Il titolo, Resolution 819, si riferisce alla risoluzione delle Nazioni Unite che avrebbe dovuto garantire la protezione dell’enclave musulmana di Srebenica in Bosnia. Nel 1995 fu compiuta una vera e propria “pulizia etnica” da parte delle truppe Bosno-Serbe del generale Mladic: migliaia di uomini, vecchi e ragazzi, furono massacrati, i corpi gettati nelle fosse comuni e successivamente rimossi e fatti a pezzi, per essere messi in altre fosse per cancellare le prove. Una vergogna quale non accadeva dai tempi della Seconda guerra mondiale, compiuta sotto lo sguardo passivo delle truppe ONU.
Un ufficiale di polizia francese si offrì di andare in Bosnia in qualità di investigatore per conto del tribunale Penale Internazionale per la ex-Yugoslavia dando avvio, anche contro le resistenze dei suoi superiori, ad un’inchiesta per cercare di scoprire la verità su quanto successo e fare arrestare i colpevoli. Insieme a lui un team di specialisti, molti volontari, capaci di ricostruire e identificare le ossa trovate in tantissime fosse comuni; un lavoro rischioso e durissimo senza il quale non sarebbe stato possibile far luce su questa tragedia. Tra gli specialisti, un’antropologa forense polacca diviene un punto di riferimento per l’investigatore, àncora di conforto in una situazione dove la vita e la morte finiscono per assomigliarsi; la “donna delle ossa”, così chiamata perché in grado di ricostruire la vita delle vittime, vive un momento di grande sconforto, incapace di sopportare l’orrore dei resti di bambini uccisi. Dopo tre anni di lungo lavoro grazie a quest’inchiesta è stato possibile far arrestare i colpevoli e condannarli per crimini contro l’umanità.
L’italianissimo Giacomo Battiato, in concorso nella Selezione ufficiale del Festival di Roma, si confronta con la grande Storia in questa produzione franco-polacca-italiana: per farlo realizza un film che ha un valore etico prima ancora che politico e artistico, un film dove storia e fiction si mescolano, come ci ricorda la didascalia iniziale. Rispetto a questa sorta di realismo storico il regista ha dichiarato che “affrontare la realtà è importantissimo nel mio lavoro. Ma bisogna stare attenti: un conto è la finzione, cioè un’elaborazione che si stacca dalla realtà, e un conto è il cosiddetto docu-dramma: rispettabilissimo, alcuni lo fanno anche bene, ma io lo detesto. O racconti la realtà, e allora fai un’inchiesta per bene, oppure fai una finzione e cioè un’opera poetica”.
Il problema, a mio avviso, è che creare un’opera poetica basata sulla finzione è operazione sempre rischiosissima quando la finzione è costruita sui brandelli della Storia. Resolution 819 finisce in questo modo per apparire un ibrido strano, checchè ne dica il regista, un ibrido che sembra partire come un documentario per poi virare verso la storia romanzata. Le scene iniziali, infatti, con l’arrivo dei soldati di Mladic e la deportazione dei musulmani, pur avendo un grande impatto emotivo, conservano un’asciuttezza stilistica che sembra ricondurre alla dimensione documentaristica. Successivamente durante l’inchiesta e il difficile scavo nelle fosse comuni, il film sembra prendere una piega romanzesca attraverso l’utilizzo di topoi cinematografici d’effetto: l’affettuosità tra l’investigatore e l’antropologa; lei che inciampa su una mina e aspetta l’arrivo degli artificieri con lui che le tiene la mano; il ritrovamento tra la madre e la figlia sopravvissuta al massacro, e via dicendo. In questo il film sembra perdere un po’ della sua forza, senza peraltro riuscire a commuovere alla maniera, per intenderci, di un’altra storia romanzata quale Schindler List.
Il rischio, inoltre, è quello di una semplificazione storica che non è giustificabile con il desiderio di realizzare un’opera poetica, per dirla con le parole di Battiato. Insomma il risultato è che uscendo dalla sala si è sicuramente grati al regista per aver portato alla ribalta una tragedia di questa portata, ma si rimane altrettanto disorientati.