Nonostante il cognome e le discendenze nobiliari inglesi, Edoardo Winspeare è un salentino doc estremamente legato alla sua terra dove vive da sempre. Proprio nel Salento è ambientato il suo Galantuomini, presentato al Festival di Roma, dove è stato premiato con il Marc’Aurelio d’Argento per la miglior intepretazione femminile e dove è stato applaudito calorosamente sia da pubblico che da stampa.
Sullo sfondo dello scontro tra bande rivali salentine dei primi anni Novanta, Winspeare innesta la storia d’amore tra Ignazio (Fabrizio Gifuni) e Lucia (Donatella Finocchiaro), amici d’infanzia, le cui vite hanno intrapreso due vie diverse e inconciliabili: lui magistrato, lei donna boss della Sacra Corona Unita. Winspeare testimonia della fine di un’epoca, della perdita dell’innocenza che è della sua terra, che da assolata, mitica e incontaminata diventa violenta e sanguinaria, e di quella dei suoi protagonisti: da bambini innocenti e spensierati diventeranno una donna criminale e un giudice. Entrambi, travolti dalla passione, dovranno fare i conti con se stessi e la propria coscienza.
Nel raccontare questo amore impossibile, Winspeare fonde cronaca nera e melò: il conflitto corre lungo tutto il film sbaragliando e complicando storie, ambientazioni e personaggi; un conflitto che è con gli altri, ma prima di tutto con se stessi, anzi dentro se stessi. Un conflitto che rende impossibile ogni scelta. Che infatti non viene compiuta, come dimostra il finale struggente e splendido composto da quel dialogo fatto di sguardi intensissimi tra Lucia e Ignazio e che tutto lascia aperto senza (e come avrebbe potuto!) risolvere nulla, se non testimoniare amaramente la distanza incolmabile tra i due protagonisti.
Nonostante i tanti applausi, c’è da dire che la delicata operazione tentata dal regista riesce solo a metà. Se da un lato il mix tra azione e melò, tra sparatorie e momenti d’amore rende più complessi e affascinanti i protagonisti, dall’altro le due anime del film appaiono distanti e poco amalgamate, in un insieme che presenta momenti molto interessanti e altri per nulla attraenti. Le scene di sangue ricordano certe serie poliziesche così frequenti nel cinema (e più spesso nella tv nostrana); molto meglio i momenti a due, quando la macchina da presa scruta gli sguardi, sfiora la pelle, cattura i corpi che si uniscono. La Finocchiaro è stupenda quando balla sensualmente di fronte a un Gifuni imbarazzato o quando esplode in una totale crisi di pianto allo scoppio dei fuochi d’artificio che la sorprendono in tutta la sua fragilità. Al di là di tutto ciò, tanta, tanta noia con sicuramente qualche metro di pellicola che, fosse stato tagliato, avrebbe sicuramente giovato al resto.