Il film di Costa-Gavras è il racconto fanta-sociale di una follia contestualizzata e aperta al razionale. È una metafora che poggia su un realismo giustificante e convalidante. Un uomo capace, determinato e preparato perde il posto di lavoro per cause che non lo riguardano. Con esso sparisce il contatto con le regole e con gli schemi del gruppo a cui appartiene. Finisce il gioco delle parti e ne inizia uno perverso e solitario. L’uomo si stacca dalla realtà per darsi a un iperindividualismo nuovo, selvaggio ed embrionale. Dalla forma sociale d’Occidente nasce un mostro insospettabile: da questo magma civile, ricco e tecnologico parte una cellula impazzita. Il protagonista Bruno, chimico cartaio di solido mestiere, fa fuori ad uno ad uno i suoi colleghi, quelli che come lui sono in attesa di una nuova sistemazione. Lucido, intelligente, imprendibile, porta avanti il suo dramma mostrando la gigantesca falla di un’economia aperta al potere e indifferente al singolo. La sua corsa illumina, con abilità cinematografica, gli ingranaggi della nostra organizzazione e fredda ogni entusiasmo di fronte alla strada che è davanti e sotto di noi. Costa-Gavras non fa odiare l’uomo che si macchia di una serie di omicidi ingiustificabili. Non lo giudica e non lo fa catturare. Un po’ come fa Woody Allen, che salva attraverso una fortuna mirata il Chris dell’ultimo Match Point. Sono i nuovi mostri che il cinema adotta per esprimere la sua angoscia di fronte al presente. Tra le solide strutture della degenerazione del capitalismo si muovono esseri spregiudicati e sconfitti che reagiscono alla loro solitudine con lo sfruttamento disperato della stessa. Alla sordità di un sistema vanitoso e ottuso risponde un imbarbarimento individuale, una ferocia vendicativa che è specchio di una condizione generale. Il film disturba e sconvolge. Si apre ad una riflessione profonda che riguarda tutti. Un film politico e deciso, duro come il cinema europeo sa essere quando poggia su argomenti che gli sono cari e urgenti. Il maestro greco tiene in mano con sicurezza l’intero film. Lascia che lo spettatore si tenga alla giusta distanza dal personaggio e attraverso di lui gli dà la possibilità di specchiarsi e analizzare meglio la direzione della nostra cultura. Bruno è figlio di questa cultura, le somiglia nel carattere che mostra dal momento successivo al primo assurdo omicidio. Egli regredisce ad uno stato primitivo. Diventa un predatore e si abbandona a una guerriglia inesistente e permanente.