Secondo film italiano in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia, racconta un dramma familiare che si staglia sullo sfondo dell’Italia fascista, che di lì a poco (siamo nel 1938) conoscerà la tragedia della guerra. Pur non avendo la volontà di compiere un’analisi storica e prestando fede alle parole del regista, il quale ha dichiarato che il “fascismo è soltanto la colonna sonora del film”, c’è da stabilire quale immagine il film offre del regime. Perchè se è vero che gli anni bui della dittatura sono soltanto la cornice storica dentro la quale Avati innesta questa storia nera, che sembra sortire dalla cronaca odierna, è altrettanto vero che alcuni dei personaggi che la abitano hanno direttamente a che fare con la dittatura: lavorano per il fascismo, indossandone lo spirito. Che non sia in primo piano è più che evidente, ma la Storia nel film ha un suo peso che non va sminuito in funzione del significato esclusivamente contestuale che il regista attribuisce ad essa.
Il personaggio interpretato da Ezio Greggio, ad esempio, è un poliziotto che abusa continuamente del suo piccolo potere, esibendo la sua tessera di funzionario del regime per godere dei piccoli vantaggi che il suo ruolo gli offre. E’ un po’ meschino, ma in fondo generoso perchè bonariamente aiuta la famiglia di Michele Casali (Silvio Orlando) in difficoltà economiche. Un personaggio la cui traiettoria approderà addirittura al ruolo di vittima: sarà ucciso da uno spietato plotone di partigiani rancorosi (ma guarda un po’…). Avati restituisce una visione edulcorata del regime ma non per fini revisionistici. E’ un autore apolitico, non disimpegnato, e in questo film, come sempre, i protagonisti sono i sentimenti.
Michele è un professore di ginnasio sposato e con una figlia disturbata la quale un bel giorno taglia la gola alla sua migliore amica colpevole secondo lei di flirtare con il suo ragazzo. Le indagini la inchiodano e la sentenza la vuole rinchiusa nel manicomio di Reggio Emilia. I disturbi di Giovanna hanno origine nel rapporto con i suoi genitori. Con il padre ha un rapporto morboso, lui sembra eccessivamente protettivo, in realtà tenta di preservarla dalla sofferenza perchè la conosce, la ama e sa quanto sia vulnerabile. Quando avverte il ragazzo, l’unico con il quale la figlia parla a scuola, in un atto che sembra di possessività soffocante (“tu le puoi fare molto male”) è come se presentisse la tragedia. Dal rapporto privilegiato tra padre figlia rimane fuori la madre Delia (Francesca Neri), una donna che non ama suo marito, che non lo ha mai amato, ma che non ama neanche sua figlia. Vive una vita che non vuole. L’uomo che vuole forse è nell’appartamento a fianco dove vive l’amico di famiglia interpretato da Ezio Greggio, poliziotto infelice che vive con una donna disabile (Serena Grandi). Nei loro sguardi sommessi sembra albergare il rimpianto di ciò che non hanno potuto avere.
Dopo l’omicidio Michele continua a seguire la figlia, animato da un amore infinito mentre la madre non vuole più saperne. Scoppia la guerra, gli aerei distruggono Bologna ma Michele sembra non accorgersene. Si trasferisce a Reggio Emilia per stare più vicino a Giovanna non prima di aver esortato l’amico ad amare liberamente Delia. Dopo l’8 settembre il poliziotto verrà ucciso dalla resistenza mentre padre e figlia torneranno a Bologna. Nel finale moraleggiante Delia si riunirà alla famiglia.
Pupi Avati mette in scena un dramma dei sentimenti e lo fa con grazia senza portare a giudizio nessuno dei personaggi, anche quelli che non riescono ad amare fino in fondo. Il personaggio di Giovanna con il suo atto omicida fa da detonatore spingendo chi le sta vicino a fare i conti con i propri sentimenti anche quelli più brutti che in ambiente retrivo e ipocrita com’è la Bologna descritta nel film non possono essere accettati. Molto bello l’uso del bianco e nero che incornicia il film all’inizio e nel finale.
secondo me l’Avati, con tutte quelle consolazioni sentimentali fissate nel passato, che comunque non torna più, è proprio un po’ un fascio!
E tu non ci dire il finale del film!
E’ ora di tornare all’horror, caro Pupone!