Ti viene una stretta al cuore a sentire uno che dice: “L’incubo di Anberber, con il granaio bucato è il mio: non sentirmi all’altezza delle mia famiglia contadina, che mi avrebbe voluto medico, e relazionarmi con difficoltà all’Etiopia attuale”. A parlare non è “uno” qualsiasi, è infatti Haile Gerima, regista etiope che vive dagli anni Sessanta negli Stati Uniti, in concorso con Teza. Commuove, proprio nel senso etimologico, che mette in movimento i sentimenti, quella confessione di inadeguatezza resa pubblicamente – ripetiamo: “non sentirmi all’altezza” – dà l’idea di cosa possa esserci dietro la lavorazione di un film, già definito l’Heimat etiope. Come spiega bene l’autore “Teza non è cinema fast food, ma lotta e processo creativo, rassomiglia alla nascita di un bambino”. Quando uno parla in questo modo bisogna dargli credito.
Ma non ci sono solo le parole, ci sono le immagini. Ci sono 140 minuti di “splendore”, così alcuni critici hanno definito l’opera di Gerima. Il protagonista è Anberbe (interpretato da Aaron Arefe) che torna con una gamba amputata al proprio villaggio, dove l’anziana madre non ha mai smesso di aspettarlo sin da quando era partito negli anni Settanta per studiare medicina in Germania. Arriva in Europa con la speranza di poter poi dare un contributo socio politico e culturale al paese. Purtroppo la rivoluzione marxista, che aveva rovesciato con un colpo di stato il Negus, fu una disillusione col regime repressivo di Haile Mariam Mengistu. Così ripercorre amaro i luoghi dell’infanzia, ricorda l’occupazione italiana, e osserva impotente le bande militari che nel presente imperversano nel paese e arruolano bambini soldato. Il dottor Anberbe sceglie però di restare, di impegnarsi per la sua gente come maestro e medico.
Ripercorre la storia dell’Etiopia legata alla sua stessa vita, dall’occupazione del Duce all’odierna situazione: “Trovo difficile conciliare la mia infanzia e il degrado attuale, ovvero il conflitto con l’Eritrea, il sottosviluppo, le problematiche eco-ambientali: la tragicità del presente fagocita i miei ricordi di bambino” e non nega il suo pessimismo Gerima: “Noi in Etiopia siamo figli del drago, non so quale generazione cambierà le cose, impossibile prevederlo, ma accadrà, io aspetto e l’Etiopia aspetta”. Per realizzare Teza ci sono volute otto settimane di riprese tra le montagne e Addis Abeba, e sei giorni in Germania, un anno al montaggio e quattro di lavorazione complessiva, più volte interrotta per la mancanza di finanziamenti. Problemi poi risolti con l’intervento economico di tedeschi e francesi. “Ma non mi sono mai arreso – ha detto il regista – perché chiedo il diritto di parlare col mio accento e di incorporare la mia/nostra identità all’arte del cinema”. Le atrocità dei colonizzatori italiani “sono sempre presenti in Etiopia, raccontate nei caffè e nelle canzoni” aggiunge Gerima. Attualmente lavora a un documentario sull’occupazione fascista, dice: “centrale la memoria di questa guerra: mio padre ha combattuto l’atrocità fascista e mia madre è cresciuta in un orfanotrofio cattolico. La nostra tradizione orale conserva ancora il ricordo dei guerrieri etiopi morti per liberarci dal giogo di Mussolini”.