attraverso la mera descrizione della sua struttura narrativa, l’atmosfera singolare di Aardwark: dei brandelli onirici ci trascinano impercettibilmente e lievemente alla deriva, mentre altre immagini – le riprese urbane di Cleveland- sembrano riportarci sulla soglia del reale. Il ritmo stesso del film, senza mai essere propriamente lento, contribuisce a creare un effetto ipnotico. La messa in scena di Kitao Sakurai è scabra, ruvida e gioca molto con l’ellissi. Delle dissolvenze in nero prolungate ci trasportano nella condizione del protagonista, facendoci provare una sensazione di perdita di controllo. Il montaggio inserisce questi neri, ma senza abusarne, nei momenti chiave della vicenda, aumentando così la suspense. All’originalità fresca ed irriverente del film contribuisce anche l’impiego di una musica punk-garage che irrompe spesso all’improvviso disturbando quasi l’immagine. Una sensualità inattesa ed inedita permea l’insieme di Aardwark ed è emanata proprio dal suo protagonista. Larry è un personaggio fuori dal comune; se da un lato la sua mimica facciale, come è spesso il caso dei non vedenti, denota con molta chiarezza il suo handicap, il suo aspetto fisico – l’uomo è alto, robusto, atletico – lo impone in tutta la sua virilità. Larry è cosciente di questa sua forza; la rivendica e se ne serve, sicuro di se stesso, tanto per fare dello sport quanto per sedurre una donna. Proprio su questo contrasto è costruita la trama del film: nessuno, infatti, si aspetta che Larry possa essere un avversario pericoloso o comunque caparbio, deciso a “vederci chiaro” e a vendicare la morte del suo migliore amico.
Senza mai volere essere politicamente corretto Aardwark costituisce, a modo suo, un bel riscatto, di quella parte dell’umanità cosiddetta ‘handicappata’. Molto riuscita è anche la scelta del cast composto esclusivamente da attori non professionisti; Kitao Sakurai riesce a dirigerli mantenendo costantemente un sottile equilibrio fra la spontaneità del loro comportamento e le esigenze della fiction. Tutti i personaggi secondari sono tratteggiati con un tocco vivace e sensibile e compongono, intorno alla figura del protagonista, un’eccentrica ma toccante rapsodia urbana. La scelta di girare il film a Cleveland, città diventata tristemente famosa in seguito allo scandalo dei subprimes, non è stata casuale: la finzione si nutre in modo essenziale delle immagini del luogo. La maccchina da presa abbraccia in lunghe carrellate le strade, scruta zone commerciali e capannoni abbandonati in periferia, entra nei negozi e nelle case, senza mai forzare lo sguardo, con una grande naturalezza.
Aardvark non è, come si potrebbe supporre, una parola giapponese, ma il nome di uno strano mammifero di sembianze preistoriche che vive in
Africa e conduce esclusivamente un’attività notturna. Aardvark è però anche la prima parola ad apparire nei dizionari di lingua inglese… Perfettamente in accordo con il suo titolo inconsueto ed enigmatico il film ci seduce conducendoci nel suo universo insolito e proponendoci in fin dei conti, e quasi al margine, una riflessione sul nostro modo di percepire la realtà che ci circonda. Ricordatevi il nome di Kitao Sakurai: ne sentiremo certamente parlare di nuovo!