di Giovannella Rendi / Chissà se il regista Christian Vincent ha letto “L’interdizione”, un piccolo gioiello di Balzac contenuto nella raccolta “La commedia umana”. Vi si narra di un vecchio giudice, con fama di incorruttibile ma povero e oscuro, che viene scelto da una dama dell’aristocrazia per far interdire il marito, accusato di follia per una serie apparentemente inoppugnabile di motivi. La povera donna fa appello all’amor materno per riavere i suoi amatissimi figli e denuncia la follia dell’uomo che sta dissipando il patrimonio per una vecchia pazza. Come non darle ragione? Quando ci sono figli di mezzo le donne sono sempre vittime. Peccato che Popinot, questo il nome del giudice, prenda molto sul serio la giustizia e dietro la sua apparenza di sempliciotto ingenuo ingaggi un sottilissimo duello verbale con Madame D’Espard, rivelandone la natura gelida e calcolatrice e, incontrando il marito, si renda invece conto di quanto ami i figli e le sue azioni apparentemente folli siano invece giustificate dall’onore.
Anche nel caso del film La corte , al centro della vicenda c’è un giudice, figura su cui raramente si focalizza l’interesse degli artisti (con l’eccezione di Fabrizio De Andrè) : evidentemente trovano più facile lavorare sugli avvocati, intesi come figure più dinamiche, sia perché spesso si improvvisano veri e propri detective, soprattutto nei film americani, in cui è loro compito fornire le prove, sia perché hanno modo di sviluppare un rapporto umano e/o psicologico con i loro affascinanti assistiti, talvolta facendosi bellamente raggirare (uno su tutti il capolavoro di Billy Wilder Testimone d’accusa).
Il giudice è interpretato magistralmente da Fabrice Luchini e, come spesso nella sua carriera e come già in un altro film di Christian Vincent ingiustamente sottovalutato come La timida (1990), si tratta di un personaggio lievemente meschino, patetico, opaco, ambiguo: malgrado la sua alta carica di presidente di Corte d’Assise per cui sfoggia una vistosa tunica rossa bordata di ermellino (L’Hermine, non a caso il titolo originale del film) viene considerato dai suoi sottoposti con disprezzo e derisione, “un giudice a due cifre” perché a due cifre sono sempre gli anni di condanna per i suoi imputati. E non molto fa Luchini con la consueta e sottilissima bravura per smentire i pregiudizi sul suo personaggio: tic, idiosincrasie, misantropia e sospetto di frequentazione di prostitute. Pedante e scrupoloso nel suo lavoro, però, come il suo omologo Popinot: pur sembrando distratto dall’improvvisa apparizione tra i giurati popolari di una donna di cui era stato innamorato e respinto anni prima (la luminosa attrice danese Sidse Babett Knudsen), il giudice Michel Racine si trova ad affrontare un caso giudiziario assolutamente drammatico, ovvero un giovane uomo accusato di aver ucciso in un attacco di rabbia la figlia di sette mesi. Dall’altro lato dell’aula la giovane moglie e madre, distrutta dal dolore, emblema stesso della vittima. Ma è proprio così? Cosa nascondono gli sguardi che i due si scambiano per tutto il processo? Il caso sembra già risolto eppure, Racine con calma, pedanteria, apparente attenzione ai rituali del processo più che alla sua forma, e forse anche un po’ il desiderio di fare colpo sulla signora del suo passato, smonta le deposizioni dei poliziotti, corregge le testimonianze di vicini e familiari (noiose, contraddittorie, spesso inutili, ma da lui seguite con enorme attenzione e pazienza) e scardina i pregiudizi dei giurati. A questi ricorda infine che il loro compito non è scoprire la verità, che forse non si saprà mai, ma far rispettare la giustizia e giudicare secondo coscienza: quanto di più lontano dunque dalle accuse di giustizialismo a due cifre.
Giocando scopertamente con gli elementi teatrali del processo (la vestizione con la sgargiante e un po’ ridicola toga, la campanella che suona come in teatro prima che inizi l’udienza, il pubblico che si alza in piedi), ma senza alcun sensazionalismo anzi sottolineando la noia dei rituali, il regista costruisce un film apparentemente semplice ma che nasconde tutta una serie di piani interpretativi, suggeriti soprattutto dai dialoghi e dagli sguardi. Il film schiera una fila di credibilissimi comprimari, tutti schizzati in pochi tratti, umanissimi e contraddittori, come i giurati nelle loro chiacchiere al bar o l’avvocato d’ufficio tutto preso da un altro caso più interessante e sempre attaccato al cellulare e che poi non è però così distratto come sembra.
In filigrana si svolgono gli incontri clandestini tra il giudice e la giurata che, pur non essendo vietati non sono proprio permessi: di impianto un po’ più tradizionale cinematograficamente parlando, appesantiti in parte da una colonna sonora superflua e ridondante. Trattandosi di un film francese, i due si dicono cose intensissime pur continuando a darsi del “vous” e senza manco sfiorarsi con una mano. Si mantengono le distanze ma la sorridente signora danese in realtà non rinuncia a un sottile gioco di seduzione pur sembrando sempre ritrarsi. Balzac amaro e pessimista fa trionfare Popinot nella ragione e nella giustizia ma non nella vita, dove viene sconfitto dalla perfida marchesa e dai suoi contatti con il mondo che conta, Christian Vincent con più leggerezza ci ricorda che è meglio non giudicare se non si vuole essere giudicati. E che spesso sotto un cappotto blu si nasconde un abito di pizzo.
non vedo l’ora di andare a vederlo, bella recensione! Balzac, la giustizia l’arguzia la seduzione, il potere. I francesi sono dei veri maestri in queste rappresentazioni che, almeno nel caso di Simenon, sembrano sprofondare nella pigrizia e talvolta nella pedanteria, ma che rivelano sempre una grandissima e un po’ perfida, intelligenza.
Anche a me è piaciuta la tua recensione l’ho trovata molto elegante! Aspetto di veder il film per meglio argomentar
La ricerca della verità (presunta, giudiziaria, indiziaria, consolatoria, ipotetica a ripiego?) attraverso le basse-medie figure dei giudici e dei giurati E lo scandaloso nobilitante potere della seduzione come antidoto alla solitudine, al dialogo inappagante con altri e con se stessi. Da Alceste à bicyclette a Gemma Bovery a Confidences trop intimes al Colonel Chabert agli omaggi onomastici raciniani : i rimandi ai grandi (grandissimi) classici francesi si affiancano allo scavo delle nostre psicopatologie quotidiane, che non precludono – Dans la maison o tra Les femmes du 6ème étage – il perseguimento di una felicità sempre sfuggente e sfuggita, sia nel compimento di amore sia nella creazione letteraria. Rimandi affidati a uno dei più grandi attori viventi. Il fab Fab che recita silenzi, pause, taglienti sottolineature e svuotanti strabuzzature verbali (e non verbali). Apprezzabilissima la recensio giovannèllica, che denota profonda conoscenza delle prove di Luchini Attore con gli anni cresciuto a vette altissime .. e conoscenza de La discrète, così commentata a indebito margine di Paris di Klapisch nel poco lontano 4 giugno 2014 : Non sono stato più lo stesso da quando vidi La discrète, grand prix de la semaine de la critique a Cannes 90. E quale absoluta delusione quando entrai al VI, fronte saint sulpice, per scoprire l’interno posticcio dis/misplaced del Cafè de la Mairie, ove Antoine scrive e conquista la NON vista, oramai di Giuditta perso e conquiso. Nota del fanatico: orgia (cog)nominale + unica che rara nella Triadelfilm: FabriceLuchini, JudithHenry, ChristianVincent. Film da rivedere (almeno) una volta l’anno, rigorosamente ‘en français’
Le caratterizzazioni di Vincent regista sono sempre impeccabili e non scadono mai in ovvio o nel già visto. Il cappotto blu anonimo-bruttino cela un abito di pizzo che brilla soprattutto nello immaginario, e sopra tutte nella descrizione che ne fa Luchini-Racine, in questo piccolo gioiello di film, fatto di raffinate dizioni non meno che di liquidi o persi sguardi e radiosi fuggevoli sorrisi (della timida contegnosa Ditte).
I luoghi sono fatti anche di persone. Talvolta, anche di (evocative) parole.
Nota luttuosa : escluso fui pochi giorni fa dalla serata ‘Luchini figlia dirige Luchini’, con Un debut prometteur. Spero un* di voi abbia potuto beneficiarne..e qui ne parliscriva.