In un Festival che fatica a tirar fuori dei film convincenti, le sorprese vanno ricercate ancor più del solito tra le sezioni collaterali. Sell Out!, presentato ieri nell’ambito della Settimana della Critica, si presenta come un piccolo film proveniente dalla Malesia, girato con pochi mezzi da un regista esordiente, già a Venezia nel 2006 con un cortometraggio che si era meritato una Menzione Speciale (Adults Only). Poche informazioni che generano precise aspettative, eppure Sell Out! è riuscito a scuotere Venezia 65 proprio nei giorni di fuoco del weekend, quando la gente, la temperatura e le polemiche sui film italiani aumentano.
La parola d’ordine per il regista Yeo Joon Han è dissacrare. Lo scenario è quello di Kuala Lumpur, l’ambiente è il quartier generale della multinazionale FONY. Da poster e cartelloni sulle altrimenti spoglie pareti apprendiamo che la FONY ha le mani in pasta un po’ in ogni campo, e difatti i due protagonisti sono due dipendenti a loro modo insoddisfatti. Rafflesia (è il nome di un fiore…) lavora per il canale televisivo conducendo un programma di interviste ad artisti, ma lo strapotere dei reality show le toglie ascolti e fama. Eric è un mite capo-progetto che si occupa del design di elettrodomestici. Lui vorrebbe costruirne di durevoli ed efficienti, ma la politica societaria è di rilasciare prodotti mediocri per favorire un ricambio di vendite.
I destini dei due si incrociano davanti all’ufficio dei boss, una coppia comica surreale e contraddittoria che è il motore delle vicende dei protagonisti; sono loro che spingono Rafflesia a cercare un’idea estrema per un nuovo programma, una serie di interviste a persone in punto di morte. Ancora loro affibbiano a Eric il compito di sabotare il suo stesso prodotto per renderlo inservibile appena scaduta la garanzia.
Il regista muove dunque i fili dell’esasperazione del reale, puntando non su raffinate contraddizioni, ma sulla deformazione di problematiche immediate e stereotipiche, globalizzanti e familiari (ironizzare sui reality show o sulle politiche delle multinazionali non è esattamente originale). Scelta vincente perché dà respiro ai personaggi e consente di valicare i confini dell’assurdo con risultati spesso esilaranti. La ricchezza del testo è anche formale, e Joon Han non solo puntella la storia con inserti musical, ma ingloba anche i momenti di canto all’interno del suo personale affresco dissacrante. Del resto, parallela alla vicenda principale, c’è anche la presenza di un regista ermetico e del suo cortometraggio “noioso, perché la vita è noiosa e il cinema dovrebbe riflettere questa noia”. Una chiave che tornerà nell’arco del film.
Il regista (quello vero, stavolta) non teme di sovraccaricare la sua creatura e ironizza sugli stereotipi di un certo cinema orientale fatto di lunghi piani sequenza (“forse gli autori hanno troppo caldo e abbandonano la macchina da presa”). Dentro e fuori dalla diegesi, gli intrecci metalinguistici non risparmiano nessuno, neanche lo spettatore che in una lunga sequenza si vede chiamato a fornire un commento sonoro alle immagini in forma di karaoke.
Il merito principale di questo piccolo e irriverente progetto è quello di andare oltre la satira e di saper essere divertente all’interno di una struttura puntuale, con sequenze spesso brevi e autonome, eppure non una collezione di sketch. In questo modo la parabola di Eric e i suoi sviluppi “sdoppiati” possono beneficiare dell’astratta leggerezza accumulata in precedenza e non soffocare per via della grana grossa del discorso narrativo. Alla fine i temi dell’integrità, dell’etica e della deontologia non importano neanche più, dipingono uno sfondo colorato in cui la freschezza dei personaggi può conservarsi al suo meglio. L’allegria del manglish (lingua contaminata e modo di vivere, ovviamente anch’essa elemento parodico del film), l’attenzione della sceneggiatura ai meccanismi comici più classici (tutte le gag dei due capi) già costituiscono le fondamenta di un riuscitissimo e quasi ingenuo tentativo di mescolanza filmica. Perfino il press-book possiede lo stesso tono scanzonato del film, e c’è solo da augurarsi che Yeo Joon Han possa mantenere questo spirito nelle sue prove successive.
Dear Mr Tocci, my name is Joon Han, the director of “Sell Out!” I read an automatically translated version of your review so I don’t understand it fully. But it looks like you wrote some good things about the film. I just want to thank you very much for your review. I hope I won’t disappoint you with my next film 🙂